Francesco Guicciardini - Opera Omnia >>  Relazione di Spagna




 

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In Spagna mentre vi ero imbasciatore
l'anno 1512 e 1513.

 

QUESTO nome di Spagna fu dato dagli antichi a tutta la provincia che si contiene tra' monti Pirenei, el mare Mediterraneo e lo Oceano, come mostrano le divisione fatte dalli scrittori in tre parte, Tarraconense, Lusitanica e Betica, le quali comprendono intera­mente tutto questo sito. Truovasi ancora dagli antichi scrittori chiamata Iberia dal fiume Ibero, vulgarmente detto Ebro, el quale nome è abusivo a tutta la provincia, perché lo Ebro nascendo presso a' monti Pirenei e toccando una estremità di Castiglia passa per Aragona e Catalogna; in modo che non è ragionevole che dia nome a tutta la Spagna, passando per una minima parte di quella, e non essendo el fiume principale; perché fiumi di pari qualità sono el Beti, dal quale ha denominazione la Betica, detto oggi in lingua moresca Guadalchibir; el Anna, detto oggi Guadiana, el Tago ed el Duero.

Divideronla e' romani in dua parte, citeriore ed ulteriore: la citeriore dallo Ibero a' Pirenei, la ulteriore dallo Ibero al mare; la quale divisione fu così fatta non per essere equale, perché non altrimenti dividerebbono uno ricco patrimonio uno fratello legit­timo ed uno bastardo; ma perché loro conobbono prima la parte citeriore, e fu qualche anno lo Ibero termino dello imperio loro, come mostra la prima confederazione fatta co' cartaginesi doppo la prima guerra punica.

Oggi si divide in tre regni principali, non tanto secondo la equalità delle parte, quanto per essere e' re diversi: Aragona, sotto la quale si include Catalogna e Valenza, che n'è oggi re el re don Ferrando di Aragona; Castiglia, che si intende tutto el resto di Spagna insino al mare ed a' confini di Portogallo, che vi si in­clude drento la Galizia, la Biscaia, la Andolosia, la Granata, oggi signoreggiata dalla reina donna Giovanna, figliuola di detto re don Ferrando e della reina donna Elisabella; eccetto uno piccolo an­gulo che è da' monti Pirenei al fiume Ibero, che si chiama Na­varra ed ha suo re particulare; e benché abbino e' nomi di molti altri regni, il che credo procedessi per essere anticamente signoreggiata da diversi principi, questi sono e' dua membri principali. La terza parte è Portogallo, che confina con questi regni di Casti­glia e col mare Oceano, signoreggiata dal re don Emanuello; pic­cola provincia e più nota pel commerzio grande di mercatanti che tiene Lisbona, e per questo tratto di Caligut ed altri luoghi nova­mente scoperti, che per altra cagione.

La misura sua, nelle parte più alte verso e' Pirenei è circa miglia settecento, che tante sono da Barzalona a Santa Maria in Finibus terrae; per lo altro verso è in qualche luogo miglia cin­quecento, che tante debbono essere da' Pirenei allo stretto di Giubilterra; benché questa misura non sia in tutte le parte sua, perché sempre si va ristrignendo, massime dalla banda del mare Mediterraneo. Confina dalla parte di levante col mare Mediter­raneo, da mezzodì col mare Mediterraneo insino allo stretto di Giubilterra, di poi col mare Oceano; da ponente col mare Oceano; da settentrione collo Oceano e co' monti Pirenei.

La provincia è poco populata, ché si truovano rare terre e castella, e tra l'uno luogo grosso e l'altro non si truova pure una casa; ed in effetto ha pochi abitatori. Ha qualche bella città, come Barzalona, Saraosa, Valenzia, Granata, Sibilia; ma sono poche in un tanto regno, ed in sì grande paese, e fuori di alcuna principale, le altre universalmente sono terracce. El forte sono piccole, hanno brutti edifici e la maggiore parte in molti luoghi di terra, ed inoltre piene di fango e di bruttura. È provincia fertile ed abondante, perché ricoglie più frumento che non è necessario per uso suo; così del vino, che ne navicano in Fiandre ed in Inghilterra; olio grande quantità, che ne esce ogni anno del regno, per e' luoghi detti e per Alessandria, per più che ducati sessantamila. Ed è questa fertilità massime nelle parte basse di Andolosia e di Granata, e molto più sarìa abondante se fussi cultivato tutto; ma si trova lavorato intorno alle terre, e quello male cultivato, el resto sodo. Esce ogni anno del regno lana assai, che dicono per più di ducati dugentocinquantamila, escene seta finissima che si fa nelle parte basse. Di Biscaia ferro e acciaio in buona quantità, assai grana, cuoia ed allume e molte mercatantie, in modo che se quella nazione fussi industriosa e mercantile sarebbe ricca. È paese freddo verso e' monti Pirenei; verso la Andolosia e Granata cal­dissimo; più temperato ne' luoghi più mediterranei.

Li uomini di questa nazione sono uomini saturnini e di col­lora adusta; neri di colore e di statura piccola; sono di natura superbi, e non pare loro che nazione nessuna si li possa comparare; e nel parlare molto esaltatori delle cose proprie, e che si ingegnano di apparire quanto possono; amano poco e' forestieri e con loro sono molto villani; sono inclinati alle arme, forse più che altra nazione cristiana; e vi sono atti perché sono di statura agile e molto destri e svelti di braccia; e nelle arme stimano molto lo onore, in modo che per non lo maculare, universalmente non curano la morte. È vero che non hanno buoni uomini d'arme, ma usano gian­netti assai; a che li serve el paese, che vi nascono ottimi cavalli a questo esercizio; ed anche vi si sono dati più, che alli uomini d'arme, per le assidue guerre hanno avuto co' Mori, e' quali molto usano questo modo di milizia; né usano e' loro giannettieri, che così chiamano e' cavalli leggieri, balestre, ma giannette sole; in forma che in una giornata non possono essere di molto momento. Va­gliono più nel cacciare, nel turbare la coda di uno campo, nello impedire le vettovaglie e dare agli inimici simili disagi, che nello apiccarsi a fronte aperta. La fanteria, massime di questi regni di Castiglia, è in grande riputazione, e tenuta molto buona; ed è giudicato che nella difesa ed espugnazione delle terre, dove vale molto la destrezza e la agilità del corpo, trapassino tutti li altri; e per questa ragione e per l'animo buono che hanno, vagliono eziandio assai in una giornata; in modo che si potria cercare quale fussi meglio al campo largo, o lo spagnolo o el svizzero; la quale disputa lascio a altri.

Cominciano costoro a mettersi in ordinanza al modo sviz­zero, il che non so se è conforme alla natura loro; perché mentre che stanno in quella ordinanza ed in quello muro, non si vagliono della loro destrezza, che è quella cosa in che gli eccedono li altri. Tutti vanno colle arme allato, e si solevano a' tempi passati, oltre alle guerre esterne, esercitare molto nelle discordie tra loro, per­ché erano ogni dì in parte ed in arme, e per questa causa aveva la Spagna più soldati a cavallo che non ha oggi ed anche più esercitati, perché a tempo della reina donna Elisabella sono stati tenuti frenati in pace e con più giustizia; e per questo io sono di opinione che oggi la Spagna vaglia meno nelle arme che valessi mai.

Sono tenuti uomini sottili ed astuti, e nondimeno non vagliono in nessuna arte o meccanica o liberale; quasi tutti li artefici che sono in corte del re sono franzesi o di altre nazione. Così non si dànno alle mercatantie, che lo stimano vergogna, ché tutti hanno nel capo uno fummo di fidalgo; e si danno più tosto alle arme con piccola provisione, o a servire uno Grande con mille stenti e me­schinità, o innanzi al tempo di questo re, a assaltare uno cammino, che darsi alle mercatantie o a esercizio alcuno; benché oggi hanno cominciato in qualche luogo a attendervi, e di già in qualche parte della Spagna si lavorano panni e drappi, da altebassie chermisi e d'oro in fuora, come in Valenza, in Toleto, in Sibilia; ma univer­salmente la nazione ne è inimica. Così li artefici loro lavorano quando la necessità li caccia, di poi si riposano tanto che abbino speso el guadagnato; e questa è la cagione che le opere manuale vi sono molto care. El medesimo fanno e' villani lavoratori delle terre, che non si vogliono affaticare se non per estremo bisogno; però lavorano assai paese meno che e' non potriano lavorare, e quello poco che e' lavorano è molto male cultivato.

La povertà vi è grande, e credo proceda non tanto per la qua­lità del paese, quanto per la natura loro di non si volere dare agli esercizi; e non che e' vadino fuora di Spagna, più tosto mandano in altre nazione la materia che nasce nel loro regno, per comperarla poi da altri formata; come si vede nella lana e seta, quale vendono a altri per comperare poi da loro e' panni ed e' drappi. Debbe procedere dalla povertà lo essere di natura molto miseri, che da pochi Grandi del regno in fuora, e' quali vivono con grande sun­tuosità, si intende che li altri vivono in casa con una somma stret­tezza; e se pure hanno a spendere, se li mettono in dosso ed in mula, portando più fuora che non rimane in casa; dove stanno con una meschinità estrema ed inoltre in uno vivere tanto porco che è maraviglia. E benché e' sappino vivere col poco, non sono però sanza cupidità di guadagnare; anzi sono avarissimi e non avendo arte sono atti a rubare; e però anticamente, quando el regno era con meno giustizia, si trovava tutto pieno di assassini; e li serviva el sito, per essere in molti luoghi montuoso, e trovarsi pochi abitatori. E sono, per essere astuti, buoni ladri; e però si dice che è megliore signore el franzese che lo spagnuolo, perché tutti a dua spogliano e' sudditi, ma el franzese subito spende, lo spagnuolo accumula; ed anche lo spagnuolo per essere più sottile, debbe sapere meglio rubare.

Non sono vòlti alle lettere, e non si truova né nella nobilità [nè] negli altri, notizia alcuna, o molto piccola ed in pochi, di lingua latina. Sono in dimostrazione ed in cose estrinseche molto reli­giosi, ma non in fatti; sono di cerimonie infinite, le quali fanno con molte reverenzie, con umilità grande di parole e di titoli, con baciamenti di mano; ognuno è loro signore, ognuno li può co­mandare; ma sono da andare discosto, e fidarsi poco di loro.

È propria di questa nazione la simulazione, la quale si truova grandissima in ogni grado di uomini, e vi sono drento maestri; el nome che gli hanno della astuzia e dello ingegno, consiste in questo, ché nelle altre cose, come è detto, non se ne truova, che sono ingegni punici; ed in questo eccedono tutti li Andoluzi, e tra gli Andoluzi, Corduba città famosa ed antica patria del Gran Capitano; e da questa simulazione nascono le cerimonie ed ipo­cresia grande.

Tengono le donne in buono grado, e mentre vivono e' mariti e di poi; perché non solo recuperano la dota, ma eziandio si fa conto di tutto quello che aveva el marito quando la tolse; e se si truova guadagnato o accresciuto nulla, dividono per metà, ed è questa metà libera della donna, e si può rimaritare e farne quello li paressi, eziandio se vi sono rimasti figliuoli comuni. E non solo si divide quello che fussi guadagnato, ma ancora quello che fussi comperato doppo el contratto matrimonio; in forma che se el marito si trovasse mobile, e di poi l'avere tolta la donna, lo rinve­stissi in cose sode, tutte si dividono per metà, benché li eredi suoi pruovino che quelle cose sode sieno comperate di mobile che lui aveva innanzi al matrimonio; ed avendo el marito diminuito, la donna non patisce. E nondimeno con tanta indulgenza non hanno nome di essere oneste, non ostante che vi sieno pene gravissime alli adulterii; perché el marito può amazzare la donna e lo adul­tero sanza pena nessuna, trovandogli nello atto, o provando che lo abbino commesso.

Questa nazione insino a' tempi nostri è stata più oppressa, e con meno gloria ed imperio, che altra nazione di Europa; perché ne tempi antichissimi fu occupata in gran parte da' Galli, e' quali ne sottoposono molte provincie, e tennonle tanto che le piglio­rono nome da loro, di che si vede che loro ne furono perpetui possessori ed abitatori. È denominata da loro la Celtiberia, oggi detta Aragona, perché fu debellata ed abitata da quegli populi fran­zesi che si chiamono Celti, come dice quel poeta: Gallorum Celte miscentes nomen Hiberis; da loro è denominata la Gallecia, oggi detta Galizia. Successivamente di poi e' cartaginesi ne occuporono gran parte; e romani la debellorono tutta e più volte. Vinsonla e' vandali, da quali è denominata la Andalosia; ultimamente la pre­sono e' Mori di Africa, non solo quella parte che è volta a mezzodì, ma ebbono dominio insino in Aragona ed in Castiglia, confinando in qualche luogo co' monti Pirenei, ed insino a' tempi nostri ten­nono la Granata. In modo che la Spagna si può affermare essere stata in lunga servitù, né avere conosciuto imperio sopra altri; il che non si può dire né della Italia, né della Francia, né della Magna, nè di altra provincia della Cristianità. E certo pare cosa mirabile che così sia stato, essendo questa provincia tanto armi­gera, ed essendo stata anticamente, come testificano li scrittori, e massime Livio, che dice che la fu la prima impresa che facessino e' romani fuori di Italia in terra ferma, e la ultima che gli espe­dissino; e saria bello intenderne la cagione, che una nazione tanto armigera sia stata vinta da tante varie nazioni, e diverse eziandio di religione, e tenuta tanto lungo tempo in servitù.

La causa può essere stata che la abbi avuto migliori soldati che capitani, e che gli uomini sua sieno stati più atti a combattere che governare e comandare; e venendo io uno giorno quasi in su que­sto quesito col re don Ferrando, mi disse che questa nazione era atta assai nelle arme ma disordinata, e se ne traeva buono frutto quando vi fussi chi la sapessi tenere bene ordinata. E si vede che li scrittori antichi la lodano più tosto da una ferocia di pigliare le arme e suscitare guerre, che altro; e però Livio la chiama gente nata a reparare guerre; ed in altro luogo dice che la fa le guerre con più temerità che constanzia. Nondimeno non so se questa e la ragione vera; e pare mirabile che una provincia sì grande, dove sono tanti uomini in sulle arme, abbia sempre perduto in tante guerre che ha avuto con tante nazioni, ed in tante età, per non avere uomo che li abbi saputo reggere. Né so se sia sufficiente cagione el dire che la sia molto esposta alle nazione forestiere, alla Francia per terra, alla Africa ed Italia per mare; perché e le altre provincie sono quasi tutte o per mare o per terra esposte a molti inimici. Potrebbe forse esserne stato causa la discordia loro, che è sua naturale, per essere nazione di ingegni inquieti, poveri e vòlti a' latrocini, e per li antichi tempi sanza civilità alcuna di vivere; nè essere el regno di uno solo, ma diviso in molte varie signorie ed in molti regni, come ancora oggi rimangono e' nomi: Aragona, Valenza, Castiglia, Murzia, Tolleto, Lione, Corduba, Sibilia, Giahen, Portogallo, Granata, Giubilterra; e così chi l'ha assaltata non avere avuto a combattere con Spagna tutta insieme, ma quando con una parte, quando con una altra. Quella che ne sia suta la ragione, oscura è stata insino a' tempi nostri questa nazione; oggi non solo la vediamo fuora di servitù, ma cominciare a avere imperio in altri; il che è nato e dalla prudenzia di chi l'ha retta, e dallo essere congiunti in uno regno e governo Aragona e Castiglia, come apresso si dirà più largamente.

Questi dua regni Aragona e Castiglia sono stati lungamente retti da diversi re, insino a tanto che si fece el matrimonio tra don Fernando, unico figliuolo del re don Giovanni di Aragona, e duen­na Elisabeth, figliuola del re don Giovanni di Castiglia, la quale per la morte del re don Enrico, suo carnale fratello, fu erede del regno di Castiglia. Matrimonio certo fortunatissimo, per essersi congiunti, oltre a tanti regni, una donna singularissima con uno prudentissimo principe; e parve cosa conforme che questi regni di Castiglia venissino in dota al re don Ferrando, per essere di una stirpe medesima ed in tanta coniunzione di sangue, che se come si usa in molti altri regni, avessino e' maschi avuto a succe­dere innanzi alle femine, sarebbe stato quello regno suo eredi­tario. Né furono nello acquistarlo sanza difficultà, perché essendo fama che el re don Enrico fussi impotente al coito, aveva, vi­vente lui, la moglie sua fatta una figliuola la quale da molti era tenuta del re don Enrico; in modo che el re don Alonso di Porto­gallo, con disegno di torla per donna, venne a' favori sua, e li aderirono molti de' Grandi di Castiglia. Da altra parte erano an­cora molti signori e la più parte de' popoli, in modo che tra Toro e Zamora vennono a giornata, dove si trovorono personalmente e' dua re; ed essendo vincitore el re don Fernando, fu terminata la guerra.

Acquistato così el governo del regno, si trovorono in gran­dissime difficultà, e tutta la Castiglia in molti disordini. Era stato el re don Enrico uomo di poca qualità, ed oltre a avere distribuito tutto 'l suo mobile, aveva donato a' signori quasi tutte le città del regno ed entrate, in modo che lui si trovava poverissimo ed impotentissimo, ed avuto e' Grandi questo augumento, oltre a essere di natura intrattabili, aveano preso tanto ardire che né el re ne e sua ministri erano quasi ubiditi. Le cose della giustizia erano trascorse, e tutta Castiglia piena di latrocini, né si poteva uscire di città o luogo grosso sanza pericolo grande di essere assas­sinato. Tutte le città e castella del regno erano in parte e divisione fra loro; ogni giorno in sulle arme, ed ogni giorno si faceva omi­cidii o sangue. Aggiugnevasi una altra infezione brutta e vitupe­rosa, che tutto el regno era pieno di giudei ed eretici, e la maggiore parte de' populi erano maculati di questa pravità; e si trovava in loro tutti li ufici e arrendamenti principali del regno, e con tanta potenzia e numero, che si vedeva, non vi riparando, che in pochi anni Ispagna tutta arebbe lasciata la fede cattolica.

Erano questi disordini nelle viscere del regno; di fuora si tro­vavano a' confini la Granata, provincia notabile di Spagna, essere in mano de' Mori, che dava a' re infamia e debolezza; e nondimeno in tante piaghe vinsono questa felice coppia Fernando ed Elisabeth, con la virtù e fortuna loro, tutte le difficultà.

Principalmente, in processo di qualche tempo, con buono modo e sanza venire a rottura, cavorono di mano a' Grandi quel che el re don Enrico avea inconsultamente smembrato dalla Corona, e li ridussono a poco a poco a stare a obedienzia de' re; in forma che al comandamento di uno uomo solo, con una voce, ubbidisce ognuno, e va in prigione e fa tutto. Di poi con una severa giustizia providono agli assassini, faccendoli vivi saettare, ed instituendo uno ordine che si chiama lo armandato, che qualunque va a quere­larsi a uno luogo di essere stato rubato o lui o altri, e dà contrase­gni della qualità di chi l'avessi fatto, quelli di detto luogo sono constretti a andare cercando uno tanto numero di miglia, e non lo trovando, notificarlo di mano in mano a' luoghi vicini, e loro alsì cercarne, e fare a altri detta notificazione: in modo che è difficile lo scampare. Ed ha fatto questa diligente inquisizione, in­sieme con la severità della pena, e' cammini sicurissimi, da pochi luoghi in fuora, e' quali per la qualità de' siti è quasi impossibile tenere al tutto netti.

Nelle cose della fede providono, ordinando con autorità aposto­lica inquisitori per tutto el regno, che hanno, confiscando e' beni di chi si trovava culpato, ed ardendo le persone qualche volta, sbigottito ognuno; e fu talvolta che a Corduba arsono in una mattina cento e dugento persone, in modo che infiniti se ne par­tirono, che erano infetti; quegli che sono rimasti la vanno simu­lando, ma è opinione che se la paura cessassi, ancora assai ne tornerebbono al vomito.

Assettate queste cose, si volsono alla Granata, e con guerra di più anni la debellorono tutta; ed essendo fuggito el re, vi trovo­rono due sua piccoli figliuoli e' quali feciono battezzare. E se bene allora non li sforzorono . . . di quivi a qualche anno feciono uno editto, che tutti si facessino cristiani, e chi non voleva si partissi di Spagna; di che quasi tutti e' potenti e ricchi se ne andorono in Africa, li altri che rimasono si battezzorno: sì che giustamente fu dato loro dal papa il nome di Catolici re. In modo che oggi in tutta Spagna non abita se non cristiani, eccetto che ne' regni di Aragona dove abitano moltissimi Mori, usando loro moschee e cerimonie; e ve li hanno soportati lunghissimo tempo quegli re, perché pagano dazi assai.

Né fu in tante azione tenuta minore la gloria della reina, anzi per consenso di tutti furono attribuite a lei la più parte di queste cose, perché tutte le cose apartenente a Castiglia, andavano prin­cipalmente per sua mano. Lei dava loro la espedizione più impor tante, e nelle cose commune non era meno utile persuadere lei che el marito. Nè si può attribuire questo a non valere el re, con ciò sia che le cose successe poi, abbino mostro quanta sia la sua virtù; ma bisogna dire o che la reina fussi tanta singulare, che el re medesimo ancora li cedessi; overo che sendo questi regni di Castiglia sua propri, lui a qualche buono fine lo permettessi. Nar­rasi che lei fu molto amatrice della giustizia, del corpo suo onestissima, e che molto si faceva amare e temere da' sudditi sua, cupidissima di gloria, liberale e di animo molto generoso, in modo che la si può comparare a qualunque altra donna singulare di ogni età. Dicono ancora che, benché el re fussi naturalmente inclinato al giuoco, nondimeno che per rispetto di lei non giuocava se non rare volte, ed a giuochi molto ordinari; a che fa fede l'avere doppo lei giucato spesso ed a giuochi grossi nè onorevoli, e messovi più tempo che non si convenga a uno principe che abbi in sulle spalle e' governi di tanti regni.

Ordinate le cose de' loro stati propri, e ridotta la Spagna in una forza e buono governo, e liberata da quella sua servitù ed infa­mia antica, per tornare donde fu el principio del parlare primo, si è allargata la gloria di questa nazione, per avere recuperato lo stato di Perpignano impegnato al re di Francia dal re don Giovanni suo padre, per avere acquistato el regno di Napoli, vinti ed espu­gnati più luoghi importanti di Africa, e le isole trovate di nuovo, Spagnuola, Giovanna ed altre, dove si cava oro, del quale la quinta parte è del re, l'altra di chi lo cava; sì che la Spagna a tempi nostri si è alquanto illuminata, ed uscita dalla sua naturale oscurità.

E certo così come si è detto della reina, non è disforme, par­lando di questa provincia, parlare ancora del re; nè è necessario fare menzione nè della gloria sua che è oggi tanto grande, nè delle cose fatte da lui, per essere note a tutto el mondo, nè come doppo la morte della regina e' tenghi questi regni di Castiglia non come re, ma come governatore della regina duenna Giovanna sua figliuola, per essere lei fuora di mente; ma solo dire qualche cosa circa a' costumi sua e maniere.

Le opere che gli ha fatte, le parole, e' modi, e la opinione com­mune che ne è, mostrano che sia uomo molto savio: è secretissimo, nè conferisce le cose che importano se non per necessità; non potria essere più paziente; vive con ordine grande e con quello va dividendo el tempo; tutte le cose o grande o minime del regno suo vuole intendere lui e passano per sua mano, e benché mostri di intendere volentieri e' pareri di ognuno, lui è quello che da sé risolve e dispone el tutto. È tenuto vulgarmente avaro, il che non so se procede dalla natura sua, o pure che le spese grande e le faccende importanti che tiene, e le entrate piccole a rispetto di quelle, lo faccino essere così; ma si intende che procede assegnato e con limitare le spese quanto e' può. È esercitato nelle arme ed in­nanzi fussi re e da poi; mostra religione grandissima, parlando con reverenzia grande delle cose di Dio, e referendo tutto a quello; cosi mostrando gran devozione nelli uffici e cerimonie diverse, che è però naturale a tutta la nazione. È sanza lettere; molta è la umanità; le audienzie facile e le risposte grate e con maniera grande; e pochi sono quelli e' quali non contenti almeno con le parole. Ma ha nome di variare spesso da quello che e' promette o perché e' prometta con animo di non osservare, o pure che, quando le cose che succedino li fanno mutare proposito, non tenga conto di quello che una volta ha detto. Io bene credo che e' sappi simulare sopra tutti li altri uomini, ma non so già se el difetto sopradetto sia vero; e si vede che come uno ha nome di essere savio, li viene quasi sempre adosso el sospetto che si governi con arte, e ritiri, sanza respetto di altri, tutte le cose alli interessi sua; e pure spesso simili carichi sono fallaci. Insomma è re molto notabile e con molte virtù, nè si gli dà altro carico, o vero o falso che sia, che di non essere liberale, nè bene osservatore della pa­rola sua; nel resto si vede tutta costumatezza e moderazione. Non è esaltatore di se medesimo nè li esce mai di bocca se non parole pesate e da uomini savi e buoni.

Nè a tante virtù è mancata la fortuna, anzi insino a oggi si può annumerare tra' felici; perché di secondogenito di uno po­vero re di Aragona, diventato primogenito, ed avuto una sì sin­gulare moglie con tanti regni in dote, non li mancò mai, in im­presa che facessi, la fortuna; la quale oltre a' successi, li dette ancora occasione di cominciare le guerre con giustissimi tituli, come nella Granata, nella guerra di Africa ed ultimamente in questa guerra contro a Francia, cominciata sotto pretesto di di­fendere lo stato spirituale e temporale della Chiesa. Solo li mancò colore nella divisione fatta con Francia delle cose di Napoli, per essere sopra lo stato di uno suo parente strettissimo, ed al quale lui avea dato speranza di mandare aiuti che poi li furono contro. Nè pare conveniente iustificazione el dire che quello regno fussi suo ereditario, per essere stato del re Alfonso suo zio, che era morto sanza figliuoli legittimi, e l'aveva acquistato colle forze di Aragona; poiché e' l'aveva acquistato come cosa non apartenente a Aragona, nè questo re ne aveva mai fatto controversia alcuna. E meno si giustifica con quella ragione, che si intende essersi allora allegata e dalla reina e da lui, che lo faceano perché, non avendo rimedio che quello regno non venissi in mano del re di Francia, parse loro meglio che e' n'avessi parte che tutto; la quale ragione è più tosto utile che onesta. Mancata gli è solo la fortuna ne' figliuoli, con ciò sia che uno maschio unico morissi già ammo­gliato; delle femine, benché tutte fussino maritate a primogeniti di re, la prima, che fu donna del re di Portogallo, rimase presto vedova e si rimaritò al re don Emanuel, e poco poi mori sopra parto, lasciato un piccolo figliuolo che aveva a essere re di questi regni, el quale presto morì; la seconda, che è oggi reina, perdé presto el re Filippo suo marito, giovane bello e potentissimo, ed è fuora di sé; nella terza, donna del re don Emanuel, non ha avuto altra infelicità; la quarta, maritata al primogenito del re di Inghil­terra, perdé presto el marito, e si è avuta a rimaritare al secondo­genito. Benché queste infelicità sieno ascritte da qualcuni a buona sorte, perché se el maschio o la prima delle femine fussin vivi, o la seconda fussi in sé, sana facile cosa si fussi avuto a ritirare in Aragona. Nelle altre cose ha avuto perpetua fortuna, eccetto che quando el re don Filippo venne in Castiglia, nel quale tempo più tosto scherzò seco che lo offese.

La potenzia di questi regni di Spagna congiunti tutti insieme è oggi grande, massime per la copia grande ha di uomini armigeri e buoni cavalli, delle quali cose el nervo tutto consiste in Castiglia, donde ancora esce el forte della entrata de' danari. Perché el regno di Aragona è di poco utile di rendita al re, con ciò sia che per privilegi antiquissimi non li pagano quasi nulla; nè solo tengono immunità circa a' pagamenti, ma ancora nelle cose civile e crimi­nale hanno appello dal re el quale non li può maneggiare intera­mente; in forma che la reina donna Elisabeth, infastidita di tanti loro privilegi e libertà, usava dire: Aragona non è nostra, bisogna andiamo di nuovo a conquistarla. Non è così in Castiglia, dove e' populi pagano assai, e la parola sola del re prevale a tutte le legge. Quel che sia la entrata di tutto non so particularmente, ma non ha nome di essere molto grande, ed è soprafatta da molte spese e da provisione e merzede perpetue assai; ed è ancora, a tempo di questo re, minore che lo ordinario, perché per le spese lunghe che gli ha avuto, ha alienate entrate assai. Insomma alla grandezza del paese è povero re, e sanza Castiglia saria mendico; perché de' regni di Aragona non trae quasi nulla, se non che quando li fussi rotto guerra, sono tenuti a darli pagati, per difesa del regno, seicento uomini d'arme; ed anche alcuna volta li danno voluntariamente qualche sussidio, ma non è cosa ordinaria, nè vi possono essere constretti. Valsi ancora el re di estraordinari, come de' maestralghi, confiscazione di inquisizione, e con licenzia apo­stolica decime di preti; che sono tutte cose che escono di Castiglia.

Tiene el re ordinariamente . . . uomini d'arme a uso di Italia, che si chiamano li uomini d'arme della guardia, a' quali dà per uno ducati ottanta l'anno; ha di poi una altra sorte di milizia che si chiamono quelli dello accostamento, che tiene . . . uomini d'arme e cavalli leggieri; a' quali dà lo anno una piccola cosa di provisione, e loro sono obligati a tenere uno solo cavallo per uno, così l'omo d'arme come el giannettiero, e stare parati a ogni posta del re per le guerre di qua. Comandali quando vuole, e dà loro, del tempo che li adopera, uno tanto per dì, che viene a ragione di quattro ducati el mese vel circa. E ne risulta di questo ordine più benefìci, prima, che con poca spesa ordinaria ha sempre a sua posta in ordine quel tanto numero di uomini d'arme e giannetti; secondo, quando li ha a adoperare, non dà loro presta innanzi se non per uno mese o dua; terzio, che li licenzia a sua posta, ed avendone bisogno per dua mesi, li paga per dua mesi soli; che così non interviene alli altri, che bisogna che li conduchino per uno anno o dua al­meno; e questi omini d'arme di accostamento non hanno, come è detto, se non uno cavallo per uno.

Tiene alla guardia sua cento alabardieri, a' quali dà, per uno, poco meno di tre ducati el mese; tiene circa a millecinquecento fanti quali chiama di guardia, credo colla medesima provisione; e quando non se n'ha a servire in fazione di guerra, stando sem­pre presso alla corte quattro o cinque leghe, che è cosa ordinata da questo re da poi tornò di Italia. Li altri fanti che ha di bisogno, toglie alla giornata, e credo con non molta spesa, perché la po­vertà delli uomini, e la inclinazione che li hanno alla milizia, gliene dà copia assai. In effetto ha milizia assai e tutti sudditi e de' paesi sua; è vero che li uomini d'arme né sono bene a cavallo, né sono tenuti buoni. Sono e' giannettieri ottimi, e per esservi esercitati, e per avere cavalli perfetti; ma sono giannettieri schietti, perché insino a ora non usano balestre a cavallo, ma giannette sole. Hanno le fanterie nome di essere buone, e massime in espugnare le terre, ma communemente sono male armate, ed e' più hanno solo spada e brochiere; ed hanno questi soldati una proprietà, che sono tutti pazientissimi di ogni disagio, e sanno vivere col poco quando bisogna.

Oltre a queste milizie ha la Spagna una altra ragione di milizia per la cristiana religione; perché essendo anticamente oppressa molto da' Mori, furono in Castiglia instituiti tre ordini di cavalieri, Santo Iacopo, Alcantara e Calatrava, a similitudine de' cavalieri di Rodi, e' quali si chiamano commendatori, ed e' benefici loro commende; ed hanno grossissime entrate, e sono obligati a com­battere contro a' Mori che venissino in Ispagna; e vi è qualche ordine che non tiene altro carico, come San Jacopo che è el prin­cipale: possono tòrre donna, e vivono in tutto come li altri secu­lari. Ognuno di questi ordini suole avere uno Maestro Grande a vita, che è creato da tutti e' cavalieri di quello ordine; e quello Maestro conferisce a modo suo tutte le incommende. Ottennono di poi el re e la reina per apostolica autorità che questi maestral­ghi fussino in loro, e così li tiene oggi el re; il che feciono e per conto della entrata, che tutti e tre e' maestralghi passa ogni anno più di ducati cento ventimila, e per distribuire quelle commende a modo loro ed in loro allievi e favoriti. E servì ancora molto alla loro intenzione di abbassare e' signori di Castiglia; perché essendo sempre quelli maestralghi in uomini grandi, e trovandosi con tanta entrata, e con avere a conferire si grasse incommende, si tiravano drieto la nobilità di tutta Castiglia.

El modo della corte del re è che dà a quegli che lo servono ed ufìciali di casa sua, provisione secondo la qualità delle persone e de' luoghi che tengono, ma tutti vivono in loro abitazione di loro propio. Lui mangia solo ed in presenzia di molti, eccetto che per qualche grande solennità mangiono insieme la reina e lui. Altri non mangia con lui, se non a chi vuole fare onore supremo, come saria qualche gran signore del suo regno, o qualche grande imbasciata; il che non interviene quasi mai. Ognuno che vuole parlarli, quando lui siede, si inginocchia e non si leva, se da lui non è comandato; el quale quando è privatamente, fa sedere molti uomini di qualità; in publico, dove lui siede, non siede persona se non li imbasciadori. Usasi baciarli la mano ne' congressi primi o in sulle dipartenzie; la quale lui, come a imbasciadori e simili persone, mostra di fare resistenzia a porgerla. Alli altri se non la porgessi subito sarebbe carico, quando e' vengono di nuovo o vogliono partire; altrimenti per umanità spesse volte non la porge; e piace alli spagnoli che el re sia umano, ma in modo che ritenga la gravità e maestà sua. Mutasi ordinariamente la corte spesso di luogo a luogo, ed a chi séguita la corte è consegnato allog­giamento in casa altri, ed è tenuto el padrone della casa servirlo della metà della casa e di mezze le masserizie che vi ha drento; el quale costume è solo in Castiglia, perché ne' regni di Aragona tengono per privilegio di non avere a dare alloggiamenti più che si voglino.

Con tutto che, come è detto, questa nazione sia universal­mente misera, nondimeno e' Grandi, per quanto io intendo, vi­vono splendidamente e con suntuosità grande, né solo circa li apparati di tappezzerie ed argenterie, che è cosa che molto lo usano eziandio e' populari che hanno qualche facultà, ma in tutte le altre spese del vivere. Tengono buono numero di cortigiani, a' quali danno communemente provisione; e benché molti abitino disperse, sono sempre a accompagnare el signore quando cavalca; a alcuni dànno le spese in propria casa, a alcuni altri mandano ogni dì el vitto quotidiano per loro ed e' cavalli, che sì chiama mandare razione: el quale modo usano ancora quando vogliono onorare alcuno forestiero. Molti de' primi signori tengono uno numero di qualche centinaio di lance o di giannetti, chi più e chi meno, secondo le facultà loro, a' quali danno accostamento allo uso del paese; tengono grande tavola e grande piatto, e si fanno servire con tante cerimonie e reverenzie, come se ciascuno fussi re; parlano loro li uomini in ginocchioni, ed insomma si fanno adorare; che mostra quanto naturalmente questa nazione sia su­perba. Solevano a tempo degli altri re, questi signori di Castiglia governare el tutto, non essere molto obedienti, e male si lascia­vano maneggiare dal re. Ridussonli el re e reina a' termini debiti, in modo che non sono in quella autorità e grandezza che già sole­vano; nondimeno vi è più duchi e marchesi e conti, e le entrate maggiore non passano ducati quarantamila; e questa sono molti pochi che la abbino.

Benché particularmente usino cerimonie e mostrino reverenzia alle cose di Dio, nondimeno el culto divino non vi fiorisce molto, nè si esercita con ordine, anzi disordinatamente; nè vi si intende monasterio alcuno, o di uomini o di donne, avere nome di santità o di una singulare vita. È bene vero che vi è molti vescovadi con entrate grossissime, e che hanno lo spirituale e temporale, de' quali è maggiore lo arcivescovado di Toledo che dicono aggiugne a ducati cinquantamila; èvi Sibilia e Compostella che passano ducati quindicimila; molti vi sono di sei otto o diecimila ducati. Sonvi molte buone chiese e badìe. E la ricchezza de' luoghi ec­clesiastici è causata in gran parte dalle decime che pagono e' po­puli, e' quali danno alla Chiesa la decima parte di tutto quello che nasce in sul loro, così degli animali come delle possessione, che è grande cosa; e di questa decima ne va circa a dua noni nel re, l'altra si distribuisce parte nel prelato della chiesa, parte nel vescovo della diocesi.

La entrata di tutto el regno si può sapere male a punto el par­ticulare, pure per quanto io intendo, questi regni di Castiglia ren­dono in tutto poco più di trecento conti, che sono ducati ottocen­tomila in circa; de' quali circa alla metà ne è obligata per giuri e promettiti, che sono alienazione di entrate, e provisione o mer­zede perpetue fatte da' re; e di questi el re non vede uno maravi­dis. In sulli altri quattrocentomila ha le spese della corte sua, degli uficiali, le spese delle case delle reine, le fortezze; in modo che di questi non può avanzare molti. Ha di poi la entrata de' maestralghi, in sulla quale nondimeno ha spese di accostamenti ed altri oblighi; in modo che non la avanza tutta, e lui dice che non ne avanza niente. Ha la entrata di queste isole trovate di nuovo, che la quinta parte di tutto lo oro si cava è sua; che dicono gli tocca l'uno anno per l'altro circa a cinquantamila castigliani, ed è chi dice di settantamila. Cavato ha pe' tempi passati molto delle inquisizione, perché a ogni sentenzia che se ne dia, o della vita o di altro, vi è la confiscazione de' beni; e benché ne donassi molti degli immobili, pure n'ebbe di gran profitti; oggi fa poco. Ha le confiscazione ordinarie delli altri delitti che non sono molte.

Valsi in queste sue guerre che fa contro agli infedeli o per difesa della Chiesa, per licenzia apostolica, di decime dal clero; così ottiene giubilei, indulgenzie, composizione di chi avessi roba aliena e di qualche altro delitto. A rincontro di questo, oltre alle spese di sopra, ha questi accostamenti; ha la guardia di Orano, Mazalchibir, Bugia e li altri luoghi di Barberia; in modo che raccolto tutto, si giudica che la spesa si accosti molto bene alla entrata; e benché sia voce che li abbi in Aragona assai tesoro, pure e savi non lo credono. La entrata de' regni di Aragona, Sardigna, Maiorica e Minorica è piccola cosa; così di Sicilia non cava molto. Della entrata di Napoli anche va assai ne' sessantamila ducati che dà ogni anno alle reine, ed in molte rendite di danari che gli assegnò a' signori della parte di Aragona, a' quali tolse li stati per rendergli agli Angioini, secondo la forma de' capituli fatti con Francia; a' quali tutti dette lo equivalente o in danari o in stati; in modo che tra queste spese, quelle che fa nelle gente d'arme e condotte vi tiene ordinariamente, nella guardia delle fortezze e delle galee, è fama qua che a lui non ne sia pervenuti ordinariamente ducati trentamila lo anno.

Oltre alle entrate sopradette ha el più del tempo per privilegio apostolico facultà di riscuotere dallo ecclesiastico una decima e qualche volta dua; la quale benché sia generale in su tutti e' regni sua di Castiglia ed Aragona, nondimeno quello ne trae è quasi solo di Castiglia; perché quando el regno di Aragona lo serve di qualche sussidio per via delle corte, eccettua sempre che durante uno tanto tempo li ecclesiastici non abbino a pagare alcuna spezie di decima o sussidio che el re in quel tempo ottenessi dal papa, in modo che questo peso rimane in Castiglia solo; la quale si è convenuta seco di quanto abbi a pagare per decima, che sono ducati sessantamila vel circa. Ottenne ancora uno sussidio eccle­siastico per conto della guerra contro agli infedeli, che lo chia­mono la cruciata; per la quale si dà perdoni grandi a chi la piglia, autorità di assolvere da quasi tutti e' casi reservati ed in vita ed in morte, pagando ciascuno per questo dua reali, che è moneta che ne va undici a ducato. Dassi ancora per questa bolla autorità di assolvere da molti casi usurari, e dove cade restituzione, ne quali compongono secondo la qualità del caso, o più o meno; e tutto quello che se ne trae viene nel re, sotto nome della guerra contro alli infedeli, e venendo in beneficio regio, e' ministri che vi sono deputati la aiutano con tutti e' modi diretti ed indiretti che sia possibile, dividendola e distendendola a infiniti casi.

Questa facultà fu concessa da principio per tempo determinato; di poi el re ne ha sempre di tempo in tempo ottenuta la proro­gazione, e così la ha ancora oggi. Cavòronne assai nel principio, sendo la cosa nuova; e dicono in spezie che lo anno che el re prese Malica, ne trasse ducati ottocentomila. Di poi è diminuita, perché nelle città pochi la pigliano; nel contado assai, quasi sforzati e per paura; pure rende oggi ordinariamente presso a trecento­mila ducati. Pare a questi papi concederli poca cosa; ma è stata tanta, che sanza tali sussidi questo re non solo non arebbe presa Granata e tanti regni esterni, ma arebbe avuto difficultà di conser­vare Aragona e Castiglia. E però uno papa prudente, e che in­tendessi bene le cose, gliene concederebbe con qualche gran pro­fitto della Chiesa; la quale non è re alcuno che sia più obligato ad aiutare che costui, avendo per la autorità di lei tanto profitto. Compiaceronlo ancora e' papi di conferire e' vescovadi communemente a modo suo; e particularmente nel regno di Granata li con­cedette Innocenzio non solo el padronato de' vescovadi, ma ancora de' canonicati e di tutti e' benefici curati, rimettendo allo arbitrio suo di assegnare loro solamente quella entrata e rendita che li paressi.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Francesco Guicciardini - Opere", a cura di Vittorio de Caprariis, LETTERATURA ITALIANA - STORIA E TESTI, Volume 30, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1953







        Francesco Guicciardini - Opera Omnia  -  a cura de ilVignettificio

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