Francesco Guicciardini - Opera Omnia >> Storie fiorentine |
ilmachiavelli testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia # DAL 1378 AL 1509 I SOMMARIO DELLA STORIA FIORENTINA DAL TUMULTO DEI CIOMPI ALLA MORTE DI COSIMO IL VECCHIO (ANNI 1378-1464). Nel 1378 sendo gonfaloniere di giustizia Luigi di messer Piero Guicciardini successe la novità de' Ciompi, di che furno autori gli otto della guerra, e' quali per essere stati raffermati piú volte in magistrato, s'avevano recata adosso grande invidia e grande contradizione da' cittadini potenti, e per questo si erano rivolti a' favori della moltitudine; e però procurorono questo tumulto, non perché e' Ciompi avessino a essere signori della città, ma acciò che col mezzo di quegli, sbattuti e' potenti ed inimici sua, loro rimanessino padroni del governo. Il che fu per non riuscire perché e' Ciompi, preso lo stato e creato e' magistrati a loro modo e non a arbitrio degli otto, volevano potere tumultuare ogni dí la città, e non arebbono gli otto potuto ritenergli; se non che Michele di Lando, uno de' Ciompi ed allora gonfaloniere di giustizia, vedendo che questi modi partorivano una inevitabile ruina della città, accordatosi cogli otto e cogli aderenti loro, fu cagione di tôrre lo stato a' Ciompi; e cosí el bene e la salute della città nacque di luogo che nessuno l'arebbe mai stimato. Rimase el governo piú tosto in uomini plebei e nella moltitudine che in nobili, e fecionsene capi messer Giorgio Scali e messer Tommaso Strozzi e' quali con questo favore popolare governorono tre anni la città, e feciono in quel tempo molte cose brutte, e massime quando senza alcuna colpa, ma solo per levarsi dinanzi gli avversari loro, tagliorono el capo a Piero di Filippo degli Albizzi che soleva essere el piú riputato cittadino di Firenze, a messer Donato Barbadori ed a molti altri innocenti; ed in ultimo, come è usanza, non potendo essere piú soportati, ed abandonati dal popolo, a messer Giorgio fu tagliato el capo; messer Tommaso campò la vita col fuggirsi ed ebbe bando in perpetuo lui e suoi discendenti e messer Benedetto degli Alberti, che era uno de' primi aderenti loro, fu confinato. Ebbe la città in quegli tempi piú volte molti tumulti, e finalmente con uno parlamento si fermò lo stato nel 93, sendo gonfaloniere di giustizia messer Maso degli Albizzi, el quale in vendetta di Piero suo zio, cacciò di Firenze quasi tutti gli Alberti, e rimase el governo in mano di uomini da bene e savi, e con grandissima unione e sicurtà si continuò insino presso al 1420; e non fa maraviglia, perché gli uomini erano tanti stracchi delle turbulenzie passate, che abattendosi a uno vivere ordinato, tutti volentieri si riposorono. E veramente in quegli tempi si dimostrò quanta fussi la potenzia della città nostra quando era unita, perché soportorono dodici anni la guerra di Giovan Galeazzo con spesa infinita e di eserciti italiani ed esterni, che feciono passare in Italia in diverse volte uno duca di Baviera, uno conte di Ormignacca con quindicimila cavalli, uno imperadore Ruberto; ed a pena sendo usciti di questa guerra, credendosi che la città fussi esausta e per carestia di danari per riposarsi qualche tempo, feciono la impresa di Pisa, nella quale, e nella compera e nella espugnazione, spesono una somma infinita di danari. Ebbono di poi la guerra con Ladislao re di Napoli e difesonsi francamente anzi ne acquistorono Cortona, in ricompenso però di buona somma di danari; comperorono Castrocaro, e finalmente ebbono tanti successi, e nella città che si conservò libera, unita e governata da uomini da bene e buoni e valenti, e fuora, che si difesono da inimici potentissimi ed ampliorono assai lo imperio, che meritamente si dice che quello è stato el piú savio, el piú glorioso, el piú felice governo che mai per alcuno tempo abbi avuto la città nostra. Dal 1420 poi al 1434 venne la guerra del duca Filippo, e la divisione della città in due parte, d'una di quale era a capo Niccolò da Uzzano, uomo riputato molto savio ed amatore della libertà, dell'altra Giovanni di Bicci de' Medici e di poi Cosimo suo figliuolo e finalmente doppo molte contese ed agitazione, partorirono nel 1433 che sendo gonfaloniere di giustizia, di settembre, Bernardo Guadagni, la parte di Niccolò da Uzzano, el quale era già morto, avendo una signoria a suo proposito, fece sostenere in palagio Cosimo de' Medici e di poi lo confinò insieme con Lorenzo suo fratello ed Averardo suo cugino, a Vinegia; ed in capo di pochi mesi eziandio fu preso messer Agnolo Acciaiuoli, ebbe della fune e fu confinato in Grecia. Cacciato Cosimo, rimasono capi del governo messer Rinaldo degli Albizzi, Niccolò Barbadori, Peruzzi, Bischeri, Guadagni, Castellani, Strozzi ed altri simili, ma poco lo seppono tenere, perché el settembre seguente che fu in capo dello anno la signoria che ne fu gonfaloniere Niccolò Cocchi, non però sanza grande tumulto e pericolo rispetto a quella parte che prese le arme, fece parlamento e rimesse Cosimo e cacciò e' capi della parte avversa. E perché l'una e l'altra rivoluzione, cioè del 33 e del 34, fu fatta dalla signoria che entra di settembre e che si era tratta el dí di san Giovanni dicollato, però fu ordinato che per lo avenire la signoria non si traessi piú in tal dí, ma el dí dinanzi, e cosí si è sempre osservato, eccetto pochi anni a tempo di fra Girolamo. Furono potissima cagione di questa ritornata di Cosimo, Neri di Gino Capponi, Piero di messer Luigi Guicciardini, Luca di messer Maso degli Albizzi ed Alamanno di messer Iacopo Salviati, ma massime vi si operorono Neri e Piero. Tornato Cosimo e fatto capo del governo e fatta fare una Balía di cittadini, per sicurtà dello stato cacciò di Firenze in grandissimo numero tutti gli avversari sua, che furono molte famiglie nobilissime e ricchissime, ed in luogo di quelle cominciò a tirare su di molti uomini bassi e di vile condizione, e dicesi che sendo Cosimo ammunito da qualcuno che e' non faceva bene a spegnere tanta nobiltà, e che mancando gli uomini da bene, Firenze rimaneva guasta, rispose che parecchi panni di San Martino riempierebbono Firenze di uomini da bene; volendo inferire che cogli onori e colle ricchezze gli uomini vili diventavano nobili. Erano allora nella città molte casa nobile che si chiamavano di famiglia, le quali pe' tempi adrieto, sendo grande e soprafaccendo gli uomini di manco forze, erano state per opera di Giano della Bella private de' magistrati della città, massime del priorato e de' collegi, e fatto contra loro molti ordinamenti e legge forte che reprimevano la loro potenzia, e nondimeno era stato riservato loro alcuno uficio, ne' quali per legge avevono a avere una certa parte, ed oltra ciò nelle legazione e ne' dieci della Balía avevono buono corso. Con costoro non aveva Cosimo inimicizia particulare, perché loro sendo alienati dello stato, non l'avevono offeso nelle sue avversità, e nondimeno rispetto alla loro maggioranza e superbia non gli amava, né si sarebbe confidato di loro, e però per tôrre loro quella parte de' magistrati riservata loro dalla legge, e nondimeno in modo che vi avessino a concorrere, fece una provisione, e si disse con consiglio di Puccio Pucci, che quelle tali famiglie che vulgarmente si chiamavano de' grandi, fussino fatte di popolo; e cosí levò loro le legge che gli opprimevano ed abilitogli a tutti gli onori come gli altri cittadini. Di che nel principio acquistò con loro grado grande, e nondimeno lo effetto fu che non vincevano gli squittini e non erano eletti a' magistrati; in modo che non solo non acquistorono di quegli ufici a' quali prima erono inabili, ma vennono anche a perdere quegli che la legge dava loro di necessità. Legò Cosimo lo stato col fare dare a un numero di cittadini balía per anni cinque, e fece squittini nuovi di tutti e' magistrati della città drento e di fuori; e nondimeno, per la autorità aveva la balía, e' signori quasi sempre a suo tempo non si trassono a sorte, ma si eleggevano dagli accopiatori a modo suo; e quando era a tempo de' cinque anni che durava la balía, faceva prorogare quelle autorità per altri cinque anni. Ebbe sopratutto cura che nessuno di quegli cittadini che erano stati sue fautori non si facessi sí grande che lui avessi da temerne, e per questo rispetto teneva sempre le mani in sulla signoria ed in sulle gravezze per potere esaltare e deprimere chi gli paressi; nelle altre cose e cittadini avevono piú autorità e disponevano piú a loro modo che non feciono poi a tempo di Lorenzo, e lui dava volentieri loro ogni larghezza pure che fussi bene sicuro dello stato. E parendogli che Neri di Gino avessi piú riputazione e forse piú cervello che alcuno altro cittadino di Firenze, dubitando non pigliassi tanto credito che avessi da temerne lo adoperava piú che alcuno altro in tutte le cose importanti della città drento e fuori, e nondimeno cominciò a dare credito a Luca Pitti, el quale non era valente uomo, ma vivo liberale animoso e piú servente e per gli amici che alcuno altro che fussi a Firenze, e cosí uomo da fargli fare ogni cosa sanza rispetto, e non di tal cervello che gli paressi avere da temerne. Cominciò costui molte volte nelle pratiche, massime quando le cose non erano di molta importanza, quando Neri aveva parlato, a dire tutto el contrario di quello che aveva consigliato Neri, e quivi per ordine di Cosimo erano molti che riprovavano el parere di Neri ed approvavano quello di Luca; di che accorgendosi Neri e vedendo lo stato di Cosimo in modo da non potere alterarlo e che volendo rompere con lui sarebbe come dare del capo nel muro, sendo savissimo, mostrava non vedere ed aveva pazienzia aspettando tempo ed occasione. Era in quello tempo Baldaccio d'Anghiari capitano di fanterie, uomo di grande animo e valente nel mestiero suo e di grande credito apresso a' soldati e molto stretto ed intrinseco amico di Neri; di che temendo Cosimo, e volendo levare a Neri questo instrumento attissimo a fare novità aspettando che Neri fussi fuora di Firenze o imbasciadore o commessario, fece che messer Bartolomeo Orlandini gonfaloniere di giustizia mandò per lui in palagio, ed avutolo in camera lo fece subito da gente ordinate quivi per quello, gittare a terra dalle finestre. Nel tempo che tornò Cosimo era la città collegata co' viniziani ed in guerra contro al duca Filippo, la quale si continuò per dodici o quattordici anni, tirandosi eziandio adosso qualche volta la guerra con papa Eugenio e col re Alfonso, delle quali cose perché sono notissime non ne dirò altro; e cosí de' successi del conte Francesco, e come con favore della città acquistassi el ducato di Milano. Solo dirò questo, che quando e' viniziani presono la difesa dello stato di Milano contro al conte Francesco, venuto a Firenze in consulta quello si avessi a fare perché ed el conte ed e' viniziani erano stati amici e collegati della città, la piú parte si accordava che si dovessi conservare la amicizia de' viniziani e favorirgli contro al conte. A Cosimo parve altrimenti, e mostrò con ragione che era meglio favorire el conte: e cosí si segui. Di che lui ne acquistò Milano e nacquene la salute di Italia; perché se cosí non si faceva e' viniziani si facevano sanza dubio signori di quello stato e successivamente in breve di tutta Italia; sí che in questo caso la libertà di Firenze e di tutta Italia s'ha a ricognoscere da Cosimo de' Medici. Sendo di poi el conte diventato duca di Milano e non avendo fatto pace co' viniziani, fu el disegno loro tenergli questo cocomero in corpo, giudicando che essendo entrato in uno stato nuovo e spogliato e sanza danari e bisognandogli stare armato, si consumerebbe da se medesimo; di che accorgendosi el duca si risolvé essergli necessario, poi che non poteva avere pace ragionevole da' viniziani, accozzare tante forze che potessi rompere loro guerra, e cosí per forza recuperare quello avevono occupato doppo la morte del duca Filippo, e ridurgli a' loro termini. Ed a questo effetto si trovava gente assai, ma gli mancava danari a poterle mettere in ordine, e vedendo non potere sperare nel re Alfonso che gli era inimico, né nel papa che voleva stare neutrale, cercava per fare questi effetti avere sussidio di danari da' fiorentini. A Cosimo ed a' piú savi pareva da farlo, per ovviare a tanta grandezza de' viniziani, ma bisognando gran somma di danari e vedendo el popolo che si stava in pace e non gustava e' pericoli futuri, alieno in tutto dallo spendere, non si ardivano mettere innanzi questa pratica, e però scrivevano al duca che chi governava era bene disposto, ma che avessi pazienzia perché non era tempo a parlare di simile materia. E certo se e' viniziani si fussino portati prudentemente, ed atteso a tenere bene disposta con umanità e buone parole la città, né ricercala di alcuno aiuto, ma contentatisi si stessino a vedere, era facile cosa conducessino a fine e' loro disegni, dove pel contrario la loro arroganzia e durezza aperse la via a' favori del duca Francesco. Perché avendo fatta lega col re Alfonso, richiesono la città, a chi riservorono el luogo, ci volessi entrare drento, il che sendo loro negato, e risposto che la Italia era in pace e però non bisognava fare nuove leghe, insuperbiti grandemente cacciorono di tutto el loro dominio e' mercatanti fiorentini, fatte loro prima molte stranezze, ed operorono che el re Alfonso fece el medesimo. Il che inteso a Firenze deputorono messer Otto Niccolini imbasciadore a Vinegia; e chiedendo salvocondotto per lui, lo negorono, credendo con questi modi che la città o per paura o per voluntà di potere usare el dominio loro conscendessi a ogni cosa. Ma fu tutto el contrario: perché el popolo se ne sdegnò tanto che fu poca fatica a chi governava persuadere loro che fussi bene pensare a difendersi ed a offendere e' viniziani, e però mandorono al duca Dietisalvi di Nerone, e feciono con lui lega a difesa degli stati servendolo di gran quantità di danari, di che el duca roppe guerra a' viniziani ed el re Alfonso a noi, con quegli effetti che per essere celebrati in su tutte le istorie non si raccontono. Questi modi de' vinizani non so se nacquono da loro, o pure se chi desiderava favorire el duca in Firenze persuase loro per qualche modo destro che la via d'avere aiuto dalla città era questa, per ridurre con tali inconvenienti el popolo a infiammarsi contra loro; e certo se el disegno fussi nato cosí, non potette uscire se non da uomo di gran prudenzia. Quel che si sia, tal cosa può dare esemplo che chi non può assolutamente comandare a' popoli e sforzargli, gli conduce a ciò che vuole piú tosto colle carezze e modi dolci che colle asprezze; benché altrimenti è in chi può comandare loro e domargli; e questa qualità se è in popolo nessuno, è nel nostro che, come si dimostra ogni dí per mille esempli, quando teme potere essere sforzato di presente si condurrebbe coll'aspro in ogni luogo, ma quando è fuora di questa paura, non si conduce col mostrargli timore minacci o sospetto, ma solo col dolce e colle speranze. Fatta di poi la pace in Lodi fra 'l duca e fiorentini da una parte, ed e' viniziani dall'altra, e di poi a Napoli pace e lega universale di tutta Italia, eccetto e' genovesi e Sigismondo Malatesta signore di Rimino, la città stette molti anni sanza guerra, nondimeno con sospetti di fuora e con movimento drento; le quale cose secondo la mia notizia narrerò piú particularmente, perché da quello tempo in qua non ci è ancora chi abbi scritto istorie. Doppo la pace fatta, e' viniziani dettono subito licenzia al conte Iacopo Piccinino loro soldato; e la cagione in verità fu, prima per levarsi da dosso la spesa della condotta sue che era ducati centomila; secondo, perché avevano capitoli con Bartolomeo Coglione da Bergamo loro condottiere, che la condotta sua fussi ducati centomila mentre el conte Iacopo era a' soldi loro, e partito lui si riducessi a ducati sessantamila; terzo, per alleggerire e' sudditi loro che dove stanziavano le genti del conte Iacopo pativano disagi e danni innumerabili. A Milano ed a Firenze dispiacque assai questa cosa, dubitando che el conte Iacopo, per essere soldato di riputazione ed a chi facilmente tutti e' cassi e sviati farebbono capo, non suscitassi qualche movimento in Italia, e forse per ordine occulto de' viniziani, e cosí si raccendessi la guerra passata, e massime che in quegli dí morí papa Niccola che era stato autore della quiete universale e fu in suo luogo creato Calisto. E però el duca e la città feciono grande instanzia per imbasciadori, che e' viniziani lo sopratenessino almeno tanto tempo che le cose di Italia fussino un poco piú assodate. Non vollono e' viniziani farne nulla; e però partitosi de' terreni loro, stando Italia sospesa di quello avessi a fare, roppe guerra a' sanesi sotto pretesto di conti vecchi avevano col padre Niccolò Piccinino; ma risentendosene e' signori della lega e massime el papa ed el duca Francesco che mandorono gran numero di gente in soccorso de' sanesi, fu tanto stretto che per non avere luogo dove ridursi era necessario si spacciassi; se non che el re Alfonso, mandatogli alcune galee, lo ridusse salvo con le sue gente nel reame; di che si vedde che quel che aveva fatto era stato di consentimento del re, el quale era inquietissimo e non poteva vivere in pace. Seguitò poi che el re roppe guerra a' genovesi, e mandò, credo, el conte Iacopo in Romagna, a' danni de' Malatesti che a sua contemplazione erano fuori della lega universale. Ne' quali tempi trovandosi ancora e' sanesi in molta disunione e faccendosi ogni dí fuorusciti, la città stava in gran sospetto e paura del re, che ancora teneva le mani ne' casi di Piombino, dubitando che se acquistava la oportunità di alcuno di quegli luoghi, sendo naturalmente tanto ambizioso ed inquieto, questa vicinità non mettessi la città in qualche grave pericolo. Aggiugnevasi che nella città era disunione grande e molti malcontenti e cupidi di cose nuove; di che el governo presente non era gagliardo come soleva, anzi pareva indebolito, e però e' cittadini dello stato si risolvevano, per ovviare a' pericoli e sicurare lo stato, che come avessino uno gonfaloniere di giustizia a loro proposito, fussi da purgare la città di umori cattivi. A Cosimo non pareva, ed ancora Neri, che poco poi morí, era di medesima opinione, giudicando forse che rispetto agli andamenti del re ed e' sospetti di fuora, non fussi bene accrescere travagli alla città. E stando le cose in questi termini, nel 1457 el re, che era tutto vòlto alla espugnazione di Genova, si morí, lasciato el regno a don Ferrando suo unico figliuolo non legittimo, di che posati e' tumulti e pericoli di fuora, Cosimo si risentí e volse lo animo a assicurare lo stato; e però sendo nel 58 gonfaloniere di giustizia Luca Pitti, sonorono a parlamento, e ristretta la autorità ed el governo della città a loro proposito e riformato el reggimento, confinorono ed ammunirono un numero grande di cittadini, in modo che Cosimo e gli aderenti sua rimasono al tutto e sicuramente padroni del governo; e Luca Pitti, che fu poi fatto cavaliere dal popolo, ne acquistò tale riputazione e credito, che doppo Cosimo era assolutamente el primo cittadino di Firenze. Morí nel medesimo anno 1458 papa Calisto, e fu eletto in suo luogo papa Pio, chiamato prima Enea de' Piccuolomini da Siena, el quale confermò nel regno di Napoli don Ferrando e fece parentado con lui, conciosiaché el re per ottenere le bolle del reame dette una sua figliuola non legittima per moglie a uno nipote del papa, e per dote el ducato di Malfi. Ma poco poi Giovanni d'Angiò chiamato duca di Calavria, e figliuolo del re Rinieri, pretendendo per le antiche differenzie fra gli angioini e ragonesi el reame spettare a lui, partitosi da Genova dove era a governo pel re di Francia, con una grossa armata venne nel reame, dove aveva intelligenzia col duca di Sessa cognato del re Ferrando, col principe di Taranto e con molti altri signori e baroni del regno, di che seguitò molte ribellioni contro al re, e poco di poi el conte Iacopo che era per lui in Romagna, avendo cattivi pagamenti, s'accordò co' franzesi con grandi partiti e vantaggi, e passò nel reame a' favori loro. Di che el re vedendosi oppresso, ricorse a dimandare aiuto a' potentati di Italia, pretendendo che per la lega fatta a Napoli e' fussino obligati; da altra parte e' franzesi facevono grande instanzia che el duca Giovanni fussi favorito; el papa ed el duca Francesco dettono aiuto al re Ferrando; e' viniziani stettono neutrali. Cosí parve a Cosimo ed a' piú savi che la città dovessi starsi a vedere, e tenere e' panni a chi voleva annegarsi, e non mettere pe' casi di altri lo stato suo a pericolo; e massime che per avere el re Alfonso dato nel 54 aiuto al conte Iacopo quando fece impresa contro a' sanesi, si poteva largamente dire avessi contrafatto alla lega, e cosí essere finiti li oblighi avevono gli altri per vigore della lega seco. Lo effetto di questa guerra fu che avendo avuto el re Ferrando una gran rotta al Sarno colla morte di Simonetto suo primo condottiere, si fece giudicio avessi in brieve a perdere lo stato, e cosí era sanza riparo, se dalla parte del duca Giovanni si fussi con prestezza usata la vittoria. Ma e' principi del reame che erano seco o per fraude per mantenere piú la guerra, o per la buona sorte dei re don Ferrando, che non gli lasciò cognoscere le occasione, furono tanto lenti che ebbe tempo a ripigliare le forze e, sopravenendo aiuti da Roma e da Milano, farsi di nuovo forte alla campagna. E finalmente feciono una altra volta fatti d'arme, dove el duca di Calavria fu rotto, ed el re seguitò in modo la vittoria che fu constretto lasciare el reame ed e' principi amici suoi in preda, e' quali in breve tempo si accordorono col re el meglio potettono, ed el conte Iacopo si patteggiò uscire del reame per mezzo del duca di Milano, ed andonne a Milano a consumare el matrimonio con madonna Drusiana sua donna, che era figliuola bastarda del duca Francesco. Morí circa a detto tempo, cioè nell'anno 146[4], Cosimo de' Medici, che era stato molti anni in casa amalato di gotte e nondimeno non aveva mai intermesso el governare la città. Lasciò alla morte non gli fussino fatte esequie suntuose, e cosí si seguí, ma furongli dati tutti quegli onori che può una città libera dare a uno suo cittadino, ed intra gli altri fu per publico decreto chiamato padre della patria. Fu tenuto uomo prudentissimo, fu ricchissimo piú che alcuno privato, di chi s'avessi notizia in quella età, fu liberalissimo, massime nello edificare non da cittadino, ma da re. Edificò la casa loro di Firenze, San Lorenzo, la Badia di Fiesole, el convento di San Marco, Careggio, fuori della patria sua in molti luoghi, eziandio in Ierusalem, ed erano gli edifici sua non solo ricchissimi e di grande spesa, ma fatti ancora con somma intelligenzia; e per lo stato grande, ché fu circa a trenta anni capo della città, per la prudenzia, per la ricchezza e per la magnificenzia ebbe tanta riputazione, che forse dalla declinazione di Roma insino a' tempi sua nessuno cittadino privato n'aveva avuta mai tanta. E in tutte queste cose viveva in casa come privato e civilmente, tenendo conto ancora delle possessione, che n'aveva infinite, e delle mercatantíe, nelle quali ebbe tanto successo, che non fu uomo che si impacciassi seco, o come compagno o come governatore, che non ne arricchissi. II GOVERNO DI PIERO DI COSIMO (1464-1469). Morto Cosimo, rimase capo dello stato Piero' suo figliuolo, el quale non ebbe quella prudenzia e laudabili parte aveva avuto el padre; nondimeno fu di buona natura e clementissimo, ed ebbono apresso a lui buono essere e' cittadini dello stato, perché oltre alla buona natura, sendo lui molto impedito e quasi perduto di gotte, si lasciava quasi governare; di che alcuni usurporono tanta autorità, che furono per tòrgli lo stato, come di sotto si dirà. Morí etiam in quel tempo, nel 1464, papa Pio, e fu eletto in luogo suo Pagolo, di nazione veneto, di casa Barbo, che si dimostrò nel principio molto favorevole ed affezionato alle cose della città. La quale buona disposizione fu per interrompersi, perché, sendo morto in levante contro a' turchi el cardinale camarlingo e patriarca di Aquileia, el quale era ricchissimo ed aveva in Firenze grandissima somma di gioie, danari ed altro mobile, ed avendo lasciato per testamento queste sua facultà a certi degli Scarampi, de' quali era uno genero di Luigi Pitti fratello di messer Luca, e volendo el papa questo tesoro come cosa ecclesiastica, la potenzia di messer Luca era tale che per beneficio di questo suo parente non lasciava farne quella risoluzione si conveniva; di che adirandosi el papa molto forte, pure finalmente si deliberò se gli dessino queste robe, e cosí si fece con sua grande satisfazione. In questo tempo el conte Iacopo Piccinino per opera del duca Francesco suo suocero si riconciliò col re Ferrando e ricondussesi a' soldi sua; ed avendo da lui danari, deliberò da Milano, dove era, transferirsi nel reame a visitare el re e fargli capace volere essere suo buono servidore, come e lui ed el padre erano stati di suo padre. Venne adunche a Napoli e fu ricevuto dal re con tanto onore e tanta dimostrazione di benivolenzia che non si sarebbe piú potuto esprimere, ed ogni dí stava seco qualche ora a segreto parlamento; nondimeno, quando volle partire, avendo preso buona licenzia dal re, fu ritenuto ed incarcerato insieme con el conte Broccardo suo cancelliere, e pochi dí poi fu morto in prigione. Mostrò el duca Francesco tal cosa dispiacergli assai, dolendosi che el conte fussi stato tradito quasi sotto la sua fede e sue braccia; ed essendo madonna Ipolita sua figliuola a Siena, che n'andava a Napoli a marito a Alfonso duca di Calavria primogenito del re, ed in sua compagnia don Federigo figliuolo del re, gli comandò si fermassi quivi insino a tanto avessi altra risoluzione da lui; ed in effetto fece cenni di avere voglia che el parentado non andassi innanzi. La qual cosa dispiacque assai alla città, perché desideravano si conservassi questa unione fra 'l re e duca per commune beneficio; e però s'affaticorono molto e publicamente ed in privato alcuni cittadini suoi familiari in persuadergli non volessi dividere tale amicizia, che portava tanta sicurtà ed a sé ed agli amici sua; e cosí si fece in effetto. Molti credono che el duca, parendogli che el conte Iacopo fussi di troppa riputazione nelle arme, ed inoltre, per la memoria di Niccolò Piccinino suo padre, molto amato dal popolo di Milano, acconsentissi farlo male capitare per le mani del re; nondimeno a me non è manifesta la verità, e chi fa questo giudicio, lo fa per conietture e non per certezza, perché se una tale cosa fu, è da credere si trattassi segretissimamente e nelle conietture è molto facile lo ingannarsi; e massime che chi io crede non si muove per altro, se non perché questa morte, per le cagione sopradette, fu riputata utile al duca; pure può essere stato vero, ed io per me non ne fo giudicio in parte alcuna. Cominciorono in questi tempi medesimi a scoprirsi nuove divisione nella città, che furono massime causate dalla ambizione di messer Dietisalvi di Nerone; el quale, sendo uomo astutissimo ricchissimo e di grande credito, non contento allo stato e riputazione grande aveva, si congiunse con messer Agnolo Acciaiuoli, uomo anche egli di grande autorità, disegnando volere tôrre lo stato a Piero di Cosimo. E parendo loro che messer Luca Pitti, pel seguito aveva, fussi buono instrumento, entratigli sotto, gli persuasono farlo capo della città, disposti però fra loro, secondo si dice, sbattuto che avessino Piero, tôrre anche lo stato a messer Luca; il che giudicavano facile per non essere lui uomo che valessi. E per dare principio a questi disegni, messono innanzi che le borse si serrassino, cioè che la signoria ed e' magistrati si traessino a sorte e non per elezione, il che fu consentito da Piero, perché la cosa piaceva tanto al popolo, che come era proposta, chi non l'avessi consentita s'arebbe tirato addosso troppo carico. Sendo di poi tratto gonfaloniere di giustizia Niccolò Soderini che era de' loro seguaci, tentorono levare via el consiglio del Cento, che disponeva di tutte le cose importante della città. A che Piero e gli amici sua che ne erano massime capi messer Tommaso Soderini, messer Luigi ed Iacopo Guicciardini messer Antonio Ridolfi messer Otto Niccolini ed altri simili, si opposono alla scoperta e finalmente la impedirono. Tentoronsi ancora per questo gonfaloniere molte altre cose contro allo stato di Piero, e stette la città, mentre che durò quello magistrato, molto alterata, ma sendo uscito, parve le cose quietassino un poco. Successe a fine di detto anno 1465 la morte del duca Francesco, e successe nello stato Galeazzo suo primogenito, el quale, sendo in Francia a' favori del re Luigi che guerreggiava co' baroni, udita la morte del padre, ne venne scognosciuto in poste. Questo caso dispiacque assai alla città per la amicizia tenuta seco, e perché dubitava che, sendo gli Sforzeschi nuovi in quello stato, non si facessi qualche alterazione, ed inoltre che e' viniziani, che sempre avevano temuta la virtú e riputazione di quello duca morto ora lui, non rompessino guerra a' figliuoli. E si consultò fussi bene fare ogni cosa per conservare quello stato, donde molti anni si era tratta la sicurtà della città; e però subito furno mandati imbasciadori a Milano messer Bernardo Giugni e messer Luigi Guicciardini che, oltre al condolersi e le cerimonie offerissino tutte le forze della città a' bisogni loro, vegghiassino tutti e' casi occorrenti e dessino aviso acciò che si potessi provedere. Giunti a Milano, trovorono e' sudditi avere tutti data la ubidienzia, ma lo stato in gran disordine di danari, e qualche sospetto di guerra da' viniziani; e però furono richiesti scrivessino a Firenze, pregando fussino serviti in prestanza di qualche somma di danari, pigliandone assegnamento in sulle piú vive entrate avessino. A Firenze si messe in pratica questa dimanda e si concluse si servissino; e cosí si rispose agli imbasciadori offerissino ducati quarantamila, e che subito si provederebbe a fargli. E di poi trattandosi de' modi messer Luca, messer Agnolo e messer Dietisalvi, parendo loro modo da fare perdere la riputazione grande aveva Piero con lo stato di Milano, la cominciorono a impedire, in modo che non si potette mai fare conclusione di pagargli, con grandissimo carico e vituperio della città. Di qui sendo gli animi ogni dí piú gonfiati, e bisognando che questa quistione si terminassi con vittoria delle parte, con tutto fussino ite atorno molte pratiche e simulazione di concordia e giuramenti e obligazione di cittadini, sendo ito Piero a Careggi, disegnorono gli avversari sue nel tornare di amazzarlo, e messono gente armata in Santo Antonio del Vescovo, donde Piero soleva tornare; del quale luogo loro si valevano per essere arcivescovo di Firenze uno fratello di messer Dietisalvi. Volle la buona fortune di Piero e di quella casa che nel tornare non fece la via soleva, ma prese altra via; in modo si condusse salvo a Firenze. Dove, crescendo ogni dí queste divisione e sendo la città tutto di piena di gente armate, ed apparati grandi per l'una parte e l'altra di soccorsi esterni, finalmente, sendo tratto gonfaloniere di giustizia Ruberto Lioni partigiano di Piero ed una signoria a suo proposito, sendo impauriti gli avversari, messer Luca, persuaso cosí astutamente, si riconciliò con Piero; in modo che si fece parlamento e furono confinati di Firenze messer Agnolo Acciaiuoli ed e' figliuoli, messer Dietisalvi co' figliuoli e fratelli, e Niccolò Soderini; e rassettossi in tutto lo stato a modo di Piero, el quale, non seguitando lo stile di Cosimo suo padre, fu clementissimo in questo movimento, né patí si punissino altro che quegli e' quali sanza pericolo grande non potevano rimanere impuniti. Messer Luca rimase in Firenze, ma spennecchiato e senza stato e credito, e cosí patí pena conveniente della stultizia sua, ché, avendo piú bello stato assai che non meritava, per cercare farne un piú bello capitò male. La mutazione dello stato di Firenze partorí gran novità per Italia, perché fece speranza a' viniziani che sendo la città alterata, non s'avessi opporre alle imprese loro, sendo massime persuasi e sollecitati dagli usciti nostri, messer Dietisalvi e Niccolò Soderini, e' quali transferitisi a Vinegia dimostravano quanto fussi facile voltare lo stato di Firenze e rimettergli in casa, e che sendo poi questa città a' loro propositi, nessuna impresa era difficile. Di che nacque una pratica fra 'l papa, e' viniziani e Borso duca di Ferrara che era amico degli usciti, che Bartolomeo Coglione capitano de' viniziani, finita la condotta sua che durava pochi mesi, come capitano di venture si volgessi a' danni o del duca Galeazzo o nostri. Il che presentendosi a Firenze, furno mandati imbasciadori a Vinegia messer Tommaso Soderini ed Iacopo Guicciardini, per ritrarre, se era possibile, la mente loro circa alla quiete universale, e di poi andarne a Milano a conferire con quello signore e pensare, se accadeva, a rimedi oportuni per la salute commune. Vennono a Vinegia, e ricevuti molto onorevolmente, e cosí per tutto el loro dominio, ritrassono parole ottime in generali, ma in particulare non potettono avere cosa alcuna per la quale si potessino assicurare della mente loro; andoronne a Milano, e quivi consultato quello fussi da fare, in capo di pochi giorni se ne vennono a Firenze E perché questi pericoli si disegnavano communi cosí al re Ferrando come al duca e noi, si contrasse una lega particulare fra queste tre potenzie a difesa degli stati, e si disegnorono gli apparati che s'avevano a fare per la salute di tutti. Ma riscaldandosi ogni dí piú questa mossa di Bartolomeo da Bergamo, parendo alla città che e' signori collegati procedessino a' provvedimenti molto lentamente, fu mandato messer Antonio Ridolfi a Napoli e messer Luigi Guicciardini a Milano a sollecitare si dessi colore a' disegni fatti, e si fece capitano di questa lega Federigo duca di Urbino, che subito colle gente nostre, di che era capitano el signore Ruberto da Sanseverino, si ridusse in Romagna. Dove fra pochi dí el signore Astore di Faenza soldato dalle lega, détte la volta ed accordossi co' viniziani; Bologna ed Imola erano per la lega, Pesero pe' viniziani, Rimino piú tosto neutrale che in altro modo Partí Bartolomeo de' terreni de' viniziani circa allo aprile e prese la volta di Romagna per passare di quivi in Toscana e fare pruova voltare lo stato di Firenze; ed in sua compagnia era messer Agnolo Acciaiuoli, messer Dietisalvi e Niccolò Soderini. E come fu inteso l'avviarsi delle sue gente, el duca Galeazzo prese anche egli con buone gente la volta di Romagna per congiugnersi col duca di Urbino; fra' quali era duemila cavalli a' soldi nostri, perché di principio abondando al duca gente, ma mancandogli danari da metterle tutte in ordine, e la città non avendo gente abastanza si soldò duemila cavalli di quegli di Milano e cosí si sopplí a' bisogni l'uno dell'altro. Venne ancora in Romagna don Alfonso di Davoles condottiere del re, e si congiunse col duca di Urbino, in modo che el campo nostro stava in campagna a petto di Bartolomeo Coglione; e finalmente, sendo venuto el duca Galeazzo in Firenze, ed alloggiato in casa Piero di Cosimo, si fece un bello fatto di arme alla Mulinella, e benché non vi fussi vittoria notabile, pure el vantaggio fu della lega. E pochi dí poi, ingrossando el campo nostro per gente sopravenute del reame, era la vittoria nelle mani; se non che el duca Galeazzo fanciullescamente, credo per non avere danari da Firenze a suo modo, si partí di campo con buona parte delle sue gente ed andossene a Milano. Di che sendo la cosa pareggiata, ognuno si voltò a' pensieri della quiete, e fatta tregua a disdetta, pochi dí poi si fermò questo tumulto; e Bartolomeo se ne tornò in quello de' viniziani, con effetto della impresa non conveniente alla sua riputazione ed espettazione e' ebbe nel principio di lui. Tornato Bartolomeo in Lombardia, la città si posò circa uno anno; di poi nel 1469 pretendendo papa Paulo che Rimino, che era nelle mani di Ruberto Malatesta figliuolo bastardo del signore Gismondo, fussi devoluto alla sedia apostolica ed infestando Ruberto con editti e censure e preparandosi alle arme, la lega, dubitando che lui disperato non si gittassi nelle mani de' viniziani, co' quali era in pratica, lo tolse a soldo e preselo in protezione contro a qualunque lo volessi offendere. Di che el papa forte sdegnato, ed avendo da' viniziani promesse di favore, ed anche credendo che la lega non avessi a essere unite alla difesa, mandò el campo a Rimino. Fecesi gran consulta fra' signori collegati circa al modo della difesa; e finalmente, non sendo in molta unione, conchiusono per allora mandare aiuti a Ruberto di qualità che non lasciassino gli inimici espugnare la città, e mandare imbasciadori a Roma a giustificarsi col papa di avere preso Rimino in protezione, non per fare contro alla Chiesa, ma perché non venissi in mano de' viniziani, usati a occupare le cose ecclesiastiche; avere fatta la lega e presa la protezione per conservare la pace di Italia, ed a questo effetto pregarlo fussi contento levare el campo da Arimino, promettendogli si troverrebbe modo a comporre poi queste differenzie e che Ruberto non mancherebbe delle debite reverenzie verso quella sedia, e quando non volessi farlo, protestargli che per conservare la pace di Italia e la fede data a Ruberto, lo difenderebbono in tutti quegli modi fusse possibile, offendendo etiam in qualunque luogo chi offendeva lui. Mandò la città a questo effetto, insieme cogli oratori ducali, a Roma messer Otto Niccolini ed Iacopo Guicciardini, ed in questo mezzo strignendosi lo assedio, el re fece passare el Tronto al duca di Calavria. acciò che don Alonso suo condottiere si potessi sicuramente congiugnere col conte di Urbino, a chi questo soccorso era molto a cuore perché temeva la potenzia della Chiesa, e cosí vi si spinse per la città el signore Ruberto e qualche gente pel duca, ma poche, ché andava freddo a questa impresa, ed accostandosi l'uno esercito all'altro, si fece finalmente fatto di arme, dove el conte di Urbino roppe el campo della chiesa. Mostrò el papa in pricipio buono animo, di poi mancandogli sotto le promesse e favori de' viniziani, cominciò pure a volgersi alla pace; e perché nella lega non era unione per convenirsi in quello s'aveva a fare, si fece una dieta a Firenze, dove furono imbasciadori pel re e pel duca, e finalmente, non si faccendo alcuna buona conclusione e sendo disparere fra el duca e re, si ridusse la pratica della pace a Napoli dove per la città andò messer Otto Niccolini. Furonvi e' trattati vari, e fu opinione che el re s'avessi a collegare co' viniziani; ma finalmente doppo molte pratiche l'anno 1470 si rinnovò la lega fra re, duca e noi, con certi capitoli risguardanti alla pace e lega generale di tutta Italia, come di sotto si dirà. Innanzi si conchiudessi la pace e nell'anno 1469 di dicembre, morí in Firenze Piero di Cosimo de' Medici; la morte del quale dolse assai alla città rispetto alla sua facile e clemente natura e tutta volta al bene, come massime mostrò la novità del 66, nella quale non puní piú oltre che si patissi la necessità e piú ancora che non era la voluntà sua, costretto da molti cittadini dello stato. Lasciò due figliuoli, Lorenzo e Giuliano, de' quali Lorenzo, che era el maggiore, era di età di anni venti o ventuno, e benché molti stimassino cosí nella città come fuora, che la sua morte avessi a partorire rivoluzione, nondimeno la sera morí, o vero la sera seguente, si ristrinsono in Santo Antonio piú di seicento cittadini, el fiore della città, e feciono conclusione di mantenere e la unione e lo stato presente e conservare grandi e' figliuoli di Piero; e cosí concorse tutta la città, affaticandosene massime messer Tommaso Soderini che aveva allora piú riputazione che altro cittadino e forse era el piú savio. El quale però si persuase che per essere Lorenzo giovane ed avere quasi a ricognoscere in tutto da lui, l'avessi a governare; il che di poi non gli riuscí. E per dare riputazione allo stato e mostrare la unione della città, richiedendolo anche e' tempi che correvano rispetto al non essere conclusa la pace, si ordinò e vinse prestamente in tutti e' consigli una provisione di trecentomila ducati. e cosí in effetto si continuò lo stato per successione in Lorenzo de' Medici, el quale lo governò insino alla morte sua con quelle virtú e successi che di sotto si diranno. III PRIMI ANNI DEL GOVERNO DI LORENZO DE' MEDICI (1474-1476). Conclusesi, come di sopra, nel 1470, la lega fra 'l re, duca e fiorentini con uno capitolo che ciascuna di queste tre potenzie avessi insieme a mandare imbasciadori al sommo pontefice a supplicarlo la benedissi e vi entrassi drento, e cosí facessi una lega generale di tutta Italia, con quelle condizioni si era fatta a tempo di papa Niccola nel 55; riservando però la lega particulare contratta a Napoli, alla quale per questa generale non s'avessi a pregiudicare in alcuno modo. La cagione di questo capitolo fu, perché avendo el Gran turco tolto Negroponte e molti altri luoghi a' viniziani e continuando tuttavia con loro la guerra, pareva al re Ferrando che lo stato suo fussi in gravissimo pericolo per avere molti luoghi e marine, ne' quali el turco poteva facilmente fargli danno, e per questo rispetto desiderava assai congiugnersi e collegarsi co' viniziani, acciò che insieme potessino pensare e provedere a' pericoli communi; ed arebbelo fatto da se medesimo, ma gli pareva che non concorrendo el duca e' fiorentini in questa coniunzione, né e' viniziani né lui rimanessino in modo sicuri delle cose d'ltalia, che potessino attendere espeditamente alle cose del turco. Inoltre pensò che ristringendosi col duca e' fiorentini e poi faccendo lega generale co' viniziani, non solo trarrebbe de' viniziani quello frutto disegnava, ma eziandio sarebbe facile cosa in tanto suo pericolo trarre qualche sussidio da tutta Italia contro al turco, e però saviamente condusse questa lega particulare, inserendovi nondimeno el predetto capitulo della generale. E per dargli esecuzione mandorono communemente imbasciadori a Roma per praticare questa materia, dove per la città fu deputato messer Otto Niccolini e Pierfrancesco de' Medici, ma pochi dí poi, morendo messer Otto, vi fu mandato in suo luogo Iacopo Guicciardini. La conclusione di questa pratica ebbe in sé molte difficultà, e passò con piú lunghezza di tempo non si stimava, perché la lega voleva a ogni modo si riservassi la sua particulare ed el papa non lo negava, ma diceva volere si facessi in modo vi fussi drento la conservazione dello onore suo, ed in ogni modo gli era proposto, faceva difficultà; ed era la cagione vera che questa conclusione non gli piaceva, perché gli pareva sendo quietata Italia essere necessitato fare impresa contro al turco, il che faceva male volentieri per non spendere; dove non si conchiudendo questa lega, gli pareva avere scusa con dire fussi di bisogno prima pacificare Italia. Dalla parte della lega era ancora difficultà nel duca di Milano, che male volentieri ci si conduceva; pure finalmente fu tanta la volontà del re che si facessi questa conclusione, e cosí de' viniziani, che el duca, per non rompere col re, ed el papa per non rimanere solo in Italia, vi condescesono. E cosí si concluse una lega generale di tutta Italia, con riservazione della lega particulare del re Ferrando, duca Galeazzo e fiorentini; e cominciossi a praticare di uno sussidio universale contra el turco, faccendone massime grandissima instanzia el re Ferrando, alla quale pratica, per essere Pierfrancesco tornato a Firenze, rimase solo Iacopo Guicciardini. Ma come avviene che quelle cose che si fanno a male in corpo per ogni piccola difficultà si impediscono, cosí intervenne che, nata differenzia nel distendere le scritture per certe parole che volevono si aggiugnessino gli oratori ducali, non però di molta importanza, ed el papa non le consentiva, lo effetto fu che el duca non ratificò a questa lega; e benché la ratificazione de' fiorentini fussi venuta, pure lo oratore loro non soscrisse le scritture e cosí el cancelliere suo che ne era rogato; perché cosí fu la intenzione di chi governava a Firenze, per non si spiccare dal duca, non però con determinazione publica, per non dare tanto carico a chi aveva lo stato; e cosí in effetto le cose rimasono pendente. In questo tempo ed anno 1470, Lorenzo de' Medici cominciò in Firenze a pigliare piede perché faccendosi gli accopiatori, che avevano a creare la signoria, pel consiglio del Cento, lo stato usava fare qualche intelligenzia particulare in compagnie di notte, e qui disegnare chi avessi a essere fatto, e di poi con questo ordine, in questo e negli altri magistrati, andare nel consiglio del Cento, el quale era solito a eseguire el disegno. Ma cominciando qualche volta nel Cento a variare le elezione de' disegni dati, Lorenzo e gli amici suoi cominciorono a dubitare che non variassi un tratto negli accopiatori, di che sarebbe facilmente seguita la alterazione dello stato. Di che fatto prima molti consigli in privato, si risolverono che si dessi autorità per cinque anni alla signoria che sedessi di luglio e agosto, che, insieme cogli accopiatori che sedevano, facessino gli accopiatori nuovi; e deliberato questo, subito la signoria, che ne era gonfaloniere messer Agnolo della Stufa, sonato a collegio e a Cento e ragunatogli, la mattina innanzi uscissino dette perfezione a questa provisione. Di che lo stato si assicurò, e Lorenzo ne acquistò grandissima riputazione e forze; in modo che cominciando a pigliare piè, dette principio a volere essere arbitro della città lui ed a non si lasciare governare da altri, ma piú tosto avere cura non si facessino troppo grandi messer Tommaso e gli altri che avevono riputazione e seguito di parentado. E benché non mancassi loro, e nelle legazione ed in tutti gli onori e primi magistrati della città, nondimeno gli riteneva indrieto, non gli lasciando qualche volta tirare le imprese facevano, e dando favore a quegli uomini de' quali non gli pareva potere temere, per essere spogliati di parenti e credito, come fu in quel tempo uno messer Bernardo Buongirolami, uno Antonio di Puccio, e di poi qualche anno uno messer Agnolo Niccolini, uno Bernardo del Nero, uno Pierfilippo Pandolfini e simili; usando etiam di dire che se suo padre avessi fatto cosí, e sforzati un poco messer Luca, messer Dietisalvi, messer Agnolo Acciaiuoli e simili, non sarebbe nel 66 ito a pericolo di perdere lo stato. Sendosi le cose di Italia un poco quietate, seguitò la morte di papa Paolo, in luogo di chi fu eletto Francesco cardinale di San Pietro in Vincula di nazione saonese, e che era uno de' frati minori e di poi generale di quello ordine, e fu ordinato tosto, el quale sendo eletto di poco, nacque nova alterazione nel dominio nostro. E questo è che sendo in quello di Volterra le allumiere che erano del commune di Volterra, o desiderando Lorenzo di ottenerle per sé, e rinculando e' volterrani, Lorenzo, parendogli che se la impresa non riusciva, intaccare la sua riputazione, e però deliberato di averne onore, cominciò a strignergli in modo che, benché io non sappia bene a punto el particulare loro, si sdegnarono e nato ombra e sospetto, e loro non essendo ubbidienti in tutto alla signoria, finalmente lo effetto fu che nel 1472 e' volterrani, prese le arme e cominciato a non ubbidire a' rettori nostri, si ribellorono. A Firenze fu dubio assai che o e' viniziani o el re Ferrando, all'uno e l'altro di chi ed etiam quasi a tutta Italia, eccetto che al duca Galeazzo, e' volterrani avevano mandati imbasciadori a darsi, non tenessino acceso questo fuoco; e fecesi risoluzione vedere di spegnerlo con ogni forza e prestezza. E però si dette intorno a questa guerra la balía a venti cittadini, e' primi della città; e' quali, sopravenendo poi massime avisi che non solo el duca, ma etiam el re ed el papa erano vòlti a dare ogni favore perché questo incendio si quietassi, mandorono per commessario generale Iacopo Guicciardini, che, unita la gente nostra, attendessi a recuperare el contado, tanto che ne venissi el duca di Urbino eletto capitano per questa impresa, per chi avevano mandato a Urbino messer Bongianni Gianfigliazzi. Riebbesi el contado in uno subito e sanza colpo di spada, e poco di poi sopravenne el duca, ed a messer Bongianni fu comandato restassi in campo commessario insieme con Iacopo; e sanza dilazione di tempo si messe campo alla città, mettendo el duca di Urbino ogni industria e adoperando ogni virtú militare per espugnarla. Di che e' volterrani vedendosi stretti e sanza speranza di soccorso di fuora ed in effetto sanza alcuno rimedio, si arrenderono, salvo l'avere e le persone. Ma nello pigliare la possessione della terra nacque tanto tumulto per opera, come si crede, del duca di Urbino, che sanza riparo alcuno la città andò a sacco, benché e' commessari usassino ogni possibile diligenzia che questo non seguissi, e molto dispiacessi alla città nostra, la quale desiderava riavere quella terra intera e ricca come era innanzi alla ribellione. Fu bene opinione di molti e massime de' volterrani che questo fussi stato per ordine publico; nondimeno è falso e non potette la città perturbarsi piú di tale accidente. Seguitò l'anno 1474 nel quale si fece nuove congiunzione e intelligenzie in Italia; perché essendo papa Sisto molto amico del re Ferrando, ed eziandio el conte di Urbino sendosi dato in anima e corpo al re, e lui con questi mezzi e favori volessi essere arbitro di Italia, sdegnandosene el duca di Milano e gli altri potentati, si contrasse una lega a difesa degli stati fra 'l duca viniziani e fiorentini; dove di poi entrò, non come aderente e nominato, ma come principale, Ercole duca di Ferrara. E cominciò el duca a ristrignersi ed intendersi molto con viniziani e fare segni grandissimi di amore e benivolenzia, faccendo onori supremi agli imbasciadori loro, cedendo loro la precedenzia, di che a Roma ed in tutti e' luoghi di Italia avevano gli oratori loro avuto infinite volte questione, dando loro sussidi nella guerra avevano contro al turco; e cosí ebbono dalla città l'anno 1475 ducati quindicimila in dono per armarne galee. Al papa ed al re dispiacque assai questa lega; e però lui ed el duca di Urbino vennono personalmente a Roma, solo per pensare modi da interrompere questa unione; e feciono risoluzione che el vero modo fussi che el papa praticassi una lega generale di tutta Italia ne' modi si era fatto a tempo di Niccola e poi di Paolo, mostrando farlo per volere pensare alla difesa della religione contro al turco. E fu la opinione loro che e' viniziani l'avessino a accettare facilmente per trarre sussidi contro a' turchi, da' quali erano molto oppressati, e stando questo, se el duca ed e' fiorentini non ci volessino concorrere, sarebbe rotta la unione loro; concorrendoci col fare questa lega generale sarebbe dissolute la particulare. Fu cognosciuta da' signori collegati questa arte; e però, mandando imbasciadori unitamente a Roma con ordine non si separassino mai l'uno dall'altro, ma che intervenissino a ogni pratica ed audienzia o col papa o alcuno cardinale, communemente si rispondessi essere contenti di fare la lega generale con riservo nondimeno della particulare. La quale risposta non piacendo al papa e re, si roppe questa pratica e pochi mesi poi si rappiccò, tendendo el papa e re pure al fine di rompere la particulare. El quale disegno diventava loro ogni dí piú facile, per avere e' viniziani uno ardentissimo desiderio che e' principi cristiani concorressino alla impresa contro al turco, e d'altra parte sendo el duca di Milano molto alieno, perché gli pareva, stando e' viniziani in guerra, avere da non temere di loro, dove, quando fussino in pace, non gli pareva essere cosí sicuro del suo stato. Di che fra e' viniziani ed el duca cominciò a nascere qualche ombra, in modo che el duca fu talvolta in disposizione, ed etiam ne tenne pratica, di riunirsi e collegarsi col re; la qual cosa non messe però a effetto, forse presentendo che la città non vi sarebbe concorsa, per dispiacergli volubilità e mutazione tanto spesse. Seguitò di poi per principio di cose e movimenti grandissimi la morte del duca Galeazzo, el quale nel 1476 a dí 26 di dicembre, el dí di santo Stefano, fu morto in Milano da Giovanni Andrea da Lampognano; e perché era rimasto di lui uno piccolo figliuolo chiamato Giovan Galeazzo, si dubitò assai che e' popoli sudditi non facessino qualche movimento, il che sarebbe dispiaciuto assai alla città, rispetto alla amicizia e congiunzione tenuta tanto tempo con quella casa, e per la sicurtà e riputazione ne traeva lo stato nostro in ogni occorrenzia. Furono adunche subito deputati imbasciadori a Milano messer Tommaso Soderini e messer Luigi Guicciardini, e' quali, andati con somma prestezza, trovorono le cose in buona disposizione e si adoperorono assai a confermarle ed assicurarle per la via buona. E lo effetto fu che lo stato rimase a madonna Bona, state moglie del duca Galeazzo, che lo conservassi e guardassi pel figliuolo; e volsesi el governo di tutto alle mani di messer Cecco Simonetta, el quale sendo di Calavria, di vile condizione, era stato cancelliere e secretario del duca Francesco, in gran conto, e di poi in somma riputazione apresso el duca Galeazzo, ed ultimamente gli dette la fortune, sotto madonna Bona, libera ed assoluta potestà ed amministrazione di tutto quello dominio. Fecesi alcuno appuntamento tra madonna e monsignor Ascanio cardinale e Lodovico Sforza duca di Bari, fratelli del duca Galeazzo; ed assettate queste cose, parendo fussi superfluo tenervi due oratori, fu messer Lulgi rivocato a Firenze, e messer Tommaso rimase in quella legazione, onorevolissima per la coniunzione era tra l'uno e l'altro stato, e consequenter per la fede potenzia ed autorità vi aveva uno imbasciadore fiorentino, e massime qualificato come lui. Seguitò poi tumulto in quello stato, perché el signor Lodovico e monsignore Ascanio cercavano cose nuove per applicarsi quello governo, e con loro si intendeva el signore Ruberto da Sanseverino; di che venuti in sospetto lo effetto fu che el signore Lodovico fu confinato a Pisa, Ascanio a Roma, ed el signore Ruberto cacciato dal territorio. Il che si fece con consenso e participazione della città e stato nostro che non cercava altro che la conservazione di quello dominio ne' figliuoli del duca Galeazzo e favoriva el governo in madonna Bona e l'autorità in messer Cecco. E se la città nostra si fussi mantenuta in pace e quiete, sanza dubio si conservava ma e' movimenti della città nostra de' quali ora si dirà, furono cagione di molte alterazioni, dissensioni e movimenti in tutta Italia. In questo tempo essendo morto uno marchese Spinetta, signore di Fivizzano e di molte altre castella, sanza eredi, quegli uomini si dettono a' fiorentini, e vi furono mandati a pigliarne la possessione ed ordinare quello stato, che era di importanza perché assicurava le cose nostre da quella banda messer Antonio Ridolfi ed Iacopo Guicciardini. IV LA CONGIURA DEI PAZZI (1478). La città di Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo de' Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un numero di cittadini nobili e prudenti ne' quali si distribuivano gli onori della città e si trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose seguitava solo el suo consiglio e parere contro alla voluntà degli altri e teneva precipua cura che nella città non si facessi alcuno sí potente che lui avessi cagione da temerne. Era allora in Firenze la famiglia de' Pazzi ricchissima piú che alcuna altra della città, ed aveva trafichi in molti luoghi del mondo, e di qui era in grande riputazione in molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella città e con parentado grande ed uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in alcuno tempo avuto molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la quale cosa gli uomini in una città libera non possono comportare; pure la nobilità, el parentado, le ricchezze ed el distribuirle largamente, faceva loro credito ed amici assai. Capo di questa casa era messer Iacopo, uomo d'assai riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di giucare e bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto piú tutta la casa concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte. Aveva molti nipoti, fra' quali uno, figliuolo di messer Piero suo fratello, si chiamava Renato, tenuto uomo savio e di piú cervello che alcuno che fussi in casa, e, fuora del solito della famiglia, benvoluto dal popolo. Un altro chiamato Guglielmo, figliuolo di Antonio, aveva per donna una figliuola di Piero di Cosimo, e cosí veniva a essere cognato di Lorenzo; un altro vi era, chiamato Francesco, pure figliuolo di Antonio, quale era sanza donna, uomo molto inquieto animoso ed ambizioso; stavasi a Roma el piú del tempo e teneva amicizia grandissima con quegli prelati e massime col conte Girolamo, nipote di papa Sisto ed a chi el papa aveva dato Imola e Furlí. Pareva a Lorenzo de' Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però negli onori e magistrati della città gli teneva adrieto né dava loro quello grado si sarebbe convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a scoprirsi gli odi e le emulazione, a crescere e' sospetti, e tanto piú quanto, sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal conte Girolamo, gli vedeva essere favoriti dall'uno e l'altro. Il che era nato, perché quando Sisto fu fatto papa, avendosi a vendere Imola, Lorenzo, esideroso che la città comperassi Imola e considerando che per essere el papa nuovo nello stato, non aveva danari da comperarla se non ne fussi servito o da sé che era suo depositario, o da' Pazzi che erano sua tesorieri, gli pregò non lo servissino di danari, acciò che non la potendo comperare el papa, Imola venissi nelle mani nostre. Loro lo promessono, e poco di poi servirono el papa per questa compera di ducati trentamila e rivelorono a lui ed al conte Girolamo la richiesta fatta loro da Lorenzo; di che el papa sdegnato, gli tolse la depositeria che gli era di grande utilità, e Lorenzo si dolse assai de' Pazzi, e caricògli, avendo presa onesta, che per opera loro la città non avessi avuto Imola. Ed in effetto augmentandosi ogni di piú questo umore maligno, e Lorenzo pensando continuamente che non crescessi in loro ricchezza o grandezza, fece nel 76 fare una legge disponente delle eredità ab intestato,per vigore della quale e' furono privati di una eredità d'una donna de' Borromei che, secondo la interpretazione di una legge antiqua, aparteneva loro. Concepéronne di questo e' Pazzi grandissimo sdegno; in modo che Francesco, quale per essere di statura piccola si chiamava volgarmente Franceschino, che quasi del continuo stava a Roma, cominciò a tenere pratica col conte Girolamo di tôrre lo stato a Lorenzo, persuadendo el conte che, sendo Lorenzo suo inimicissimo, come fussi morto papa Sisto, lo perseguiterebbe tanto gli tòrrebbe lo stato di Romagna. Aggiunsesi a questo trattato messer Francesco Salviati arcivescovo di Pisa, el quale, quando era in minoribus sendo vacato lo arcivescovado fiorentino l'arebbe ottenuto con favore del pontefice, se non che Lorenzo colla autorità publica si gli oppose e fu cagione fussi dato a messer Rinaldo Orsini cognato suo, e di poi vacando quello di Pisa ed avendolo impetrato dal papa, e dispiacendo a Lorenzo, penò tempo assai innanzi ne potessi conseguire la possessione, e per questa offesa era inimicissimo a Lorenzo. Costoro praticando insieme e' modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere guerra alla città non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed incerta, ed inoltre perché non mancherebbe alla città lo aiuto di qualche potentato di Italia; ma che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che pareva facile, perché lui andava solo disarmato e sanza sospetto alcuno di simile insulto; e massime sperando che, morto Lorenzo, non mancherebbe loro favori, perché oltre al parentado e potenzia loro, credevano che el popolo, pel desiderio e speranza della antica libertà, gli avessi a seguitare. Faceva in questa conclusione difficultà Giuliano fratello di Lorenzo perché a amazzarlo insieme con Lorenzo era tanto piú difficile, e rimanendo lui non era fatto nulla, perché gli era bene voluto dal popolo, ed inoltre perché avendo e' cittadini dello stato un capo a chi ricorrere, si pensava piglierebbono le arme e seguirebbenlo. Conchiusono adunche aspettare tanto che uno di loro fussi fuora della città, e tanto piú quanto credettono avessi a essere presto perché era voce che Giuliano toglieva per donna una figliuola del signore di Piombino, e pareva ragionevole che, togliendola, dovessi andare a Piombino a vederla. Di poi, non succedendo questo parentado, stettono in espettazione che Lorenzo, come aveva dato intenzione, dovessi andare a Roma, con disegno mentre era in Roma di amazzare Giuliano, e che Lorenzo fussi ritenuto. Risolvendosi anche di poi questa speranza, e dubitando che per essere la pratica in bocca di molti non venissi a luce, conchiusono essere necessario non aspettare piú e amazzargli tutt'a dua col modo ed ordine che di sotto si dirà. Concorreva in questo trattato non solo el conte, ma eziandio la santità del papa ne era conscia e lo desiderava, benché per rispetto dello onore suo faceva menare el trattato al conte Girolamo. Concorrevaci eziandio el re Ferrando, quale, sendo confidatissimo ed in grande intelligenzia col pontefice, si era sdegnato che lo stato di Firenze si fussi aderito e collegato con Vinegia e Milano, e si persuadeva, mettendo uno stato nuovo in Firenze aversi a valere di quella città a modo suo, e di poi rispetto alla potenzia ed autorità sua, a quello si poteva promettere del papa, alla oportunità di questa republica, avere a essere quasi arbitro di tutta Italia, vedendo massime morto el duca Galeazzo, quale se fussi stato vivo, non sarebbe al re entrato in questi farnetichi. Concorrevaci Federigo duca di Urbino, per essersi molti anni innanzi interamente dato e dedicato al re, aggiugnevasi la oportunità di Città di Castello, di che sotto governo della Chiesa era capo messer Lorenzo Iustini da Castello, conscio e fautore di questa pratica ed inimico di Lorenzo, per avere lui sempre favorito messer Nicolò Vitelli da Castello suo avversario. Questi tanti favori non solo accesono l'arcivescovo e Franceschino, uomini animosi ed inquieti, ma eziandio lo persuasono a messer Iacopo, el quale ci era stato un pezzo freddo e renitente, non perché non avessi odio grande verso Lorenzo, ma perché piú maturamente considerava quanto la cosa fussi pericolosa e difficile e quanto bello stato e ricchezza e' mettessi in sul tavoliere. Risolvendosi adunche mettere a effetto el loro pensiero, ed essendosene lo arcivescovo, secondo lo ordine, ito a Pisa, Franceschino a Firenze, Giovan Francesco da Tollentino se ne andò in Romagna nello stato del conte, e messer Lorenzo ne andò a Castello, ciascuno di loro due con ordine di venirne el dí deputato con cavalli e fanterie verso Firenze. Fatti questi preparamenti secondo e' disegni loro, partí da Pisa d'aprile 1478 el cardinale di San Giorgio, fratello o vero nipote del conte Girolamo, che vi era a studio, non conscio per la età di questo trattato, e sotto nome di andare a Roma, venne a alloggiare a Montughi al luogo di messer Iacopo de' Pazzi, di poi, innanzi che entrassi in Firenze, sendo convitato da Lorenzo, andò a Fiesole a desinare al luogo suo, e fu el consiglio de' congiurati dare quivi effetto a tanta opera, ma non eseguirno, rispetto che Giuliano, sentendosi indisposto, non vi venne. Differirono adunche per [farla] a Firenze, dove entrato el cardinale, ed avendo la domenica mattina a dí... a desinare con Lorenzo, parve loro non fussi tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi mangierebbe, e presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata, che si ordinava cantare solenne, e dove non facevono dubio s'aveva a trovare Lorenzo e Giuliano. Venne adunche el cardinale alla messa, accompagnato dall'arcivescovo Salviato, da Giovanni Batista da Montesecco condottiere del conte e che era quivi per quella opera, e da molti perugini, tutti venuti a quello effetto, e come el prete che cantava la messa si communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno, Franceschino de' Pazzi che andava per chiesa a braccia con Giuliano, l'assaltò ed amazzollo. Da altro canto un ser Stefano cancelliere di messer Iacopo con alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro interamente l'animo lo ferirono in sulla spalla, lui si cominciò a discostare e, tratto fuori un pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed in quello furore fu morto Francesco Nori che era seco; finalmente Lorenzo, con aiuto di chi era a torno e de' preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa la porta, guardato non potessi essere morto. Mentre che queste cose si facevano in chiesa, l'arcivescovo, che poco innanzi si era partito accompagnato da molti parenti ed amici de' quali la piú parte non sapeva nulla, ed alcuni sui fidati e perugini, era ito in palagio per occuparlo, sotto colore di volere visitare la signoria; messer Iacopo era in casa a ordine per montare a cavallo e, correndo per la città, gridare «libertà» per sollevare el popolo. Non successe in palagio el disegno allo arcivescovo; anzi, volendo fare violenzia, fu ributtato e rinchiusesi in certe stanze che vi sono, da se medesimo, di che la signoria, veduto questo tumulto, fece serrare le porte del palagio, con animo di guardarlo e difenderlo da ciascuno. Sopravenne intanto messer Iacopo, e vedendo la porta chiusa volle sforzare el palagio; ma fu ributtato da' sassi che erano gittati da e' ballatoi. Era in questo mezzo corso el romore per la città, e benché in quel principio ognuno fussi spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere assaltato e difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e prese le arme parte ne andò a soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo e conducerlo vivo a casa. El popolo ancora parendogli lo amazzare Giuliano, che aveva benivolenzia, stato uno atto molto brutto e contra ogni civiltà, massime in chiesa in dí solenne; e vedendo el palagio per quella parte, e la vittoria aviarsi di là, e parendo che el volere occupare el palagio fussi un volere occupare la libertà, cominciorno a correre per la terra, gridando «palle palle», ché tal segno ha l'arme de' Medici; in modo che sendo el concorso universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggí fuora di Firenze e gli amici di Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria. Fu preso lo arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu impiccato alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello, consapevole di ogni cosa, fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era stato piú anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo nulla, per la sua mala sorte l'aveva la mattina accompagnato in palagio; furono impiccati tutti quegli perugini ed armati erano seco ed in tanta confusione e furore alcuni etiam innocenti. Fu preso Franceschino, che sendosi per la furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però non avendo potuto fuggirsi, si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in palagio, fu subito al luogo degli altri impiccato, fu preso el cardinale in Santa Liperata, e per la furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan Batista da Montesecco; furono impiccati el dí piú di cinquanta, né credo mai Firenze vedessi un dí di tanto travaglio. El dí sequente messer Iacopo, che si era fuggito, non sendo ancora fuora del territorio nostro fu preso ed esaminato fu impiccato. Confessò che poi si era fatta la legge sopra le eredità, aveva sempre avuto in animo farne simile vendetta; dicono ancora disse che oltre agli altri favori e fondamenti in su' quali aveva preso animo ed appoggiatosi, era stata la buona sorte di Franceschino, in che molto si confidava, e gli fu risposto per messer Bongianni Gianfigliazzi, che era degli esaminatori, che doveva piú sbigottirsi per la sorte ottima di Lorenzo. Renato fu etiam impiccato el dí medesimo. Costui prevedendo molto innanzi quale fussi la intenzione di messer Iacopo e degli altri contro a Lorenzo, gli aveva confortati avessino pazienzia e lasciassino fare al tempo, perché Lorenzo nelle mercatantie era in tanto disordine che in pochi anni bisognava fallissi, e perduto le ricchezze ed el credito era perduto lo stato, dicendo: «diangli a cambio e' danari vuole, perché questi, benché con qualche nostra perdita, lo aiuteranno fallire piú presto». Finalmente non giovando le sue parole, e presentendo per conietture, perché da lui si guardavano, quello ordinassino di fare, era, per non vi si trovare, itosene in villa, fu preso quivi e impiccato. Nocegli lo essere tenuto savio ed avere credito e benivolenzia nel popolo, perché però parve utile a chi aveva lo stato levarselo dinanzi. Giovan Batista da Montesecco fu tenuto parecchi giorni preso; esaminato diligentemente, confessò essere venuto a Firenze per comandamento del conte suo padrone ed avere preso el carico di amazzare Lorenzo; e nondimeno quando si prese lo ordine per in Santa Liperata, essergli venuto orrore rispetto al luogo, e ricusato farlo di che nacque la salute di Lorenzo, perché se lui pigliava la cura, sendo uomo valente animoso ed esercitato lo amazzava, fugli tagliato el capo. Fu el cardinale sostenuto molti dí per avere una sicurtà in mano, acciò che el papa non facessi villania a' mercatanti nostri erano in Roma; finalmente assicurata questa parte, fu licenziato e accompagnato onorevolmente. Fuggirono ser Stefano e Bernardo Bandini, che tutt'a dua avevono assaltato Lorenzo, e per piú sicurtà Bernardo ne andò in Turchia, donde l'anno seguente lo cavò Lorenzo, e condotto a Firenze fu impiccato. Fu preso Guglielmo e rispetto al parentado e prieghi della moglie sorella di Lorenzo, fu liberato e mandato a' confini. Furono presi Giovanni fratello di Guglielmo, Andrea, Niccolò e Galeotto fratelli di Renato, tutti innocenti, e furono confinati in perpetuo nelle carcere di Volterra. Fu confiscata la roba di tutti, levate le arme per la città, ordinato che alcuni rimasono di quella famiglia mutassino, massime nelle cose del palagio, el nome, fatto decreto che le figliuole e sorelle de' morti e confinati non si potessino per alcuno tempo maritare. El quale decreto fu parecchi anni poi levato via, e quegli incarcerati a Volterra furono confinati in perpetuo del territorio e cavati di carcere. Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette tanta riputazione ed utilità, che quello dí si può chiamare per lui felicissimo: morígli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere la roba e lo stato messo in contesa; furongli levati via gloriosamente e coi braccio publico gli inimici sua e quanta ombra e sospetto aveva nella città; el popolo prese le arme per lui e, dubitando della vita, corse a casa gridando volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande gaudio di tutti, e finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della città; fugli dato per privilegio dal publico potessi per sicurtà della sua vita menare quanti famigli armati voleva drieto, ed in effetto si insignorí in modo dello stato, che in futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potenzia che insino a quello dí era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura. E questo è el fine delle divisione e discordie civile: lo esterminio di una parte, el capo dell'altra diventa signore della città, e' fautori ed aderenti sua, di compagni quasi sudditi, el popolo e lo universale ne rimane schiavo, vanne lo stato per eredità e spesse volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dà l'ultimo tuffo alla città. V GUERRA DI SISTO IV E DI FERDINANDO D'ARAGONA CONTRO FIRENZE (1479). Di questa novità di Firenze e pericolo dello stato nacque alla città una guerra gravissima, perché el re Ferrando e papa Sisto, considerando quanta offesa avessino fatta a chi aveva el governo della città, e che mai piú vi potrebbe essere fede o amicizia, deliberorono apertamente e colla forza di fuora fare pruova di quello che aveano tentato occultamente e colle arme civile; e per dare qualche principio iuridico alla impresa loro, el papa escomunicò Lorenzo ed interdisse la città per avere impiccato lo arcivescovo di Pisa e sostenuto el cardinale di San Giorgio. Fu per parte della città risposto gagliardamente a questa ingiuria, mandando in publico lettere a tutti e' principi cristiani in giustificazione loro e carico del papa, facendo etiam consigliare a tutti e' primi dottori di Italia che de iure questo interdetto era nullo e non valeva. Finalmente venendosi dalle censure e guerra spirituale alle arme e guerra temporale, el papa e re, condotto per capitano, a spesa commune, Federigo duca di Urbino, e fatto intelligenzia co' sanesi', mandorono le gente loro per la via di Siena a' danni nostri. Fu in questo esercito ancora Alfonso duca di Calavria, primogenito del re ed apresso a lui ed el duca Federigo era la cura del tutto. Dall'altra banda e' viniziani e lo stato di Milano, secondo gli oblighi della lega, mandorno gente di arme e fanterie in favore de' fiorentini, ma non quello numero sarebbe suto necessario, in modo che trovandosi superiore di forze lo esercito inimico, el nostro non potendogli stare a petto alla campagna, si ridusse in sul Poggio Imperiale, sendo commessari generali messer Luigi ed Iacopo Guicciardini. E non andavano le cose bene, perché mancando un capitano generale che fussi condotto da tutta la lega, le gente de' collegati non erano in quella ubidienzia che bisognava; di che lo esercito inimico, oltre allo essere superiore di forze, andava sanza rispetto campeggiando e' luoghi gli pareva. Presono adunche Radda, Rencine, Brolio, Cacchiano e la Castellina, dove stettono a campo ventinove dí. Era venuto in questo mezzo in campo, capitano di tutta la lega Ercole duca di Ferrara, el quale però, per non essere pari agli inimici di gente, non scese del Poggio, ma molestava e' sanesi con prede e scorrerie, tenendo sempre fermo gli alloggiamenti in sul Poggio, per essere quello sito fortissimo, ed un freno agli inimici, che, poi che ebbono espugnati e' primi luoghi in sulle frontiere, non ardissino distendersi piú verso e' luoghi vicini alla città. Di che gli inimici, per non perdere tempo, volsono alla fine dello anno lo esercito verso la Valdichiana ed accamporonsi al Monte a San Sovino. Dette questa cosa alterazione grande alla città, per essere el Monte luogo di importanza per la qualità del castello e per la oportunità alle altre terre del paese; e però si fece risoluzione si soccorressi in ogni modo, e subito fu mandato in quella parte commessario messer Bongianni Gianfigliazzi, acciò che insieme col conte di Pitigliano disegnassino e' modi necessari e gli alloggiamenti oportuni a questo soccorso. Ed in questo mezzo si scrisse nel campo nostro (el quale, rimasto per la partita degli inimici superiore da quella banda, aveva fatte grande prede in sul sanese e presi alcuni luoghi di non molta importanza) che el capitano insieme con Iacopo Guicciardini, lasciate le gente bastavano per guardia del paese, si transferissino alla volta del Monte ed agli alloggiamenti che si disegnassino pel conte di Pitigliano e per messer Bongianni. Volsonsi a quella volta e doppo molte dispute e dispareri alloggiorono presso al campo inimico; dove sendo, si fece tregua per alcuni giorni. La quale fu accettata da' nostri, perché sendo nello autunno pareva loro utile ogni tempo si togliessi agli inimici, sendosi allo stremo dello anno; fu accettata da loro, perché, sendo la natura del duca di Urbino fare le cose sue piú sicuramente poteva, si volle fortificare da una banda donde dubitava potere essere offeso, e la quale però non era stata prevista da' nostri. Finalmente, spirata la triegua, gli uomini del Monte si dettono loro spontaneamente, benché da par loro si fussino potuti tenere alcuni dí, ed inoltre avessino la speranza propinqua del soccorso ed el tempo di natura da credere che el campo fussi necessitato a levarsene presto. Questa perdita del Monte sbigottí ed alterò assai l'universale della città, perché fu contro la opinione commune, riputandosi che quel luogo fussi forte ed eziandio molto fedele ed ebbonne el capitano e commessari e le gente nostre gran biasimo, ed imputatine di viltà, come se non fussi bastato loro lo animo a soccorrerlo e di qui gli uomini del Monte, privati di speranza del soccorso, si fussino dati. Nondimeno pe' piú savi si ritrasse essere stata malignità di parecchi capi della terra, e' quali a poco a poco avevano persuaso la moltitudine, che da sé naturalmente era inclinata alla divozione nostra e cosí che le gente nostre meritavano scusa, perché non potevano avere a fare con gli inimici, se non con gran disavantaggio. Nel medesimo tempo fu in Firenze un poco di disordine causato dagli otto della balía. Quello magistrato ne' tempi passati era stato creato con grandissima autorità nelle cose criminali, sottoposta pure nel giudicare, benché non nel procedere, alle leggi e statuti della città, e con potestà libera ed assoluta e fuora di ogni legge, ne' peccati concernenti lo stato; e fu invenzione di chi si trovava nelle mani el reggimento, per avere un bastone a loro posta, col quale potessino stiacciare el capo a chi volessi malignare ed alterare el governo. E benché la origine sua nascessi da violenzia e tirannide, riuscí nondimeno un ordine molto salutifero; perché come sa chi è pratico nella terra, se el timore di questo magistrato, che nasce dalla prontezza del trovare e' delitti e giudicargli, non raffrenassi gli animi cattivi a Firenze non si potrebbe vivere; e cosí come detto ufficio fu pienissimo circa alle cose criminali, gli fu proibito per espresso non potessi impacciarsi nel civile. El quale ordine non si osservò interamente, perché a poco a poco per spezialità di chi era nell'ufficio e pe' mezzi e favori degli uomini che vi venivano vi si cominciò a introdurre molti casi civili, chamandogli, per qualche ragione indiretta, criminali, la qual cosa sendo molto trascorsa, parve a Lorenzo di correggerla, e però si fece una riforma che dichiarò e distinse molti casi, ne' quali gli otto non potessino cognoscere. E perché la fu ordinata da Gismondo dalla Stufa che allora si trovava degli otto fu chiamata la gismondina; e sendosi osservata per qualche uficio, gli otto che si trovorono in questo tempo, non piacendo loro, un dí subito sanza conferirne o con magistrati o con chi governava la città, la stracciorono ed arsono. La qual cosa parendo fussi un toccare lo stato avendolo fatto di loro propria autorità, e massime ne' tempi che correvano, dispiacque a chi reggeva, e subito furono cassi dello uficio e fatti altri in loro scambio. Né fu fatta loro altra punizione, perché si ritrasse non era stata malignità contro al governo, ma piú tosto leggerezza; ed essere stati messi su da' cancellieri dello uficio, a' quali piaceva vi si cognoscessi di ogni caso, perché si valevano piú; e si riconfermò la gismondina, benché oggi non si osservi, e quietossi la cosa. Gli inimici, preso el Monte, se ne andorno alle stanze; ed in Firenze, pensandosi all'anno sequente, si attese a pensare e' preparamenti per tempo nuovo, ed a questo effetto ristrignersi co' collegati, mostrando loro e' nostri pericoli e strignendogli a' soccorsi. Fu però mandato a Vinegia oratore messer Tommaso Soderini ed a Milano si trovava Girolamo Morelli; e' quali molte volte discorsono e mostrorno come gli eserciti che noi avevamo avuti fra nostri e loro la state passata, non erano bastanti stare in campagna ed a petto agli inimici, e però non si faccendo maggiore sforzo, che loro continuamente si insignorirebbono de' luoghi nostri ed indebolirebbonci in modo che noi saremo constretti pigliare con gran disavantaggio nostro e di tutta la lega qualche partito con loro, benché la intenzione nostra fussi prima morire che abandonare la lega e mancare della fede nostra, essere necessario, se ci volevano conservare lo stato secondo gli oblighi mandare aiuti piú gagliardi e fare altri disegni che l'anno passato. Soggiunsono di poi che, quando bene ci mandassino l'esercito che fussi per resistere agli inimici ad essere loro mai nondimeno non bastare per la salute nostra, perché e' danni che si facevano cosí da' soldati nostri come dagli inimici a' nostri cittadini e sudditi erano tanto grandi e sí innumerabili che continuandosi piú tempo era impossibile a reggerli, avendo massime tanto peso d'avere colle borse private a sostenere tutte le spese ed incarichi della guerra; consumarsi a poco a poco questo corpo ed in modo diminuirsi, che, non si rilevando, cadrebbe da se medesimo, la vera ed unica medicina di questo male essere che fra noi ed e' nostri collegati si facessi tanta forza che si potessi cacciare gli inimici di su' nostri terreni e perseguitargli in ogni luogo e fare la guerra potentemente a casa loro. Questi discorsi e ragione introdussono in pratica molti modi da fare questo effetto, e disegnossi due modi: uno di fare armata per mare e con essa infestare le marine del re Ferrando, e cosí divertire la guerra in Toscana, l'altra chiamare in Italia angioini e voltargli alla impresa di Napoli. Finalmente dolendo la spesa a' collegati, non se ne fece la conclusione si doveva, ma si deliberò per difesa nostra in questa forma: condussesi a' soldi nostri per capitano nostro Ruberto Malatesta signore di Rimino, e si disegnò con lui fare uno campo in quello di Perugia per levare quella città dalla divozione della Chiesa e di poi potere ferire negli altri luoghi nello stato del papa; e per fare questa impresa piú riuscibile, si disegnò per questo campo el conte Carlo del Montone, sperando che la riputazione la benivolenzia e parte aveva in Perugia, l'avessi facilmente a fare ribellare, dalla parte di Siena e verso el campo inimico fu disegnato el duca di Ferrara capitano generale di tutta la lega, ed el marchese di Mantova capitano dello stato di Milano. Furono etiam in qualche speranza d'avere aiuti dal re di Francia, al quale sendosi mandati imbasciadori da tutta la lega, che vi andò per la nostra città messer Guidantonio Vespucci a fare querela del pontefice e tentarlo volessi insieme cogli altri principi chiamare il papa a concilio e cosí richiederlo di aiuti per la difesa nostra, aveva quel re piú volte promesso mandare buono numero di gente d'arme in Italia, ed in effetto ogni cosa fu vana se non che con lettere e con ambasciadori al pontefice, con minacci e protesti favorí assai la causa nostra. Disegnati l'anno 1479 questi apparati, e venendone el tempo nuovo da esercitargli, el signore Ruberto da Sanseverino fuoruscito dello stato di Milano, con gente e favori del re scorse di quello di Genova insino in sulle porte di Pisa; la quale città, per non aspettare la guerra, era improvista di tutte le cose necessarie. Ma subito vi furono mandati commessari messer Bongianni Gianfigliazzi ed Iacopo Guicciardini, e di poi presto vi si volse el duca di Ferrara, ed in modo si raffrenorno gli impeti degli inimici, ed eziandio si scoprí in Pisa uno trattato, che el signore Ruberto vedendosi inferiore di gente e dubitando ancora, venendo aiuto da Milano, non essere rinchiuso, si ritirò e partissi d'in sul nostro. Cessato questo pericolo, el duca e messer Bongianni se ne andorono verso el Poggio, ed Iacopo ne venne in quello di Arezzo, dove pochi dí poi giunse el nostro capitano magnifico Ruberto Malatesta, ed aspettavasi el conte Carlo del Montone el quale, sendo amalato, si fermò in Cortona e quivi pochi dí poi si morí, tagliando una grande speranza si era conceputa per la venuta sua, rispetto al credito ed alla parte aveva in Perugia, nondimeno colle gente vi erano si seguitò la impresa e presesi alcune castella del perugino. E perché lo esercito del papa e re, colla persona de' due duchi Calavria ed Urbino campeggiava dalla banda di Siena e però non attendeva alla difesa del perugino, fu mandato dagli inimici in quella parte un altro esercito sotto la cura del prefetto, nipote del papa, e di messer Matteo da Capua; e' quali arrivati si affrontorono co' nostri e, doppo un bello fatto di arme in che molto apparí la prudenzia ed ordine grande del capitano magnifico Ruberto, e' nostri ebbono una gloriosa vittoria, pigliando gran numero di uomini e cavalli degli inimici e spogliandogli insieme degli alloggiamenti. Dalla parte di Siena non si era fatto ancora cosa notabile, perché e' nostri stavano in sul Poggio, donde operavano piú in difesa de' paesi nostri che in offesa degli inimici, e gli avversari, temendo dello esercito nostro, non potevano sforzare le nostre terre e non ardivano volere fare fazione co' nostri rispetto al disavantaggio arebbono avuto per la fortezza del Poggio. Ma avendo le nuove della rotta di Perugia e dubitando di quello stato, si volsono a gran giornate in là; il che presentendosi pe' nostri che già erano accampati a alcune castella in sul lago di Perugia, perché erano di numero molto inferiori agli inimici, si ritrassono a salvamento a piè di Cortona ma el campo del Poggio, rimanendo per la partita del campo opposito sanza riscontro, scese del Poggio ed andò a campo a Casoli, castello grosso de' sanesi che confina con noi dalla parte di Volterra; e piantatovi le artiglierie, lo prese per forza e saccheggiollo. Di che nel saccheggiare e dividere la preda nacque gran quistione e contesa fra quegli del duca di Ferrara e quegli del marchese di Mantova, e vennono alle mani, e con gran difficultà furono divisi da' commessari nostri messer Bongianni e Girolamo degli Albizzi. Furono, e per la rotta del perugino e per la avuta di Casoli, e' successi nostri tanto felici, che indubitatamente eravamo al disopra della guerra, e si faceva giudicio che la vittoria dovessi essere dal nostro; ma mutossi la fortuna e recò quella gloria e felicità agli avversari, che ragionevolmente doveva essere nostra; perché la quistione nata nel sacco di Casoli fra e' ferraresi e mantovani fu di tanta efficacia, sendo massime fra quegli dua principi qualche sdegno ed inimicizia antica, che per fuggire maggiore scandolo, fu necessario pigliare partito di separargli. E però fu mandato el marchese di Mantova nel perugino a congiugnersi col magnifico Ruberto ed el duca di Ferrara insieme col signor Gostanzo di Pesero rimase a fare la guerra nella parte di Siena. Sendo adunche le gente nostre divise in due parte quasi pari, ed in modo che, se bene unite insieme sarebbono stati superiori agli inimici, nondimeno cosí separate ciascuna di loro era molto inferiore gli inimici, esaminando e' casi loro, si risolverono tenere lo esercito unito in mezzo quello di Siena e la Valdichiana, acciò che, come el campo del Poggio facessi movimento, potessino in tre o quattro dí essere loro adosso; e cosí con questo terrore ritenergli che non ardissino campeggiare con artiglierie, e cosí che non rimanessi loro da fare fazione, se non prede e scorrerie e cose di poco momento; e cosí medesimamente raffrenare, quando si movessi, lo esercito di verso Perugia. E parve loro con questi modi che el campo loro, piú grosso che alcuno degli inimici, potessi facilmente avere occasione di opprimerne uno, e quando pure questo non fussi, stimavano assai consumare questo anno e tenerci colla guerra addosso, e fu parola del duca di Urbino, che e' fiorentini el primo anno della guerra erano vivi e gagliardi, el secondo mediocri, el terzo spacciati; e che ci aspettava al terzo anno. Questi loro ordini cosí disegnati riuscirono in buona parte, perché come el campo nostro di Perugia si moveva, subito gli inimici andavano alla volta loro, in modo che vedendogli superiori erano constretti a ritirarsi a luoghi salvi; e per questo rispetto non si accampavano a terra alcuna con artiglierie, riputandosi vergogna l'aversi di poi a levare, ed erano constretti infestare e' perugini con scorrerie solo, e se pure andavano a un castello, non potevano combatterlo con altro che con battaglia di mano. El medesimo interveniva a' nostri di verso Siena, in modo che gli inimici con questa astuzia tenevano impedite molte piú gente che loro non erano, e consultandosi del rimedio a questo male, pareva necessario unire insieme questi due eserciti, co' quali per essere in piú numero si sarieno sanza dubio urtati gli inimici, ma non si poteva, per la quistione stata tra e' ferraresi e mantovani, e cosí perché el magnifico Ruberto Malatesta ed el signore Gostanzo di Pesero, nostro soldato, erano inimici ed incompatibili in uno campo medesimo. Restava ingrossare tanto l'uno e l'altro campo che separati potessino stare a petto agli inimici; il che non ebbe effetto, percné gli aiuti de' viniziani erano freddi e deboli, e cosí dello stato di Milano; massime che in quello tempo el signore Lodovico, monsignore Ascanio ed el signore Ruberto da Sanseverino con spalle e favore del re presono Tortona ed alcune terre di quello stato; e lo effetto fu che madonna Bona, mossa da paura e da persuasioni come donna, gli richiamò al governo del figliuolo, e loro subito entrati incarcerorno messer Cecco e poi gli feciono tagliare el capo. Fu necessario, intendendosi questi movimenti di Milano, che el marchese di Mantova loro soldato ed el duca Ercole, capitano di tutta la lega, andassino a Milano benché Ercole lasciassi in sul Poggio le sue gente a governo di messer Gismondo da Esti suo fratello. Indebolito in questo modo e' nostri campi, e continuando gli inimici la astuzia loro, si consumò tutta la state; pure finalmente e' perugini, non volendo piú soportare la guerra ed avendo cosí protestato al papa, erano alle strette di pigliare accordo colla lega; quando gli inimici intendendo farsi in sul Poggio Imperiale mala guardia ed essere disordinato molto quel campo, di che era a governo messer Gismondo e commessario Girolamo degli Albizzi, ed avendo certa intelligenzia in una bastía vi era, partitisi dal ponte a Chiusi a grandissime giornate, assalirono improvisamente e' nostri in sul Poggio, e' quali per questo assalto sí subito sbigottiti, né si rifidando al sito fortissimo, sanza fare alcuna difesa vilissimamente si fuggirono e furono rotti. Fu questa rotta una percossa nel cuore alla città, la quale impaurita e pensando solamente alla difesa della libertà, attese a riordinare el piú poteva le gente rotte, richiese instantissimamente di aiuto e' collegati e subito revocò le gente del perugino, in modo che le pratiche dello accordo non ebbono conclusione. Mandossi in quello di Arezzo el signore Gostanzo per guardia del paese; e perché non poteva essere in uno luogo medesimo col magnifico Ruberto, ridussesi el campo nostro a San Casciano, e gli inimici doppo una tanta vittoria ne vennono a campo a Colle, dove stettono circa a sessanta dí; e finalmente non sendo soccorso, l'ebbono a patti, del mese di... VI VIAGGIO A NAPOLI DI LORENZO DE' MEDICI (1479). PACE CON FERDINANDO D'ARAGONA (1480). NUOVI ORDINAMENTI A FIRENZE. La città in questo mezzo, benché doppo la rotta dal Poggio avessi avuto qualche soccorso da Vinegia, nondimeno veduto Colle in modo stretto che era da credere si potessi poco tenere, e benché el tempo dello ire alle stanze si appressassi, pure considerando in quanti pericoli avessino a essere lo anno futuro, e massime perché si dubitava lo stato di Milano non seguitassi la parte del re o saltem si stessi neutrale, e vedendo bisognare pigliare modo alla salute sua o coll'avere altri soccorsi da' collegati che pel passato o col pigliare la pace con piú tollerabili condizioni si potessi, mandorono imbasciadore a Vinegia messer Luigi Guicciardini a fare intendere a quella signoria, come etiam si era fatto l'anno passato mediante messer Tommaso Soderini, in che condizione si trovava lo stato nostro, e che ci era uno unico rimedio, di transferire la guerra in su' terreni degli inimici, el quale, rispetto alla debolezza nostra e la mutazione del governo di Milano, era fondato in gran parte in quella signoria. Le quali cose sendo mostre per lo oratore, non feciono quello frutto che meritamente dovevono fare. Di che sendo a Firenze per lettere di messer Luigi certificati, e come da loro non si poteva sperare piú che pel passato, Lorenzo de' Medici, considerando in che pericolo si trovava lo stato suo e dubitando che questa guerra lunga e pericolosa non straccassi in modo la città, che e' cittadini, per levarsi questa febre da dosso, non gli togliessino lo stato, voltosi tutto a' pensieri della pace, né gli parendo altro modo che di placare lo animo del re, massime disperandosi del pontefice, e conferito questo suo pensiero con pochi o con nessuno, fatto una sera a dí 6 di dicembre chiamare da' dieci una pratica di circa quaranta cittadini de' principali, disse avergli fatto chiamare per conferire loro una sua deliberazione, nella quale non ricercava lo consigliassino, ma solo lo sapessino; avere considerato quanto la città avessi bisogno di pace, non potendo difendersi per se medesima da sí potenti inimici, né volendo e' collegati fare el debito loro; e perché gli avversari pretendevano lo odio essere piú tosto seco che colla città, ed el re in particulare aveva detto non essere inimico della città, ma amarla e desiderare la amicizia sua e cercare di ottenerla colle battiture sua, poi che altro modo non gli era giovato, però essere disposto transferirsi personalmente a Napoli; la quale andata gli pareva utilissima, perché, se gli inimici desideravano lui solo, l'arebbono nelle mani e per saziarsi di lui non bisognerebbe perseguitassino piú la città; se e' desideravano non lui, ma la amicizia publica, questo essere modo a intendergli presto ed a potere ancora migliorare le condizioni della pace; se e' volevano altro, questa andata lo dimostrerebbe, e intendendosi quello che e' volessino, e' cittadini si sforzerebbono con qualche modo piú vivo difendere la libertà e lo imperio; cognoscere in quanto pericolo si mettessi ma essere disposto preporre la salute publica al bene privato e pel debito universale di tutti e' cittadini verso la patria e pel particulare suo, rispetto a avere avuti dalla città piú benefíci e piú condizione che alcuno altro; sperare che quegli cittadini che erano presenti non mancherebbono in conservare lo stato e l'essere suo, e cosí raccomandare loro sé, la sua casa e famiglia; e sopratutto sperare che Dio, risguardando alla iustizia publica ed alla sua buona intenzione privata, aiuterebbe questo pensiero; e quella guerra che si era principiata col sangue del suo fratello e suo, si poserebbe e quieterebbe per le sue mani. Dette questo parlare ammirazione a tutti quegli che non avevano prima notizia, ed e' pareri furono in sé vari come si fa nelle cose grande; nondimeno, perché gli aveva detto non ci ricercare drento consiglio, nessuno la contradisse. E cosí lui, raccomandata la città ed el governo agli amici dello stato, si partí la notte medesima; ed el dí sequente giunto a San Miniato al Tedesco, scrisse una lettera alla signoria, scusandosi non gli avere prima communicato questo suo disegno, perché gli pareva che el tempo ricercassi piú tosto fatti che parole, ed allegando le cagione della andata sua, quasi in quel medesimo modo aveva viva voce fatto co' dieci e colla pratica. Giunto di poi a Livorno e trovatovi due o tre galee mandate dal re Ferrando per levarlo, come ebbe avuto da Firenze el mandato di potere conchiudere quanto voleva el popolo fiorentino, se ne andò per acqua alla volta di Napoli. Aveva el re Ferrando, avisato di tale deliberazione, credo dagli oratori milanesi che praticavano a Napoli la pace, mandato a sua richiesta le galee in Porto Pisano, e per dare uno saggio di pace innanzi che Lorenzo partissi, fatto che el duca di Calavria aveva richiesta la città di levare le offese a disdetta di dieci dí, e cosí si era consentito. Questa andata di Lorenzo alterò assai e' viniziani per essere fatta sanza saputa loro, e feciono concetto la pace essere conchiusa, e Lorenzo essere ito a cosa fatta, e loro essere lasciati a discrezione; e nondimeno per impedirla se la non fussi pure conchiusa, veramente sendo conchiusa, per accertarsene, ed in ogni evento per trovarsi forti ed armati, subito feciono tornare in Romagna le gente loro che erano in Toscana in aiuto de' fiorentini; richiesono lo stato di Milano e fiorentini di rinnovare la lega, allegando che per qualche accidente si era divulgato a Roma ed in piú luoghi che la era rotta per non si essere osservata secondo e' capitoli, e però essere bene per tôrre ogni ombra potessi nascere, rinnovarla, e concorrendovi lo stato di Milano, la città, per non perturbare le pratiche di Napoli, la negò. Tolsono per loro capitano el magnifico Ruberto Malatesta; e perché gli era capitano de' fiorentini, e durava la condotta sua qualche anno, e non voleva obligarsi a' viniziani se non in caso avessi licenzia da' fiorentini, feciono tanta instanzia si dessi questa lincenza, che la città, per non alienarsegli in tutto se pure seguissi guerra, lo fece, benché molto male volentieri. Levate le offese, messer Lodovico e messer Agostino da Campofregoso ci tolsono furtivamente Serezzana, e querelandosene la città al duca di Calavria e di Urbino che fussi stata tolta sotto la fede loro dagli uomini loro, dimostrorno averlo per male e fare ogni instanzia con lettere ed imbasciadori ci fussi restituita; il che non ebbe effetto, o per la ostinazione de' Fregosi, o perché egli operassino in fatto el contrario. La città in quel tempo si trovava molto inferma, e diminuita assai la virtú, sí per la lunga guerra, sí etiam perché assai avevano preso animo di sparlare del governo, e cercare novità e gridare che gli era bene che gli onori e le gravezze non si distribuissino a arbitrio di pochi, ma de' consigli. Nasceva questa audacia, perché molti facevano giudicio che el re avessi a tenere Lorenzo, dicendo che lui, disperato potere sostenere questo, si era gittato nelle braccia di quel re suo inimico temerariamente e sanza avere da lui fede o sicurtà alcuna; e se pure l'aveva avuta, che el re non la osserverebbe, sendo uomo sanza fede, come aveva mostro la esperienza passata nel conte Iacopo ed in altri. E multiplicando ogni dí questo omore nella città, non si poteva pensare a fare provedimenti alla guerra; e massime che molti delle casa dello stato, o perché dispiacessi loro el governo presente, o per credere che Lorenzo non avessi a tornare, cercavano cose nuove e volgevano credito a Girolamo Morelli; el quale, sendo di riputazione grandissima e forse cosí savio come altri che fussi nella città, avendo forse la medesima opinione di Lorenzo, era in qualche sospetto collo stato, nata forse non meno della autorità che egli aveva, che da alcuno suo sinistro portamento. Gli amici del reggimento pareva loro assai conservare lo stato sanza mutazione, tanto che Lorenzo tornassi, ed ingegnavansi creare signorie di qualità da potersene fidare. Lorenzo, giunto a Napoli, fu ricevuto dal re con onore grandissimo e sforzossi persuadergli che se gli dava la pace e conservavalo nello stato, si varrebbe molto piú della città a suo proposito che se lo spacciassi; perché se si mutassi a Firenze governo, potrebbe venire in mano di tali, che el re non ne disporrebbe come di lui solo. Stette el re molti dí dubio, sendo da un canto molto stimolato dal papa di spacciarlo, da altro parendogli vere le sua ragione, ed aspettava vedere se questa suspensione facessi in Firenze novità alcuna. Finalmente non si alterando nulla a Firenze, si risolvé alla pace ed a conservare Lorenzo, el quale vedendosi menare in lunga si ritrovava in gran paura; e nondimeno si soprasedé molti dí la conclusione, perché el re voleva farlo con meno alterazione del papa fussi possibile, e non venendo da Roma la licenzia, fu contento che Lorenzo si partissi, avendolo certificato di quello voleva fare in ogni modo. Di che Lorenzo tornò per acqua e subito ritornato a Firenze, dove fu ricevuto con grandissimi segni di letizia e benivolenzia, venne la nuova della pace cosa molto desiderata e che gli recò grandissima riputazione, in modo che quanto la sua deliberazione fu pericolosa e forse troppo animosa, tanto gli fu lieto e glorioso il fine. La pace dal canto nostro ebbe quelle condizione in qualche parte che sogliono avere e' vinti; perché non vi furono inclusi e' signori di Romagna che erano sotto la protezione della nostra lega, ma ne fu fatto compromesso nel re, el quale aveva a parole dato speranza di salvargli; non ci fu problema la restituzione delle terre perdute, ma rimesse in arbitrio del re, el quale di poi nello 1481, alla fine di marzo, restituí Vico, Certaldo, Poggibonzi, Colle ed el Monte a San Sovino; la Castellina e le altre rimasono a' sanesi secondo le convenzione avevano col re; pagossi certa somma di danari, e nondimeno fu pace con meno disavantaggio non ricercavano le condizioni nostre. Aggiunsesi una lega universale di Italia, non riservando la particulare e si dispose che perché e' viniziani avessino cagione di acconsentirla, avessino tutti e' principi di Italia a mandare loro imbasciadori, come altra volta si era fatto nel 54, al re Alfonso. Fu ratificato ogni cosa dal re, Milano, Ferrara e noi; el papa ratificò la pace; e' viniziani, non piacendo loro nuova lega, non ratificorono, anzi feciono, fuora della opinione di tutti, una nuova lega col pontefice. A Firenze si elesse imbasciadori al papa e re ed a rallegrarsi messer Antonio Ridolfi e Piero di Lutozzo Nasi, di poi si deputò undici imbasciadori a Roma a chiedere la assoluzione dalle censure messer Francesco Soderini vescovo di Volterra, messer Luigi Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer Piero Minerbetti, messer Guidantonio Vespucci, Gino Capponi Domenico Pandolfini, Antonio de' Medici, Iacopo Lanfredini Piero Mellini... e' quali usate molte cerimonie e supplicazione la ottennono. Quietate le cose della città di fuori, parendo agli uomini del reggimento le cose drento essere disordinate, attesono a restrignere lo stato e dettono pegli oportuni consigli balía a trenta cittadini per piú mesi, e di poi a dugentodieci, e' quali feciono squittino nuovo, ordinorono nuova gravezza, dettono a que' trenta arroti quaranta, e' quali per cinque anni avessino molte autorità, e di creare la signoria ed altro e circa le provisioni della città, che si chiamorono el consiglio de' settanta, el quale si continuò poi di tempo in tempo in modo che fu un consiglio a vita. E perché el magistrato de' dieci vacava, finita la guerra, ordinorono si eleggessi di sei mesi in sei mesi, del numero de' settanta, otto cittadini chiamati otto di pratica, e' quali avessino a vegghiare le cose importante dello stato di fuora ed a tenerne quella cura nella pace, che tenevano e' dieci nella guerra; e cosí rilegorono e riformorono lo stato con piú grandezza e stabilità di Lorenzo. VII GUERRA TRA VENEZIA E FERRARA (1482). PACE DI BAGNOLO. IMPRESA DI PIETRASANTA. Fatta questa pace, stette Italia in quiete insino all'armo 1482, nel qual tempo sendo nate alcune discordie tra e' viniziani ed Ercole duca di Ferrara rispetto a' confini ed antique convenzione loro, e non potendo e' viniziani sopportarle sí per la loro superbia naturale, sí etiam per essere usi a disporre molto di quello stato; e da altra parte Ercole faccendo piú renitenzia che pel passato, per confidarsi in essere genero del re Ferrando e nella lega aveva con lui, con Milano e Firenze; ed ultimamente sendo el vicedomine che stava in Ferrara per la signoria di Vinegia scomunicato dal vicario dello vescovo, lo effetto fu che e' viniziani deliberorono rompergli guerra con consiglio e consenso ancora di papa Sisto. E parendo loro che la vittoria consistessi nella prestezza, disegnorono una armata grossa in Po e due campi per terra, uno dalla banda di Ferrara sotto el signore Ruberto da Sanseverino, l'altro in Romagna sotto el magnifico Ruberto Malatesta e cominciorono potentemente a infestare lo stato di Ferrara. Da altra banda e' signori collegati risentendosi non tanto per gli oblighi della lega, quanto pel pericolo commune a tutta Italia se e' viniziani si insignorivano di quello stato mandorono gente e commessari a Ferrara, non in quello numero bisognava, e per capitano Federigo duca di Urbino, sperando che la presenzia ed autorità sua avessi a fare frutto. Partissi del reame el duca di Calavria per soccorrere el suo cognato ma sendogli dinegato el passo dal papa che favoriva e' viniziani, congiuntosi con Savelli e Colonnesi, cominciorono a infestare le terre della Chiesa; e sendo el papa, il conte Girolamo e signore Verginio Orsino occupati alla difesa, e' fiorentini levorono Città di Castello da obidienzia della Chiesa, rimettendovi a governo messer Niccolò Vitelli che ne era stato, cacciato da messer Lorenzo Iustino capo della parte avversa. E perché el papa potessi difendersi dal duca di Calavria, e' viniziani gli mandorono el magnifico Ruberto; e cosí la guerra dello stato di Ferrara si alleggerí dalla parte di Romagna. Ma di verso Ferrara e' viniziani non avendo riscontro, presono Rovigo con tutto el Pulesine e vennono a campo a Ficheruolo, strignendolo per terra e per acqua; ma difendendosi ferocemente, per esservi drento a guardia valenti uomini e perché el duca Federigo, accampato in sull'altra riva di Po, gli dava tutti quegli favori era possibile, non l'ebbono se non in spazio di quaranta o cinquanta dí. Nel qual tempo el duca Federigo, sendo amalato per la cattiva aria di quegli paludi, morí con grandissimo danno di tutta la lega, rispetto alla sua grandissima fede virtú ed autorità, e ne' medesimi dí el magnifico Ruberto colle gente ecclesiastiche presso a Velletri a un luogo detto Campo Morto, si appiccò col duca di Calavria, dove doppo un lungo fiero e bellissimo fatto di arme, el duca di Calavria fu rotto, presi assai di quegli baroni romani erano con lui, e lui colla fuga scampò le mani degli inimici. Doppo la quale gloriosa vittoria Ruberto, sendo amalato per la grandissima fatica durata nel fatto dell'arme, portato a Roma pochi dí poi morí in grandissima fama, e fu sepulto in San Pietro con uno epitafio vulgare: Ruberto sono che venni vidi e vinsi Morí in quegli giorni medesimi e, come dicono alcuni, in quello dí medesimo che morí a Ferrara el duca di Urbino. Furono questi successi tanto in favore de' viniziani, sendo rotto el duca di Calavria, espugnato Ficheruolo, morto Federigo duca di Urbino, che, non avendo ostaculo, el signore Ruberto coll'esercito passò Po, fatti ne' luoghi oportuni molti ponti e bastioni, massime uno al Lagoscuro di grandissima importanza alla infermità di quello paese, e venne insino alle porte di Ferrara, sendo molto impaurito el duca e deliberato abandonare Ferrara ed andarsene a Modona, se da messer Bongianni Gianfigliazzi, che vi era commessario de' fiorentini, non fussi stato con gagliarde parole e conforti ritenuto. E certo la vittoria pareva in mano de' viniziani, avendo stretto el collo a Ferrara con uno esercito potentissimo, con una grossa armata per Po, e sendovi gli aiuti de' collegati molto deboli, e sperandovisene pochi altri, perché el re, poiché era rotto, non pareva sufficiente a sforzare el papa di dargli el passo; lo stato di Milano aveva guerra co' Rossi di Parmigiana, e' quali sotto la speranza de' viniziani si erano ribellati, e tutto lo sforzo di quello stato era vòlto a espugnare San Secondo, luogo fortissimo, ed e' fiorentini soli non potevano né volevano difendere questa piena, e come accade nelle cose che s'hanno a fare per piú, comunemente la freddezza dell'uno intepidiva gli altri. Ma perché lo imperio di Italia non era ancora disegnato a' viniziani, si volse nuovo vento, in modo che mutate la condizione delle cose, non solo si salvò Ferrara, ma furono e' viniziani in grandissimo pericolo perdere tutto lo stato avevano in Italia in terraferma; perché el papa e conte Girolamo che avevano insino a quel dí dato loro favore, si rivolsono e collegoronsi colla lega alla difesa di Ferrara. La cagione può essere varia, o perché fussino sdegnati co' viniziani d'avere loro mancato forse in qualche convenzione avevano insieme, o perché fussino allettati da qualche promessa de' collegati, o perché fussino impauriti, considerando che se e' vinizani ottenevano, verrebbono in tanta grandezza, che e gli amici e gli inimici arebbono a stare a loro discrezione. Comandò dunche el papa a' viniziani che levassino le offese da Ferrara e restituissino le cose occupate a quello stato; e non ubbidendo loro successivamente, benché con qualche intervallo di tempo, gli dichiarò scomunicati ed interdetti; e per pigliare el modo della difesa, si fece una dieta a Cremona, dove oltra gli oratori di tutti gli altri stati di Italia, eccetto e' genovesi, vi intervenne personalmente el duca di Calavria, el signore Lodovico Sforza, Lorenzo de' Medici, el marchese di Mantova, messer Giovanni Bentivogli, e credo el conte Girolamo, oltre a Francesco da Gonzaga, cardinale mantovano, legato del papa. E finita la dieta, el legato e duca di Calavria si transferirono a Ferrara; dove attendendo alla difesa ed ingrossando continuamente di gente, el signore Lodovico espugnò San Secondo e spacciò tutto lo stato de' Rossi, in modo che potendosi valere di tutte le gente sforzesche, si conchiuse, per piú difesa di Ferrara, rompere a' viniziani dalla banda di Milano in sul bresciano. La qual cosa si accelerò, perché el signore Ruberto sperando avere parte in Milano e potervi fare movimento, partito del ferrarese e fatto un ponte in sull'Adda, ne venne insino in sulle porte di Milano, dove non si vedendo novità, si ritornò adrieto, non avendo fatto alcuno acquisto; e perché gli era molto tardi al campeggiare, le fazioni dell'arme si riposorono. Nella medesima state la città recuperò le terre tenevano e' sanesi di nostro, acquistate nella guerra del 78, perché avendo e' sanesi fatto novità e cacciati molti cittadini, e loro ridottosi in su' confini, dove si stimava avessino favore o dal papa o dal re, entrò gran sospetto a quegli reggevano, in modo che per loro sicurtà e appoggio feciono lega colla città e restituirono la Castellina e gli altri luoghi. E di poi andorono a campo a Serezzana la quale non s'ebbe, per avere in Lunigiana poche gente e quelle non potendo tardare, perché avevono a essere in Lombardia. L'anno sequente lo esercito della lega, sendo potentissimo e molto superiore a' viniziani, prese Asola e molti luoghi del bresciano e bergamasco; e continuando tuttavia la vittoria, avendo el duca di Calavria notizia che el bastione del Lagoscuro non era tanto guardato che giugnendolo alla improvista non si espugnassi e cosí si levassi tutta la guerra da Ferrara, cavalcò con le gente subitamente verso Ferrara. Ma fu in que' giorni tanta tempesta in Po, che le barche ordinate da lui non furono a ostia a tempo potessi passare; in modo che, soprastandovi a aspettarle, el signore Ruberto che egli era cavalcato drieto collo esercito, lo raggiunse e fu al bastione innanzi a lui. Nel medesimo anno Giovan Francesco conte di Caiazzo e messer Galeazzo, figliuoli del signor Ruberto, tennono stretta pratica col signore Lodovico venire a' soldi sua e dettono speranza a principio del signore Ruberto loro padre; di poi vedendo che lui non lo farebbe, con alcuni loro fidati fuggirono occultamente del campo de' viniziani e vennono in quello della lega. Il che si stimò assai, perché fu opinione che e' viniziani avessino a insospettire del signore Ruberto e volersene assicurare o veramente non lo adoperare; ma lui prudentissimamente, come intese el caso, se ne andò a un castello de' viniziani, e quivi fatto chiamare el castellano, gli comandò per l'autorità aveva dalla signoria per conto del capitanato, lo ritenessi a stanza della signoria; il che lui non volle fare. E con questi ed altri modi in modo assicurò e' viniziani, che loro gli mandorono imbasciadori a confortarlo, ed a mostrargli avere in lui piú fede che mai. Avevano e' viniziani tenute astutamente molte pratiche di pace, massime col papa, non tanto per farla, quanto per ingegnarsi di mettere qualche ombra tra e' signori della lega, a fine che questa unione si dissolvessi, o almeno che la speranza della pace gli raffreddassi ne' provedimenti s'avevono a fare, le quale arte sendo cognosciute, non solo si pensava alla pace, ma nella fine di quello anno si consultorono in una dieta a Milano gli ordini del continuare l'anno sequente potentemente la guerra; in modo che in quella vernata furono e' viniziani in grande angustie di pensare e provedere gente e danari per difendersi. E sopravenendo la state, uscí alla campagna el duca di Calavria collo esercito della lega tanto potente che non potendo el signore Ruberto stare alla campagna a petto agli inimici, sforzavano tutti e' luoghi dove si accampavano. Di qui e' viniziani, diminuendo ogni dí la riputazione, sbigottiti e con poca speranza, mancavano ne' provedimenti necessari ed ogni dí diventavano piú deboli, benché l'armata loro avessi nel reame preso Galipoli; in modo che gli era manifesto che non avevano riparo che gli inimici non pigliassino o Brescia o Bergamo, e di poi con maggiore forza e riputazione, e favoriti da popoli di conto, togliessino loro lo imperio di terraferma di Italia. Ma quella fortuna che gli ha piú volte conservati per riputazione difesa ed ornamento di Italia fuori di Italia, per peste e calamità di Italia in Italia, in tanto pericolo non abbandonò. Perché sendo lo esercito della lega a Bagnuolo, el signore Lodovico dubitando da un canto che, spacciati e' viniziani, el duca di Calavria seguitato da' collegati non lo levassi dal governo dello stato di Milano, quale lui governava in nome di Giovan Galeazzo suo nipote e genero del duca di Calavria, da altro sendogli occultamente promesso da' viniziani favorirlo in continuarlo nel governo e forse in farlo duca di quello stato, e correndovi anche forse sotto mano qualche somma di danari, tenuto pratica di pace col signore Ruberto da Sanseverino, finalmente la conchiuse con condizione disonorevole alla lega: restituissi la lega tutte le terre e luoghi tolti in questa guerra a' viniziani, ed e converso e' viniziani restituissino al re, al duca di Ferrara tutti e' luoghi occupati, eccetto Rovigo con tutto el Polesine e ritenessino in Ferrara e nel ferrarese l'antique immunità privilegi e preeminenzie, ritenessi lo stato di Milano e' luoghi tolti a' Rossi; delle differenzie de' fiorentini e Fregosi circa allo stato di Serezzana non si parlò, e cosí dello includere nella lega el presente stato di Siena; rimanessi el signor Ruberto soldato de' viniziani ed avessi titolo di capitano generale di tutta Italia. Dispiacque questa pace universalmente a tutti e' collegati, parendo loro perduta una grandissima occasione di assicurare Italia per qualche tempo da' viniziani, e dolendosi delle condizioni vituperose; dispiacque particularmente al duca di Ferrara, e per tornare nelle antique servitú e per vedersi sanza el Pulesine, luogo importantissimo allo stato suo ed e' viniziani presso alle porte di Ferrara a quattro miglia, dispiacque a' fiorentini per non si essere tenuto conto delle particularità loro di Serezzana e di Siena, la qual cosa desideravano, dolendosi che avendo fatto per difesa di Ferrara e per commune beneficio piú che non toccava loro, fussino stati lasciati adrieto; e nondimeno perché la guerra non si poteva sanza lo stato di Milano seguitare, fu ratificata da tutti la pace. Fatta la pace, subito morí papa Sisto, quale era stato uomo valentissimo ed inquieto e tanto inimico della pace, che a suo tempo Italia stette sempre in guerra; e per essergli naturale questo appetito e perché era noto che della pace ultima aveva avuto dispiacere ed alterazione grandissima, nacque una voce che era morto per dolore della pace, donde vulgarmente se ne celebrò uno distico: Nulla vis saevam potuit extinguere Xistum; Fu eletto in suo luogo... cardinale di Malfetta, di nazione genovese, e chiamato Innocenzio ottavo. Nel quale tempo e' fiorentini, desiderosi recuperare Serezzana con favore del re e dello stato di Milano, ordinorono mandarvi el campo e provistosi di gente e forze necessarie, e mandato commessario Iacopo Guicciardini, e di già sendo quasi all'intorno di Serezzana, accadde che Paolo dal Borgo loro connestabole passando da Pietrasanta, che era de' genovesi, per scorta di alcuni muli carichi di vettovaglie che andavano in campo, fu assaltato e svaligiato, e presi e' muli da quegli della terra; in modo che el campo di Serezzana ne venne subito alla volta di Pietrasanta, e quivi si accamporono, fondandosi in su uno capitolo della pace: che qualunque andassi a recuperare le cose sue e fussi impedito da alcuna altra terra, potessi voltarsi a quella. E fu questa occasione procurata artificiosamente dalla città, stimando molto piú Pietrasanta per la qualità del luogo e per la commodità ed importanza, se mai s'avessi a fare impresa di Lucca. Sendo le gente nostre accampate a Pietrasanta, venne per soccorrerla dalle riviere di Genova parecchi migliaia di fanti, e' quali non ebbono resistenzia, perché el campo nostro aveva carestia di fanterie, ed in quegli luoghi aspri non si poteva adoperare cavalli; in modo che el campo nostro venne in tanto pericolo che fu constretto levarsi da campo e ritirarsi. Ma non volendo la città a nessuno modo soportare questa vergogna, fu ingrossato el campo di fanterie e di altre cose necessarie, e per piú riputiazione della impresa e per portare ordine di danari, furono mandati in campo commessari, in compagnia di Iacopo Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi ed Antonio Pucci; e ristrinsesi in modo la terra, che non era possibile vi entrassi soccorso alcuno. Difendevansi quegli di drento francamente, e per la cattiva aria nel campo nostro amalò molti, e tutt'a tre e' commesari ne furono portati a Pisa infermi, dove pochi dí poi morirono messer Bongianni ed Antonio di Puccio. Finalmente sendo quegli di drento disperati di soccorso, dettono la terra, salvo l'avere e le persone; e cosí fu loro osservato. Fu questo buono acquisto perché, oltre alla qualità della terra era una scala a fare piú facile la impresa di Serezzana, era una briglia in bocca a' lucchesi, di natura che erano forzati stare sempre in continuo sospetto, ed uno instrumento potente alle altre terre e luoghi di Lunigiana quivi propinqui. VIII CONGIURA DEI BARONI (1484). POLITICA DI LORENZO. Creato Innocenzio ottavo si suscitorono in Italia nuove guerre e tumulti; e la cagione fu che l'anno 1484 molti baroni e principi del regno di Napoli, sendo male contenti del re Ferrando, e con loro gli aquilani, si ribellorono da lui e furono presi in difesa da Innocenzio el quale entrato in speranza potere per questo mezzo disfare el re e valersi di quello reame e disporne a arbitrio suo, tolse a soldo el signore Ruberto da Sanseverino per mandarlo contro al re. Questa impresa dispiacque assai a Milano e Firenze, e presentendo questo appetito del papa, già innanzi avevano disposto, per ovviare all'ambizione de preti la quale sarebbe state infinita, e per gli oblighi della lega, favorire con ogni sforzo el re Ferrando, ed ingegnatisi persuadere al papa non ci mettessi le mani, mostrando che quando facessi altrimenti erano obligati a risentirsene. Cosí el signore Lodovico, avendo mostro a' viniziani quanto questo movimento fussi pernizioso a tutta Italia, gli aveva pregati che per conservare la quiete commune non volessino dare licenzia al signore Ruberto che andassi a' soldi del papa, perché toltogli questo instrumento di mano, gli rimaneva poche arme da perturbare Italia. Loro avevano promesso farlo, di poi gli dettono pure licenzia, o per non si recare el papa inimico, perché avessino caro le guerre di altri, standosi neutrali per guadagnarne, secondo la loro consuetudine. Erano le cose del regno per le molte ribellione in grande disfavore del re e riducevansi in peggiore condizione per questa passata del signore Ruberto, ed in modo tale che sanza soccorso de' collegati non aveva redenzione alcuna; ed in ogni forma se la guerra s'avessi avuta a fare tutta nel reame, si trovava in modo condizionato che e' rimedi sarebbono stati difficili. Parve adunque, per divertire l'omore i transferire la guerra in quello di Roma; e però si tolsono a soldo ei signore Virginio, el conte Niccola da Pitigliano e gli altri signori Orsini, ed el duca di Calavria con parte delle gente della lega venne in terra di Roma, dove aspettando ingrossassi lo esercito per congiugnersi co' signori Orsini che erano a Bracciano, el signore Ruberto spugnò el ponte Nomentano dove a Fracasso suo figliolo fu guasta la bocca di una artiglieria, e alcune altre terre degli Orsini, in modo che Battista Orsino cardinale ed el signore Iulio e signore Organtino, contro alla voluntà de li altri di casa, si accordorno con molte terre col papa. Di che mancando alla lega la oportunità di quegli luoghi, e vedendosi lo stato del re in pericolo manifesto, ed essere impossibile che sanza piú potente sforzo l'esercito della lega si congiugnessi a Bracciano col signore Virginio e col conte, e cosí loro e quello stato restando quasi a discrezione, el duca di Calavria per consultare questi inconvenienti ne venne alla volta di Firenze e fermosi a Montepulciano, chiese gli fussi mandati due degli Otto della pratica per potere conferire con loro. Mandossi Giovanni Serristori e Pierfilippo Pandolfini, e' quali raportorono a Firenze come al duca pareva che per divertire la guerra del reame, si rompessi guerra a Perugia. Consultossi questo parere a Firenze ed a Milano, e finalmente si conchiuse non essere la salute vera di questo male, perché la impresa di Perugia era difficile, come aveva mostro la esperienzia dell'anno 1479, di poi perché bisognava dare al papa, nel capo e nel vivo, cioè in terra di Roma; e però si risolverono ingrossare tanto lo esercito, che el duca si potessi congiugnere con gli Orsini; la quale cosa fatta, pareva la guerra essere vinta. Mandossi adunche le gente disegnate, e benché e' milanesi fussino piú tardi, perché el signore Lodovico sborsava adagio e male volentieri, pure finalmente importunato assai dai fiorentini che a questo effetto vi avevano nel principio della guerra mandato imbasciadore Iacopo Guicciardini, fece el debito suo. Venne el duca con questo esercito a Pitigliano. e perché el signore Ruberto, e colle genti sue e col vantaggio de' luoghi che erano in mezzo, gli impediva el passare, consumò quivi molti dí, e di poi in sulla collina di Campagnano apiccorno quasi a sera uno fatto di arme, dove gli inimici ebbono disavantaggio e perderono tuttavia di terreno, ed e' nostri in modo gli urtorono, che se la notte non fussi sopravenuta, gli arebbono sanza dubio rotti. Alla fine sendo e' nostri superiori di gente, passorono e vennono a Bracciano, e non potendo gli inimici stare alla campagna, recuperorono le terre perdute degli Orsini; le accordate con el cardinale si rivolsono, ed acquistoronne delle altre. Aveva el papa già innanzi, intendendo la lega farsi viva, tenuto, per mezzo del cardinale San Pietro in Vincola, pratica col duca del Loreno che aveva nel reame le ragioni della casa di Angiò, che e' passassi in Italia, promettendo favorirlo alla impresa del regno, la quale cosa appiccandosi, el duca si metteva in ordine venirne in Italia con qualche favore del re di Francia e de' genovesi, ed aveva mandato imbasciadori a Firenze a pregare desistessino da' favori del re Ferrando e di fare contro alla Chiesa, e lo aiutassino a questa impresa, ricordando le ingiurie ricevute dal re Ferrando, e' benefíci avuti dalla casa di Francia e la devozione antiqua e debita verso la Chiesa. Fu risposto loro mostrando quanto naturalmente la città era desiderosa di pace e che per conservarla si erano piú anni innanzi collegati con Napoli e Milano, e che di poi, avendo el papa contro allo officio suo suscitato nuova guerra, erano stati constretti per osservare la fede ed etiam per ovviare a chi voleva occupare quello di altri, pigliar insieme con Milano la difesa del re Ferrando; el papa non avere insino a quello dí fatto menzione del duca del Loreno, anzi avere trattato la guerra come causa sua propria; ora questa essere una arte non per beneficare el duca, ma per valersi di quello nome e riputazione, e però la città non potere deliberare altro, infino non si chiarissi se cosí era da vero la intenzione del pontefice; e quando cosí fussi, che consulterebbe co' collegati, ed in quello potessi l'onestà, si ricorderebbe delle obligazioni aveva con la casa di Francia. Fu dato nella risposta loro questo appicco per non gli fare sdegnare, perché erano non solo oratori del duca ma etiam del re, con chi bisognava procedere destramente, rispetto a' mercatanti; e però a Milano, che poteva procedere piú audacemente, fu data loro quando esposono nel medesimo effetto, risposta piú gagliarda. E nondimeno questa venuta del duca del Loreno, la quale ogni dí piú rinfrescava dava terrore assai, ed in modo che Lorenzo de' Medici, considerando quanto fussi accetta e grata alla città universalmente la casa di Francia ed e converso quando fussi esoso al popolo el re Ferrando, entrato in paura non si recare troppo peso in sulle spalle, massime che questa impresa in beneficio del re era dispiaciuta a molti cittadini de' principali, arebbe forse mutato proposito, se già e' viniziani, per non volere oltramontani in Italia, non si fussino accostati col re, quando una subita pace assicurò ogni cosa. Perché Innocenzio, veduto che e' baroni erano nel regno in declinazione, e già alcuni erano ritornati alla divozione del re, e la lega in modo al disopra di quello di Roma, che non vi stava drento sanza pericolo, subito per mezzo di messer Gian Iacopo da Triulzi e di Ioanni Ioviano Pontano secretario del duca di Calavria, conchiuse pace colla lega: nella quale assettate le cose di Roma, furono e' baroni e l'Aquila lasciata a discrezione del re; fu provisto che el signore Ruberto non fussi piú suo soldato e si partissi de' terreni sua; di Serezzana ed altri desideri particulari de' fiorentini non si parlò, con poca satisfazione della città. Fatta la pace, el signore Ruberto licenziato prese la volta di Romagna per ridursi colle gente nelle terre de' viniziani; la quale cosa sendogli negata, per non si tirare la guerra adosso, fu constretto lasciare le gente in mano degli inimici, andarsene con pochi cavalli a Ravenna e di quivi a Vinegia. El re, avute le nuove della pace, innanzi la publicassi fece subito pigliare el conte di Sarni, el Coppola, secretario, messer Empò, messer Anello ed alcuni altri che gli avevono occultamente trattato contro, e presone la debita punizione, trovò in loro di mobile el valsente di piú che trecentomila ducati; e di poi voltose a rassettare le cose sue, non avendo quasi ostaculo dagli inimici perché erano abandonati, gli spacciò tutti; e si fece cosí intero ed assoluto signore di quel regno, come ne fussi stato alcuno altro gran tempo innanzi; in modo che gli fu imputato a felicità l'avere avuta questa guerra, per avergli data occasione di assicurarsi de' baroni. El papa non gli sendo riuscita la prima impresa, si volse tutto a' pensieri della pace e si congiunse assai colla città nostra, dando a Franceschetto, suo figliuolo bastardo, per moglie Maddalena figliuola di Lorenzo de' Medici, e faccendo cardinale messer Giovanni de' Medici suo figliuolo fanciullo, e intrinsicandosi tanto con Lorenzo, che Lorenzo mentre visse ne dispose sempre in ogni cosa a suo modo con sua grandissima riputazione. E perché nella conclusione non si era tenuto delle particularità della città quello conto che ricercavano e' meriti sua rispetto alle spese soportate nella guerra, e la città se ne era gravemente doluta col re e col signore Lodovico, e loro mossi dal giusto avevano promesso favorirla nella impresa di Serezzana, e si vedeva che la città desiderosa di recuperare le cose sue era per attendervi presto, e' genovesi l'anno 1487 vennono a campo a Serezzanello per vendicarsi della ingiuria ricevuta in Pietrasanta e perché el luogo era fortissimo e pareva inespugnabile co' modi ordinari cominciorono, per disegno d'uno ingegnere loro, una buca sotto terra per entrare sotto le mura del castello e messovi polvere da bombarde darvi fuoco, sperando che la potenzia di quella polvere avessi a aprire e rovinare el castello. A Firenze inteso el subito assalto si avviorono le gente avevamo a Pietrasanta, e dettesi ordine condurre quante fanterie si poteva e furno mandati commessari Iacopo Guicciardini e Piero Vettori, e' quali colle gente avevano se ne vennono presso a Serezzanello per tenere forti quegli di drento colla speranza del soccorso, e con animo non si affrontare insino a tanto non si ingrossassi el campo di gente si conducevano e di aiuti dovevano venire da Milano, quando e' genovesi seguitando la cava e di già sendo entrati sotto el rivellino del castello e seguitando piú innanzi, trovorono un masso molto duro, el quale era impossibile rompere sanza lunghezza di tempo, ed el tempo non si poteva aspettare per paura del campo inimico che tutto dí ingrossava. Dettono adunque fuoco, per l'impeto del quale el rivellino furiosamente si aperse e rovinò con morte di dodici o sedici uomini vi erano drento; el castello tutto tremò ma non si aperse, perché la cava non era ita tanto innanzi vi fussi sotto, ma si vedde che el disegno era vero e da riuscire; di che gli uomini di drento, impauriti di tanta furia cominciorono a fare cenni di soccorso e di non si potere piú tenere, parve per questo anticipare el tempo e non aspettare piú, dubitando che se indugiavano, di non essere tardi. E la mattina sequente, che fu el dí di pasqua di resurrezione, assaltorono el campo inimico, appiccossi una zuffa belle e gagliarda, e finalmente e' nostri furono vincitori con gran rotta e sbaraglio degli inimici, de' quali rimase prigioni assai, e fra gli altri messer Gian Luigi dal Fiesco. Avuta questa vittoria, e' commessari colle gente nostre si avviorno alla volta di Serezzana, dove, sendo ingrossato el campo di gente aragonese e sforzesche, si accamporono; e continuando e' felici successi, avendo preso per forza San Francesco e battagliata assai e bombardata la terra, ed ordinandosi dare una altra forte battaglia, quegli della terra si dettono, salve la robe e le persone. Questo fine ebbono le imprese di Pietrasanta e Serezzana e cosí si terminorono con grande gloria della città e dello stato, e come parve allora, con gran sicurtà di Pisa e degli altri luoghi nostri da quella banda, e con grande ignominia de' genovesi. E' quali, risentitisi di queste perdite, con molte galee e legni l'anno seguente vennono a campo a Livorno, e per potere bombardare le nostre torre di mare, fondorono con grandissima difficultà in mare una travata di legni, in su' quali condussono e piantorono le artiglierie. Trovavasi nella torre del Fanale commessario Piero Vettori, ed a Pisa, per el soccorso di Livorno, commessari Iacopo Guicciardini, Pierfilippo Pandolfini e Piero Capponi; e' quali, benché fussino in dubio grande di perdere Livorno, pure, sendosi opposti e' venti a' genovesi, ingrossarono tanto che vi messono soccorso, ed e' genovesi, veduto non potere fare piú nulla, si partirono. L'anno sequente andandone a marito madonna Isabella figliuola di Alfonso duca di Calavria e moglie di Giovan Galeazzo duca di Milano, ed avendo a toccare Livorno per passo, si disegnò, rispetto al padre ed al marito ed alla congiunzione avevano colla città, fargli grande onore e furono mandati commessari a Livorno a onorarla, Iacopo Guicciardini, Pierfilippo Pandolfini e Paolantonio Soderini, e' quali, secondo la commessione della città, la riceverono ed onorarono grandissimamente. In questo medesimo tempo, sendo Nero Cambi gonfaloniere di giustizia ed avendosi a trarre la nuova signoria (la quale tratta non si può fare se non vi intervengono e' due terzi de' signori e de' collegi), accadde che si trovorono fuori di Firenze tanti collegi, che non vi sendo el numero sufficiente, la tratta non si potette fare all'ora deputata, e sendosi spacciati cavallari per loro nelle ville, non vi fu el numero innanzi alla sera, ed allora si fece la tratta. Di che sendo sdegnato el gonfaloniere che sedeva, propose a' compagni di ammunire tre o quattro de' collegi che si erano partiti di Firenze senza licenzia, e perché non vi sarebbono concorsi se non avessino inteso piú là, disse loro che cosí era la volontà di chi reggeva. Dispiacque assai questa cosa a Lorenzo de' Medici ed a' cittadini dello stato, parendo loro che se si introducessi in consuetudine che una signoria avessi ardire ammunire e' cittadini sanza conferirne con chi governava, che lo stato loro fussi a cavallo in su uno baleno e che sei fave gli caccierebbono un dí da Firenze; e però come el gonfaloniere fu uscito, fattasi pratica di questo caso, furono restituiti e' collegi ammuniti, ed el Nero Cambi fu ammunito in perpetuo. Ne' medesimi tempi stando Italia tutta in pace e le cose della città in sommo ozio e felicità, si prese forma riordinare molte cose di drento; e levata a' settanta la autorità di creare la signoria, perché le cose andassino piú strette, si elessono accopiatori che la facessino; e di poi perché pareva dovere nella città riordinarsi molte cose, e circa al creare e' magistrati e circa alle gravezze e circa al Monte e circa alle gabelle, per fuggire la difficultà ed el tedio delle provisioni e de' consigli, fu data per gli oportuni consigli autorità e balía a diciassette cittadini. che potessino disporre di tutte le cose della città tanto quanto poteva tutto el popolo di Firenze; e furono creati detti diciassette cittadini, e' quali furono questi: Lorenzo de' Medici, Iacopo Guicciardini, Bernardo del Nero, Niccolò Ridolfi, Pierfilippo Pandolfini, Giovanni Serristori, messer Agnolo Niccolini, messer Piero Alamanni,...
Nel medesimo anno sendo amalato gravemente papa Innocenzio e già disperandosi la salute, furono eletti due imbasciadori per Roma che subito dovessino cavalcare, messer Guidantonio Vespucci e Piero Guicciardini; e la cagione fu perché operassino con ogni instanzia in nome della città che fussi ammesso in conclave come cardinale messer Giovanni figliuolo di Lorenzo de' Medici, che era stato eletto cardinale da Innocenzio, ma per la età non ancora publicato né ricevuto el cappello; ma di poi, sopravenendo ex insperato la guarigione del papa, non andorono. L'anno sequente 1491 sendo Lorenzo tutto vòlto per la quiete publica alle arti della pace, e tra le altre cose, come dicono alcuni, in riformare lo stato e crearsi gonfaloniere a vita, volse lo animo a rassettare Pisa, la quale era in povertà grandissima e molta vòta di abitanti e di esercizi; e parendogli da dare questa cura a' consoli di mare, mutato el modo di eleggergli, che erano per squittino, ed el numero che erano cinque e l'autorità che era ordinaria, ne face fare a mano ne' settanta, tre con autorità amplissima, che furono Lorenzo Morelli, Filippo della Antella e Piero Guicciardini; e' quali avessino a ordinare la riforma di Pisa, attendere a fortificare Livorno, armare legni grossi per potere navigare, come si soleva fare innanzi alle guerre co' genovesi. Le quali cose sendo abozzate si interruppono per lo accidente di che dí sotto si dirà. Fortificossi in quello tempo medesimo Serezzana, faccendosene un luogo quasi inespugnabile, giudicando avessi a essere uno passo che tenessi ogni grosso esercito volessi passare di Lombardia; muravasi ancora con uno disegno bellissimo e fortissimo el Poggio Imperiale e tutto el paese; e le cose nostre si ornavano di legge e di munizione. IX MORTE DI LORENZO DE' MEDICI (1492). SUO RITRATTO. CONFRONTO CON COSIMO I. Era in somma pace la città, uniti e stretti e' cittadini dello stato, e quello reggimento in tanta potenzia che nessuno si ardiva contradirlo; dilettavasi el popolo ogni dí di spettaculi, di feste e cose nuove; nutrivasi coll'essere la città abundante di vettovaglie e tutti gli esercizi in fiore ed essere; pascevansi gli uomini ingegnosi e virtuosi collo essere dato ricapito e condizione a tutte le lettere, a tutte le arte, a tutte le virtú; e finalmente la città sendo drento universalmente in somma tranquillità e quiete, di fuori in somma gloria e riputazione per avere un governo ed un capo di grandissima autorità, per avere frescamente ampliato lo imperio, per essere stata in gran parte causa della salute di Ferrara e poi del re Ferrando, per disporre di Innocenzio interamente, per essere collegata con Napoli e con Milano, per esser quasi una bilancia di tutta Italia, nacque uno accidente che rivoltò ogni cosa in contrario, con scompiglio non solo della città, ma di tutta Italia. E questo è che nel detto anno 1491 avendo Lorenzo de' Medici avuto un male lungo e giudicato nel principio da' medici di non molta importanza, né forse curato con la diligenzia si conveniva, e però occultamente avendo sempre preso forze, finalmente a dí... di aprile 1492 passò della presente vita. Fu denotata questa morte come di momento grandissimo da molti presagi: era apparita poco innanzi la cometa; erasi uditi urlare lupi; una donna in Santa Maria Novella infuriata aveva gridato che uno bue colle corna di fuoco ardeva tutta la città, eransi azzuffati insieme alcuni lioni ed uno bellissimo era stato morto dagli altri, ed ultimamente un dí o dua innanzi alla morte sua, di notte una saetta aveva dato nella lanterna della cupola di Santa Liperata e fattone cadere alcune pietre grandissime, le quali caddono verso la casa de' Medici, ed alcuni etiam riputorono portento che maestro Piero Lione da Spuleto, per fama primo medico di Italia, avendolo curato, si gittò come disperato in un pozzo e vi annegò, benché alcuni dissono vi era stato gittato drento. Era Lorenzo de' Medici di età di anni quarantatré quando morí, ed era stato al governo della città ventitré anni, perché quando morí Piero suo padre nel 69, era di anni venti; e benché rimanessi tanto giovane e quasi in cura di messer Tommaso Soderini ed altri vecchi dello stato, nondimeno in brieve tempo prese tanto piede e tanta riputazione, che governava a suo modo la città. La quale autorità ogni dí multiplicandogli e di poi diventata grandissima pella novità del 78 e di poi per la ritornata da Napoli, visse insino alla morte governandosi e disponendosi la città tanto interamente a arbitrio suo, quanto se ne fussi stato signore a bacchetta. E perché la grandezza di questo uomo fu grandissima, che mai Firenze ebbe un cittadino pari a lui, e la fama sua molto amplissima e doppo la morte e mentre visse, non mi parrà fuori di proposito, anzi utilissimo descrivere particularmente e' modi e qualità sua, per quanto n'abbi ritratto non da esperienzia, perché quando morí io ero piccolo fanciollo, ma da persone e luoghi autentichi e degni di fede, e di natura che, se io non mi inganno, ciò che io ne scriverrò sarà la pura verità. Furono in Lorenzo molte e preclarissime virtú; furono ancora in lui alcuni vizi, parte naturali, parte necessari. Fu in lui tanta autorità, che si può dire la città non fussi a suo tempo libera, benché abondantissima di tutte quelle glorie e felicità che possono essere in una città, libera in nome, in fatto ed in verità tiranneggiata da uno suo cittadino; le cose fatte da lui, benché in qualche parte si possino biasimare, furono nondimeno grandissime, e tanto grande che recano piú ammirazione assai a considerarle che a udirle, perché mancano, non per difetto suo ma della età e consuetudine de' tempi, di quegli strepiti di arme e di quella arte e disciplina militare che recono tanta fama negli antichi. Non si leggerà in lui una difesa bella di una città, non una espugnazione notabile di uno luogo forte, non uno stratagema in uno conflitto ed una vittoria degli inimici; e però non risplendono le cose sue di quegli fulgori delle arme; ma bene si troverrà in lui tutti quegli segni ed indizi di virtú, che si possono considerare ed apparire in una vita civile. Nessuno eziandio degli avversari e di quegli che l'hanno obtrettato, negano che in lui non fussi uno ingegno grandissimo e singulare; e ne fa tanto fede l'avere ventitré anni governata la città e sempre con augumento della potenzia e gloria sua, che sarebbe pazzo chi lo negassi, massime sendo questa una città liberissima nel parlare, piena di ingegni sottilissimi ed inquietissimi, ed uno imperio piccolo da non potere cogli utili pascere tutti e' cittadini, ma sendo necessario che, contentatane una piccola parte, gli altri ne fussino esclusi. Fanne fede la amicizia ed el credito grande che ebbe con molti principi in Italia e fuori di Italia; con Innocenzio, col re Ferrando, col duca Galeazzo, col re Luigi di Francia, infino al Gran turco, al Soldano, dal quale negli ultimi anni della sua vita fu presentato di una giraffa, di uno lione e di castroni; che non nasceva da altro che da sapere lui con gran destrezza ed ingegno trattenersi questi principi. Fanne fede, apresso a chi lo udí, e' parlari sue publichi e privati, tutti pieni di acume ed arguzia grande, co' quali in molti luoghi e tempi, e massime nella dieta di Cremona, si fece acquisto grandissimo. Fanne fede le lettere dettate da lui, piene di tanto ingegno che piú non si può desiderarne; le quale cose tanto parvono piú belle, quanto furono accompagnate da una eloquenzia grande e da uno dire elegantissimo. Ebbe buono giudicio e di uomo savio, e nondimeno non di qualità da potersi paragonare collo ingegno; e furono notate in lui piú cose temerarie: la guerra di Volterra, che per volere sgarare e' volterrani in quegli allumi, gli constrinse a ribellarsi ed accese un fuoco da mettere sottosopra tutta Italia, benché el fine fussi buono; doppo la novità del 78, se si portava dolcemente col papa e col re, non arebbono forse rottogli guerra, ma el volere procedere come ingiuriato e non volere dissimulare la ingiuria ricevuta, potettono essere cagione della guerra con grandissimo danno e pericolo della città e suo; l'andata a Napoli fu tenuta deliberazione troppo animosa e troppo corsa, sendosi messo nelle mani di uno re inquietissimo infedelissimo ed inimicissimo suo, e se bene la necessità della pace, in che era la città e lui, lo scusi, nondimeno fu opinione l'arebbe potuta fare standosi in Firenze, con piú sua sicurtà e non con meno vantaggio. Appetí la gloria e la eccellenzia piú che alcuno altro, in che si può riprendere avere avuto troppo questo appetito nelle cose eziandio minime, pel quale non voleva eziandio ne' versi, ne' giuochi, negli esercizi essere pareggiato o imitato da alcuno cittadino, sdegnandosi contro a chi facessi altrimenti; fu troppo eziandio nelle grande, conciosiaché volessi pareggiarsi e gareggiare in ogni cosa con tutti e' principi di Italia, il che dispiacque assai al signore Lodovico. Nondimeno in universum tale appetito fu laudabile e fu cagione fare celebrare in ogni luogo, eziandio fuori di Italia, la gloria ed el nome suo, perché si ingegnò che a' tempi sua fussino tutte le arte e le virtú piú eccellente in Firenze che in altra città di Italia. Principalmente alle lettere ordinò di nuovo a Pisa uno Studio di ragione e di arte, e sendogli mostro per molte ragione che non vi poteva concorrere numero di studianti come a Padova e Pavia, disse gli bastava che el collegio de' Lettori avanzassi gli altri. E però sempre vi lesse a' tempi sua, con salari grandissimi, tutti e' piú eccellenti e piú famosi uomini di Italia non perdonandosi né a spesa né a fatica per avergli, cosí fiorirono in Firenze gli studi di umanità sotto messer Agnolo Poliziano, e' greci sotto messer Demetrio e poi el Lascari, gli studi di filosofia e di arte sotto Marsilio Ficino, maestro Giorgio Benigno, el conte della Mirandola ed altri uomini eccellenti. Détte el medesimo favore a' versi vulgari, alla musica, alla architettura, alla pittura, alla scultura, a tutte le arte di ingegno e di industria, in modo che la città era copiosissima di tutte queste gentilezze; le quali tanto piú emergevano quanto lui, sendo universalissimo, ne dava iudicio e distingueva gli uomini, in forma che tutti per piú piacergli facevano a gara l'uno dell'altro. Aiutavalo la sua liberalità infinita, colla quale abondava a' valenti uomini le provisione e gli soppeditava tutti gli instrumenti necessari alle arte loro come quando per fare una libreria greca mandò el Lascari, uomo dottissimo e che leggeva greco in Firenze, e cercare insino in Grecia libri antiqui e buoni. Questa medesima liberalità gli conservava el nome e le amicizie co' principi e fuora di Italia, non pretermettendo lui alcuna spezie di magnificenzia, con sua gandissima spesa e danno, colla quale potessi trattenersi gli uomini grandi; in forma che moltiplicando a Lione, a Milano, a Bruggia e ne' luoghi dove erano e' traffichi e ragione sua, le spese per le magnificenzie e donativi, e diminuendosigli e' guadagni per non essere governate da uomini sufficienti, come Lionetto de' Rossi, Tommaso Portinari e simili, ed inoltre non gli sendo renduti e' conti bene, perché lui non si intendeva della mercatura e non vi badava, si condusse piú volte in tanto disordine, che fu per fallire e gli fu necessario aiutarsi e co' danari degli amici e co' danari publici. E però nel 78 accattò da' figliuoli di Pierfrancesco de' Medici ducati sessantamila, e' quali non potendo loro rendere, gli pagò di quivi a qualche anno assegnando loro Cafaggiuolo colle possessione aveva in Mugello; ordinò che in quella guerra e' soldati si pagassino al banco de' Bartolini, dove lui participava; e per suo ordine era ritenuta ne' pagamenti tanta quantità che portava circa a otto per cento, che tornava danno al comune; perché e' condottieri tenevano tanto manco gente che si salvavano, ed el commune bisognava facessi tante piú condotte. Cosí di poi in altro tempo si valse del publico per soccorrere a' bisogni e necessità sua, che furono piú volte sí grandi, che nello 84 per non fallire, fu constretto accattare dal signore Lodovico ducati quattromila e vendere un a casa aveva in Milano per altri quattromila, che era stata donata dal duca Francesco a Cosimo suo avolo; che è da credere rispetto alla sua natura tanto liberale e magnifica, lo facessi colle lagrime in su gli occhi. Di che vedutosi abandonato dagli aviamenti de' trafichi, si volse a fare una entrata di possessione di quindicimila o ventimila ducati; e si distese in modo oltra alle antiche sue in quello di Pisa che doveva essere a diecimila. Fu di natura molto superbo, ed in modo che, oltre al non volere che gli uomini si gli opponessino, voleva ancora intendessino per discrezione, usando nelle cose importante poche parole e dubie; nello ordinario del conversare molto faceto e piacevole; nel vivere in casa piú tosto civile che suntuoso, eccetto che ne' conviti co' quali onorava molto magnificamente assai forestieri nobili che venivano a Firenze, fu libidinoso e tutto venereo e constante negli amori sua, che duravano parecchi anni; la quale cosa, a giudicio di molti, gli indebolí tanto el corpo che lo fece morire, si può dire, giovane. L'ultimo amore suo, e che durò molti anni, fu in Bartolomea de' Nasi, moglie di Donato Benci nella quale, benché non fussi formosa, ma maniera e gentile era in modo impaniato, che una vernata che lei stette in villa, partiva di Firenze a cinque o sei ore di notte in sulle poste con piú compagni e la andava a trovare, partendosene nondimeno a tale ora, che la mattina innanzi dí fusse in Firenze. Della quale cosa dolendosi molto Luigi dalla Stufa ed el Butta de' Medici che vi andavono in sua compagnia, lei accortasene gli messe tanto in disgrazia di Lorenzo, che per contentarla mandò Luigi imbasciadore al Soldano, ed el Butta al Gran turco. Cosa pazza a considerare che uno di tanta grandezza riputazione e prudenzia, di età di anni quaranta, fussi sí preso di una donna non bella e già piena di anni, che si conducessi a fare cose che sarebbono state disoneste a ogni fanciullo. Fu tenuto da qualcuno di natura crudele e vendicativo per la durezza usò nel caso de' Pazzi, imprigionando e' giovani innocenti e non volendo si maritassino le fanciulle, doppo tante uccisione si erano fatte in quegli giorni. Nondimeno quello accidente fu tanto acerbo, che non fu maraviglia si risentissi estraordinariamente, e si vede pure poi che mitigato dal tempo, dette licenzia che le fanciulle si maritassino e fu contento che e' Pazzi uscissino di prigione e andassino a stare fuori del territorio; vedesi ancora negli altri suoi processi non avere usato crudeltà, né essere stato uomo sanguinoso. Ma quello che fu in lui piú grave e molesto che altra cosa, fu el sospetto, causato forse non tanto da natura, quanto dal cognoscersi avere a tenere sotto una città libera, e nella quale era necessario che le cose s'avevano a fare, si facessino da' magistrati e secondo gli ordini della città e sotto spezie e forma di libertà; e però ne' principi suoi, come prima cominciò a pigliare piede, attese a tenere sotto quanto poteva tutti quegli cittadini, e' quali cognosceva o per nobilità o per ricchezza o per potenzia o per riputazione dovere essere stimati per lo ordinario. E benché a questi tali, se erano di casa e stirpe confidente allo stato, fussino concessi largamente e' magistrati della città, le imbascierie commessene e simili onori, nondimeno non si fidando di loro, faceva signori degli squittini, delle gravezze, e conferiva gli intrinsechi segreti sua a uomini, a chi e' dava riputazione, che fussino di qualità che sanza lo appoggio suo non avessino seguito. Di questi fu un messer Bernardo Buongirolami, Antonio di Puccio, Giovanni Lanfredini, Girolamo Morelli (benché questo diventò poi sí grande che nel 79 gli fece paura), messer Agnolo Niccolini, Bernardo del Nero, messer Pietro Alamanni, Pierfilippo Pandolfini, Giovanni Bonsi, Cosimo Bartoli ed altri simili, benché in tempi diversi, urtando qualche volta messer Tommaso Soderini, messer Luigi ed Iacopo Guicciardini, messer Antonio Ridolfi, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer Giovanni Canigiani, e poi Francesco Valori, Bernardo Rucellai, Piero Vettori, Girolamo degli Albizzi, Piero Capponi, Pagolantonio Soderini ed altri simili. Dì qui nacque el tirare su Antonio di Bernardo, el quale, sendo artefice, fu proposto alla cura del Monte con tanta autorità che si può dire governassi e' due terzi della città ser Giovanni notaio alle riformagione, el quale, figliuolo di uno notaio da Pratovecchio, ebbe tanto favore, che avendo avuto tutti gli altri magistrati e sendo molto compiaciuto da lui, sarebbe stato gonfaloniere di giustizia; messer Bartolomeo Scala, quale, figliuolo di uno mugnaio da Colle, sendo cancelliere maggiore della signoria, fu fatto gonfaloniere di giustizia con grandissimo scoppio e sdegno di tutti gli uomini da bene, ed insomma, benché gli uomini della qualità di quegli di sopra intervenissino alle cose, nondimeno nel consiglio del Cento, negli squittini, nelle gravezze, vi mescolava tanti uomini mezzani, de' quali aveva fatto intelligenzie, che loro erano signori del giuoco. Questo medesimo sospetto gli fece tenere cura che molti uomini potenti da per loro non si imparentassino insieme, e si ingegnava apaiargli in modo non gli dessino ombra, strignendo qualche volta, per fuggire queste coniunzioni, de' giovani di qualità a tôrre per donna alcune che non arebbono tolte, ed insomma era la cosa ridotta in modo che non si faceva parentado alcuno piú che mediocre sanza participazione e licenzia sua. Questo medesimo sospetto fu causa, acciò che gli imbasciadori che andavano fuora non uscissino della voglia sua, di ordinare che a Roma, a Napoli, a Milano stessi fermo un cancelliere salariato dal publico, che stessi a' servigi dello imbasciadore vi risedeva, co' quali lui teneva conto da parte ed era avisato delle cose occorrente. Non voglio mettere fra' sospetti el menarsi drieto un numero grande di staffieri colle arme, e' quali lui favoriva assai dando a alcuni spedali e luoghi pii, perché la novità de' Pazzi ne fu cagione; nondimeno non era spezie di una città libera e di uno cittadino privato, ma di uno tiranno e di una città che servissi. Ed insomma bisogna conchiudere che sotto lui la città non fussi in libertà, nondimeno che sarebbe impossibile avessi avuto un tiranno migliore e piú piacevole; dal quale uscirono per inclinazione e bontà naturale infiniti beni, per necessità della tirannide alcuni mali ma moderati e limitati tanto quanto la necessità sforzava, pochissimi inconvenienti per volontà ed arbitrio libero, e benché quegli che erano tenuti sotto si rallegrassino della sua morte, nondimeno agli uomini dello stato ed ancora a quegli che qualche volta erano urtati, dispiacque assai, non sapendo dove per la mutazione delle cose avessino a capitare. Dolse ancora molto allo universale della città ed al popolo minuto el quale del continuo era tenuto da lui in abondanzia, in piaceri, dilettazioni e feste assai; dette grandissimo affanno a tutti gli uomini di Italia che avevano eccellenzia in lettere in pittura, scultura o in simili arte, perché o erano condotti da lui con grandi emolumenti, o erano tenuti in piú riputazione dagli altri principi, e' quali dubitavano, non gli vezzeggiando, non se ne andassino da Lorenzo. Lasciò tre figliuoli maschi: Piero, el primo, di età d'anni circa ventuno; messer Giovanni cardinale, el secondo, el quale poche settimane innanzi alla sua morte aveva ricevuto el cappe]lo ed era stabilito nella dignità del cardinalato, Giuliano, el terzo, ancora fanciullo. Fu di statura mediocre, el viso brutto e di colore nero, pure con aria grave; la pronunzia e boce roca e poco grata perché pareva parlassi col naso. Sono molti che ricercano chi fussi piú eccellente o Cosimo o lui; perché Piero, benché di pietà e clemenzia avanzassi l'uno e l'altro, fu sanza dubio inferiore di loro nelle altre virtú. Nella quale quistione pare da conchiudere che Cosimo avessi piú saldezza e piú giudicio, perché lui fece lo stato, e da poi che l'ebbe fatto, se lo godé trent'anni sicuramente, si può dire, e sanza contradizione, comportando bene uno pari di Neri, e gli altri di chi aveva qualche sospetto, sanza venire a rottura con loro e nondimeno in modo ne fussi sicuro. Ed in tante occupazioni dello stato non lasciò le cura della mercatantia e delle cose sue private, anzi le governò con tanta diligenzia e con tanto cervello, che si trovò sempre le ricchezze maggiore dello stato, el quale era grandissimo, e non fu constretto per bisogno avere a maneggiare l'entrate publiche, né a usurpare quello de' privati. In Lorenzo non fu tanto giudicio, benché avessi una briga sola di conservare lo stato, perché lo trovò fatto; nondimeno lo conservò con molti pericoli, come fu la novità de' Pazzi e la gita di Napoli; nelle mercatantie e cose private non ebbe intelligenzia, in modo che andandogli male, fu forzato valersi del publico e forse in qualche cosa del privato, con grandissima infamia e carico suo, ma abondorono in lui eloquenzia destrezza ingegno universale in delettarsi di tutte le cose virtuose e favorirle; in che Cosìmo al tutto mancò, el quale si dice, massime da giovane, essere stato nel parlare piú tosto inetto che altrimenti. La magnificenzia dell'uno e dell'altro fu grandissima, ma in spezie diverse: Cosimo in edificare palazzi, chiese nella patria e fuori della patria, e cose che avessino a essere perpetue ed a mostrare sempre presente fama di lui, Lorenzo cominciò al Poggio a Caiano una muraglia suntuosissima e non la finí prevenuto dalla morte; e con tutto fussi in sé cosa grande, nondimeno rispetto alle tante e tali muraglie di Cosimo, si può dire murassi nulla; ma fu grandissimo donatore e co' doni e liberalità sua si fece grandissime amicizie di principi e di uomini erano apresso a loro. Per le quali cose si può in effetto a mio giudicio conchiudere che, pesato insieme ogni cosa, Cosimo fussi piú valente uomo, e nondimeno per la virtú e per la fortuna l'uno e l'altro fu sí grandissimo, che forse dalla declinazione di Roma in qua non ha avuto Italia uno cittadino privato simile a loro. Intesasi in Firenze la morte di Lorenzo, perché morí a Careggi al luogo suo, vi concorse subito moltissimi cittadini a visitare Piero suo figliuolo, al quale, per essere el maggiore, si aparteneva per successione lo stato; e di poi si feciono in Firenze le esequie sanza pompa e suntuosità, ma con concorso di tutti e' cittadini della città, tutti con qualche segno di bruno, e con dimostrazione di essere morto uno publico padre e padrone della città; la quale sí come in vita sua, raccolto insieme ogni cosa, era state felice, cosí doppo la morte sua cadde in tante calamità ed infortuni, che multiplicorono infinitamente el desiderio di lui e la riputazione sua. X PRIMI TEMPI DELLA SUCCESSIONE DI PIERO DE' MEDICI. ELEZIONE DI PAPA ALESSANDRO VI BORGIA. PIERO SI ALIENA LO STATO DI MILANO. Morto Lorenzo, e' cittadini dello stato ristrettisi insieme si risolverono che lo stato continuassi in Piero, e lo abilitorono pe' consigli agli onori, gradi e prerogative aveva el suo padre Lorenzo, ed in effetto transferirono in lui tutta quella autorità e grandezza. El papa, Napoli, Milano e gli altri principi e potentati di Italia mostrorono dolersi assai della morte di Lorenzo e mandorono imbasciadori a Firenze a condolersi, ed inoltre a raccomandare e' figliuoli e confortare che per buono stato della città conservassino a Piero el grado del padre, faccendo in effetto tutti a gara di guadagnarsi Piero e farselo benivolo. Ed infra gli altri furono le dimostrazione del signore Lodovico grandissime, mandando per imbasciadore messer Antonio Maria da Sanseverino, figliuolo del signore Ruberto, uomo riputato assai e caro al signore Lodovico, ed accumulando tutti quegli segni di affezione e benivolenzia erano possibili. Furono questi princípi di Piero sí grandi, avendo sí gagliardamente in beneficio suo la unione della città ed el favore de' principi, che se a tanta fortuna e stato fussi pure mediocremente corrisposto la prudenzia, era in modo confitto in quella autorità, che era quasi impossibile ne cadessi; ma el suo poco cervello e la mala sorte della città feciono facilissimo quello che pareva non potessi essere. Nella quale cosa io mi ingegnerò di mostrare non solo gli effetti e le cagione in genere, ma ancora, quanto piú particularmente potrò le origine e le fonte di tutti e' mali. Transferita, anzi perpetuata in Piero questa grandezza del padre, e parendo che nel principio si consigliassi cogli amici del padre e dello stato, come si diceva avergli ricordato Lorenzo alla morte, accadde che Bernardo Rucellai che aveva avuto per donna una sorella di Lorenzo, e Paolantonio Soderini che era cugino carnale di Lorenzo e nato di una sorella della madre sua, ed e' quali erano stati a tempo di Lorenzo adoperati assai, pure con quegli riguardi che erano gli altri che sanza el caldo di Lorenzo parevano atti a avere per lo ordinario riputazione nella città ristrettisi insieme credo con desiderio di mantenere pure lo stato a Piero, ma che e' limitassi e moderassi alcuna di quelle cose che a tempo di Lorenzo erano state grave a' cittadini e le quali, insino vivo Lorenzo, Bernardo Rucellai aveva qualche volta biasimate, gli cominciorono a persuadere che e' volessi usare moderatamente la autorità sua e, quanto pativa la conservazione dello stato suo, accostarsi piú tosto a una vita civile, che continuare in quelle cose che davano ombra di tiranno, per le quale molti cittadini avevano voluto male a Lorenzo; mostrandogli che in effetto questo sarebbe un fortificare lo stato suo per la grazia e benivolenzia ne acquisterebbe colla città. Non era naturalmente el cervello di Piero inclinato a essere capace di questi ricordi, perché, come tutto dí mostrorono e' processi sua, la sua natura era tirannesca ed altiera, ma vi si aggiunse che, come fu intesa questa cosa, subito ser Piero da Bibbiena suo cancelliere ed alcuni cittadini, fra' quali si dice essere stato vivamente Francesco Valori, gli dissono che questo non era el bene suo, e che chi lo consigliava cosí, gli voleva fare perdere lo stato; in modo che non solo non seguitò el parere di Bernardo e Pagolantonio, ma insospettito tacitamente di loro, gli cominciò piú tosto a ributtare che no. Di che loro accorgendosi, non procederono saviamente come dovevano, anzi poco poi si contrasse, sanza participazione di Pero se non doppo el fatto, parentado fra loro e gli Strozzi, perché Bernardo dette una sua figliuola piccola per donna a Lorenzo figliuolo già di Filippo Strozzi, ancora fanciullo, e Paolantonio dette per moglie a Tommaso suo primo figliuolo una figliuola di Filippo Strozzi con dota grande. Non potette questo parentado dispiacere piú a Piero, parendogli che el congiugnersi dua uomini di tale autorità insieme con una casa che, benché non avessi stato, era di momento per essere nobile, ricca, di numero grande d'uomini e malcontenta del reggimento, fussi uno principio di volergli far testa contro e tòrgli el governo; interpretando massime essendo questo secondo segno loro, che quegli primi ricordi loro fussino stati a cattiva fine. Insospettito adunche di loro e sdegnato, ed incitatone da ser Piero ed altri che, per essere in piú riputazione con lui, gli augumentavano questi sospetti, roppe con loro e gli alienò in tutto da ogni cura dello stato, mostrando apertamente riputargli inimici sua; di che loro vedendosi ribattuti se ne governorono diversamente: Paolantonio, mostrando dolersi di quello che aveva fatto, con pazienzia e con favore di Niccolò Ridolfi suo cognato, e rificcandosi sotto, ingegnava di rapiccarsi; Bernardo, di natura piú tosto da rompersi che piegarsi accresceva ogni dí questa mala disposizione di Piero inverso di lui facendo segni manifesti che el presente governo gli dispiacessi. Questa disunione di costoro con Piero non solo lo fece insospettire di loro, ma quasi cominciando a credere che tutti gli uomini di qualità, o la maggiore parte, fussino dello animo medesimo, dette occasione a ser Piero, a messer Agnolo Niccolini ed alcuni altri maligni, di persuadergli non si confidassi degli amici del padre; in modo che, benché non si gli alienassi apertamente, anzi, eccetto Bernardo e Paolantonio, gli conservassi negli onori e degnità, pure non se ne fidando interamente, si governava piú per consiglio suo e di messer Agnolo e ser Piero che di loro; in forma che loro governavano quasi ogni cosa e si vendicorno autorità grandissima, come avevano da principio malignamente disegnato e di poi cerco, con grandissimo danno di Piero; perché chi considererà bene farà giudicio che el disporre Piero a non prestare fede a' cittadini savi ed amici dello stato, fussi el principio della ruina sua. Ne l'anno medesimo e del mese di..., morí papa Innocenzio ed in suo luogo fu eletto Roderigo Borgia valenziano, vicecancelliere, nipote di papa Calisto, el quale salí in questo grado con favore del signore Lodovico e di monsignore Ascanio, che in remunerazione fu creato vicecancelliere; ma principalmente per simonia, perché con danari, con ufici, con benefíci, con promesse e con tutte le forze e facultà sua si pattuí e comperò le voce de' cardinali e del collegio; cosa bruttissima e abominabile, e principio convenientissimo a' suoi futuri tristi processi e portamenti. Furono creati subito per la città a dargli la obedienzia, secondo el commune costume de' cristiani, oratori messer Gentile vescovo aretino, el quale di nazione di quello di Urbino, sendo suto maestro di Lorenzo e sendo uomo dotto e virtuoso, era stato per suo favore sublimato a quello grado; messer Puccio di Antonio Pucci dottore di legge; Tommaso Minerbetti, che vi andò per essere, come fu, fatto cavaliere dal papa; Francesco Valori, Pierfilippo Pandolfini e Piero de' Medici. E' quali ordinandosi per andare, fu introdotto dal signore Lodovico che, sendo collegati Napoli, Milano e Firenze, sarebbe bene per riputazione della lega che gli imbasciadori di tutti si convenissino in qualche luogo presso a Roma e di poi entrassino insieme ed esponessino communemente in nome di tutti a tre la imbasciata. Fu consentito a Firenze ed a Napoli; di poi messer Gentile, desideroso di fare la orazione, la quale sarebbe tocca allo oratore del re', persuase a Piero essere bene che ognuno entrassi ed esponessi separatamente. Scrissesi a Napoli al re che vi disponessi el signore Lodovico; el quale lo fece, manifestandogli però farlo per compiacere a' fiorentini; alterossene el signore Lodovico, non gli piacendo questa variazione e dubitando che Piero non fussi per intendersi molto seco. E sendosi seguito in questo secondo modo, si aggiunse una altra alterazione, perché sendo eletti per Milano oratori messer Ermes fratello del duca, ed alcun'altri de' primi, e sendosi magnificamente ordinati, furono tanto grandi e suntuosi gli apparati di Piero, che superorono di gran lunga quegli; di che si commosse assai el signore Lodovico, parendogli che Piero avessi voluto gareggiare seco e non solo si volessi agguagliare a sé e gli altri principi di Italia, ma eziandio avanzargli. Queste cose cosí minime, benché non lo alienassino da Piero nondimeno preparorono la via che le maggiore potessino piú facilmente indurre alterazione, delle quali avessi finalmente a seguitare la ruina commune. Aveva el signore Francesco Cibo, figliuolo di papa Innocenzio e cognato di Piero de' Medici, tenuto, vivente el padre, alcune terre in quello di Roma che si apartenevano alla Chiesa, e dubitando per la creazione del nuovo pontefice non le avere a perdere, le vendé per mezzo di Piero al signore Virginio Orsino parente di Piero, el quale era nato di madre Orsina ed aveva per donna una degli Orsini. E fu trattata questa cosa con ordine del re Ferrando, del quale Virginio era soldato, perché vedendo el re, el papa esser creato con favore di Milano, volle che queste terre fussino uno osso in gola al papa, col quale gli Orsini potessino strignerlo a suo proposito, ed al medesimo fine dava favore a Giuliano cardinale di San Piero in Vincula, el quale teneva Ostia e non la voleva rendere al papa. Èbbene el papa dispiacere assai, e non minore el signore Lodovico, parendogli fussi a suo beneficio, per la amicizia aveva col papa, mantenerlo grande ed in riputazione, e cosí avendo per male che el re pigliassi piú forze e piú autorità s'avessi, perché dubitava che quando potessi lo caccierebbe del governo di Milano, perché quello stato fussi nelle mani del duca. Ed oltre a' rispetti el papa e re, gli dispiacque che Piero si fussi gittato in collo al re; e persuadendosi che el re per mezzo degli Orsini ne avessi sempre a disporre, e lui a non se ne potere valere nulla, infiammatovi drento, deliberò non soportare questa ingiuria. Ed avendo piú volte fatto intendere a messer Antonio di Giennaro oratore del re, ed a messer Agnolo Niccolini e di poi a Piero Guicciardini, che successivamente furono imbasciadori a Milano per la città quanto gli dispiacessi l'essere el papa bistrattato, e che se Virginio non restituiva le terre, lui non era per avere pazienzia; e vedendo la cosa andare in lungo ed essere menato di parole, finalmente nel principio dell'anno 1493 conchiuse una lega col papa e co' viniziani, nella quale oltre agli oblighi generali delle mutue difese degli stati, e' viniziani e lui si obligorono a pagare uno certo numero di gente d'arme al papa, quale lui potessi recuperare le terre teneva Virginio. E poco poi parendogli che e' viniziani procedessino lenti a favorire el papa e muovere le arme, e vedendosi al tutto inimicato col re e co' fiorentini sdegnato, e volendosi a un tratto assicurare e vendicare, cominciò a tenere pratica con Carlo re di Francia, che e' passassi in Italia allo acquisto del reame di Napoli, quale pretendeva apartenersigli per essere erede degli Angioini, promettendogli aiuto di danari. E perché el re era giovane e volenteroso e naturalmente inclinato a questa impresa, trovò gli orecchi della corte piú facili a questa pratica che non si stimava; la quale riscaldandosi e divulgandosi per Italia, e come el re era disposto al tutto passare, e publicamente lui e la corte lo diceva, vi fu mandati imbasciadori per la città, non con animo di fare conclusione messer Gentile vescovo di Arezzo e Piero Soderini, al quale Piero aveva cominciato a dare riputazione per fare dispetto a Paolantonio suo fratello maggiore. Questi furono e' princípi e le origine della ruina di Italia, e particularmente di Piero de' Medici; el quale, oltre a trovarsi qualche disunione nella città, si alienò totalmente nello stato di Milano dal quale, poiché era stato in mano degli Sforzeschi, sempre la città e particularmente la casa sua, aveva tratto riputazione e sicurtà grandissima. Publicandosi e certificandosi piú ogni dí che el re voleva passare in Italia, el re Ferrando fece accordare Virginio col papa non però restituendogli le terre, ma ricomperandole e pigliandole in feudo dalla Chiesa con certa somma di danari. Ma sendo già gonfiati gli animi tra Napoli e Milano, e pieni di diffidenzia ed odio grandissimo el signore Lodovico seguitava la pratica co' Franzesi, e' quali non dicevano piú volere passare, ma si mettevano in ordine di farlo di prossimo E ricercando loro la città di fare composizione e dichiararsi con loro, per mettere tempo in mezzo e dare parole, licenziati e' primi imbasciadori, vi furono mandati nuovi oratori messer Guidantonio Vespucci e Piero Capponi. Nella fine dell'anno morí el re Ferrando, e venne lo stato in Alfonso duca di Calavria suo primogenito el quale scrisse una lettera di mano propria al signore Lodovico, sí amorevole e sí piena di buone parole e promesse di volere essere suo, che lo commosse grandemente e lo inanimò a volere pensare di pacificare le cose di Italia e divertire questo umore de' Franzesi. Ma sendo poi per non so che piccolo accidente, di nuovo rialterati gli animi, riscaldando tutto dí le cose di Francia, el papa dubitando forse che troppa piena non venissi in Italia si accordò col re Alfonso e co' fiorentini per le quali cose piú riscaldato el signore Lodovico, ed al tutto inimico del re e di Pierode' Medici, e persuadendosi, se loro non ruinavano, non potere essere salvo, non restava a fare nulla per condursi al disegno suo. XI CONDOTTA POLITICA DI PIERO DE' MEDICI. DISCESA DI CARLO VIII. FUGA DI PIERO DA FIRENZE (1494). 1494. Erano in Firenze Lorenzo e Giovanni figliuoli di Pierfrancesco de' Medici, giovani ricchissimi e di gran benivolenzia col popolo per non avere maneggiato cose che dispiacessino; e' quali non sendo bene contenti di Piero, massime Giovanni che era di natura inquietissimo e sollevava Lorenzo uomo bonario, cominciorono a tenere qualche pratica col signore Lodovico per mezzo di Cosimo figliuolo di Bernardo Rucellai, el quale, inimico di Piero, si era partito di Firenze. E sendo in su' princípi, e non avendo ancora trattato cosa di importanza, venuta la cosa a luce, di aprile nel 94 furono tutt'a due sostenuti; e poi che ebbono aperto quello che avevano, benché Piero fussi malissimo disposto con loro, nondimeno non concorrendo a insanguinarsi e' cittadini dello stato furono liberati e confinati fuori di Firenze alle loro possessioni a Castello, e Cosimo Rucellai assente ebbe bando di rubello. Ed in quegli medesimi dí entrorono in Firenze quattro imbasciadori franzesi, e' quali andavano a Roma, ed esposono per transito la deliberazione del re e gli apparati faceva per passare in Italia, richiedendo la città lo favorissi o almeno gli concedessi per le sue gente passo e vettovaglia. Fu per voluntà di Piero, che per intercessione degli Orsini si era tutto dato al re di Napoli, contro al parere di tutti e' savi cittadini, negato l'uno e l'altro, pretendendo non poterlo fare per la lega vegghiava ancora col re Alfonso, e ribollendo ogni dí le cose, furono mandati dalla città imbasciadori a Vinegia Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, per intendere la intenzione loro circa a questi movimenti e persuadere loro non volessino lasciare andare innanzi la ruina di Italia. E cosí ogni dí piú la città si scopriva per Napoli contro a Francia, con dispiacere universale del popolo, inimico naturalmente della casa di Ragona ed amico di Francia, contro alla voglia ancora de' cittadini dello stato, e' quali vedendo Piero tanto ostinato a questa via non si ardivano contradirgli; e massime che messer Agnolo Niccolini e quegli piú suoi intrinsechi, parlavano sempre nella pratica sanza rispetto per questa parte. Aveva Piero fatto una pratica stretta di cittadini, co' quali si consultavano queste cose dello stato: messer Piero Alamanni, messer Tommaso Minerbetti, messer Agnolo Niccolini, messer Antonio Malegonnelle, messer Puccio Pucci, Bernardo del Nero, Giovanni Serristori, Pierfilippo Pandolfini, Francesco Valori, Niccolò Ridolfi, Piero Guicciardini, Piero de' Medici ed Antonio di Bernardo; a' quali tutti, da pochi in fuora, dispiaceva questa risoluzione, nondimeno sendo favorita da' piú intrinsechi, non si opponevano, eccetto qualche volta e non molto Francesco Valori e Piero Guicciardini. Ma perché Piero in spirito intendeva quanto la sodisfacessi, non conferiva loro tutte le lettere e gli avisi, ma solo quelle cose che diminuivano ed erano in disfavore del re di Francia, el quale tutto dí si metteva in ordine, ed a Genova per conto suo si armavano legni e se ne faceva scala della guerra. Per la qual cosa el re Alfonso, considerando di quanto momento sarebbe el levargli la oportunità di Genova, avendo spalle da alcuni fuorusciti genovesi, fece impresa mutare lo stato di Genova e mandò a Pisa don Federigo suo fratello con una grossa armata; el quale di poi andato a porto Spezie e messo gente in terra, furono quegli che scesono ributtati e rotti; di che don Federigo, non riuscendo la impresa, si ritornò a Pisa. E parendo al re ed a Piero che el tenere bene guardata Serezzana, rispetto allo essere el passo fortissimo, impedissi al re Carlo potere passare da quelle parte, per tòrgli ancora el passo di Romagna, mandorono Ferrando duca di Calavria, primogenito del re, in Romagna con uno esercito grosso, acciò che colle spalle di Cesena, terra della Chiesa, e di Faenza, che era nella nostra raccomandigia, si opponessi a' franzesi. Nel qual tempo el re Carlo, desideroso passare pe' terreni nostri pacificamente, mandò di nuovo uno oratore a Firenze a richiedere del passo, promettendo largamente amicizia e tutti e' favori e commodità potessi fare alla città; la quale cosa sendo pure rifiutata, cacciò del regno suo tutti e' mercatanti nostri. Né per questo si raffreddava la ostinazione di Piero; anzi parte mosso dalla amicizia teneva col re Alfonso e cogli Orsini, parte insospettito dal signore Lodovico, con favore di chi el re Carlo passava, e perché Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco erano partitisi da' confini e rifuggitisi a lui, ogni dí perseverava nella ruina sua, ed attendendo a fortificarsi e fare capo grosso a Pisa per rispetto di Serezzana e di quella banda, vi furono mandati commessari generali per conto di tutta la guerra, Pierfilippo Pandolfini e Piero Guicciardini. Era una parte dello esercito del re Carlo poco innanzi passate l'Alpe, e da poi lui personalmente col resto dello esercito venutone in Italia; nel quale era grandissimo numero di uomini d'arme, fanterie ed artiglierie, ma quanto non so el particulare. Ed era entrata in Italia una fiamma ed una peste che non solo mutò gli stati, ma e' modi ancora del governargli ed e' modi delle guerre, perché dove prima, sendo divisa Italia principalmente in cinque stati, papa, Napoli, Vinegia, Milano e Firenze, erano gli studi di ciascuno per conservazione delle cose proprie, vòlti a riguardare che nessuno occupasse di quello d'altri ed accrescessi tanto che tutti avessino a tèmerne, e per questo tenendo conto di ogni piccolo movimento che si faceva e faccendo romore eziandio della alterazione di ogni minimo castelluzzo, e quando pure si veniva a guerra erano tanto bilanciati gli aiuti e lenti e' modi della milizia e tarde le artiglierie, che nella espugnazione di uno castello si consumava quasi tutta una state, tanto che le guerre erano lunghissime ed e' fatti d'arme si terminavano con piccolissima e quasi nessuna uccisione Ora per questa passata de, franciosi, come per una subita tempesta rivoltatasi sottosopra ogni cosa, si roppe e squarciò la unione dl Italia ed el pensiero e cura che ciascuno aveva alle cose communi in modo che vedendo assaltare e tumultuare le città, e' ducati ed e' regni, ciascuno stando sospeso cominciò attendere le sue cose proprie né si muovere per dubitare che uno incendio vicino, una ruina di uno luogo prossimo avessi a ardere e ruinare lo stato suo. Nacquono le guerre subite e violentissime, spacciando ed acquistando in meno tempo uno regno che prima non si faceva una villa; le espugnazione delle città velocissime e condotte a fine non in mesi ma in dí ed ore, e' fatti d'arme fierissimi e sanguinosissimi. Ed in effetto gli stati si cominciorono a conservare, a rovinare, a dare ed a tôrre non co' disegni e nello scrittoio come pel passato, ma alla campagna e colle arme in mano. Sceso el re in Italia e venendone a Milano, el signore Lodovico, benché fussi passato per introdotto suo e fussi in amicizia seco, nondimeno considerando la infidelità de' principi e massime de' franzesi, e' quali per gli utili e commodi loro tengono poco conto della fede e dell'onore, cominciò a dubitare che el re sotto ombra di volere che lo stato fussi liberamente in mano del duca Giovan Galeazzo suo nipote, non lo levassi di quello governo a qualche suo proposito; per tòrgli ogni occasione di nuocere, gli dette el veleno. Del quale sendo morto lo innocentissimo giovane, fatti subito ragunare e' cittadini di Milano, sendovi alcuni che per suo ordine lo proposono, fu eletto duca, benché del signore morto rimanessi uno piccolo e bellissimo fanciullo. Entrato di poi el re Carlo in Milano e quivi ricevuto onoratissimamente, se ne venne per la via di Pontriemoli con una parte dello esercito alla volta di Lunigiana, avendone mandate una altra in Romagna a rincontro del duca di Calavria; e perché el castello di Serezzana era fortissimo e bene fornito di artiglierie e di tutte le cose necessarie da difesa, per non vi perdere tempo voltosi verso Fivizzano lo prese e saccheggiò con uno grandissimo terrore di tutta quella provincia. A Firenze erano le cose condizionate e disposte male, e lo stato di Piero molto indebolito; ed el popolo vedendosi tirata adosso una guerra potentissima e da non potere reggere, sanza bisogno e necessità alcuna, anzi per favorire e' ragonesi che erano universalmente in odio, contro a' franzesi amati assaí nella città, sparlava publicamente di Piero, massime sapendo essere state deliberazione sua contro la volontà de' primi cittadini dello stato. Aggiugnevasi in genere tutte quelle cagione che fanno e' popoli inimici de' grandi, el desiderio naturale di mutare le cose, la invidia ed el carico di chi aveva maneggiato, inoltre tutti coloro che erano inimici e tenuti sotto dallo stato, risentitisi e venuti in speranza che la città tornassi alla libertà antica, e loro avessino a essere nel grado giudicavano meritare, facevano piú pericolosa questa male disposizione. Concorrevaci che e' governi di Piero in sé, e la natura sua era di qualità, che non solo era in odio agli inimici, ma ancora dispiaceva agli amici, e quasi non la potevano sopportare; lui uomo altiero e bestiale e di natura da volere piú tosto essere temuto che amato, fiero e crudele, che a' suoi dí aveva di notte dato delle ferite e trovatosi alla morte di qualche uomo; sanza quella gravità che si richiedeva a chi fussi in tale governo, conciosiaché in tanti pericoli della città e suoi propri stava tutto dí nelle vie publicamente a giocare alla palla grossa; di natura caparbio, e che non si intendendo delle cose, o voleva governarle secondo el cervello suo, credendo solo a se medesimo, o se prestava fede e si consigliava intrinsecamente con persona, non erano quegli cittadini che avevano esperienzia delle cose della città, e governatola lungo tempo, ed erano tenuti savi, ed avevano interesse nel bene e nel male publico, e naturalmente erano amici di lui, del padre e della casa sua, ma con ser Piero da Bibbiena, con messer Agnolo Niccolini e simili uomini ambiziosi e cattivi, e che lo consigliavano in tutte le cose secondo che ciecamente erano traportati dalla ambizione e le altre cupidità, e per compiacerlo ed essergli piú cari, lo indirizzavano el piú delle volte per quella via per la quale lo vedevano inclinato e vòlto. E però, trovandosi Piero in gran pericolo per el disordine di fuori e la male disposizione di drento, si risolvé essergli necessario accordarsi con Francia, giudicando quello che era vero che posata bene questa parte, ognuno nella città per timore o altro si rassetterebbe, e seguitando adunche, benché in diversi termini e poco a proposito, l'esemplo del padre Lorenzo quando andò a Napoli, una sera furiosamente accompagnato da Iacopo Gianfigliazzi, Giannozzo Pucci ed altri amici suoi, se ne andò a Serezzana a trovare el re, dove era venuto da Milano el duca Lodovico. Quivi doppo molte pratiche e ragionamenti si conchiuse di dare in mano del re per sua sicurtà le fortezze di Pisa, di Serezzana, di Pietrasanta e di Livorno; e di subito gli furono sanza altra licenzia della città e sanza e' contrasegni, consegnate quelle di Serezzana e Pietrasanta da Piero di Lionardo Tornabuoni e Piero di Giuliano Salviati. A Firenze in sulla partita di Piero avendo ognuno preso animo e licentia, non solo si continuava ed accrescevasi nello sparlare publicamente, ma ancora si cominciorono in palagio a risentire e' cittadini fra' quali messer Luca Corsini (che era de' signori e stato fatto da Piero, come confidato e sfegatato dello stato, per rispetto di Piero Corsini suo fratello) ed Iacopo di Tanai de' Nerli e Gualterotto Gualterotti che erano gonfalonieri di compagnia, messi su, come si crede, da Piero Capponi che era inimicissimo del governo, cominciorono nelle pratiche a dire male di Piero, e che la città sotto la cura sua rovinava, e che sarebbe bene levarla di mano sua e della tirannide e restituirla a uno vivere libero e popolare. E di poi sentendosi le convenzione di dare quelle terre in mano del re, e di già essere data Serezzana, si cominciò a gridare per la città che le si dessino in nome del publico e non del tiranno, e però si elesse imbasciadori, che subito cavalcorono al re, fra Ieronimo Savonarola da Ferrara, che predicava in Firenze e di chi di sotto si dirà, Tanai de' Nerli, Pandolfo Rucellai, Pier Capponi e Giovanni Cavalcanti. Era gonfaloniere di giustizia Francesco dello Scarfa, ed e' signori, uomini tutti stati scelti per amici grandi ed affezionati del reggimento; e nondimeno messer Luca si era apertamente scoperto inimico, e con lui concorreva Chimenti Cerpellone, ed el gonfaloniere pareva uomo da lasciare correre. Da altra parte Antonio Lorini, Francesco d'Antonio di Taddeo e Francesco Niccolini favorivano vivamente la causa di Piero; in modo che, sendo una sera venuti a parole, messer Luca corse furiosamente a sonare la campana grossa a martello, e sendo ritenuto da chi gli corse drieto, non poté sonare piú che due o tre tocchi, e' quali sendo uditi per la terra, che era circa a tre ore di notte, el popolo tutto corse in piazza, e di poi non sentendo piú sonare né suscitare in palagio o fuori movimento alcuno, ognuno non bene sapendo quello fussi stato, si ritornò a casa. E cosí stando la città sospesa ed alterata, Piero avendo aviso dagli amici sua come le cose in Firenze transcorrevano troppo, e che ognuno per la assenzia sua aveva preso animo e baldanza, presa licenzia dal re, se ne tornò a Firenze a dí 8 di novembre. Tornata molto dissimile da quella di Lorenzo suo padre quando tornò da Napoli, che gli andò incontro tutto il popolo della città e fu ricevuto con somma letizia, recandone seco la pace e la conservazione dello stato della città, a Piero non andò incontro se non pochi amici sua, e fui ricevuto con poca allegrezza, tornando massime sanza conclusione ferma, se non di avere diminuito e smembrato Pisa e Livorno, occhi principali dello stato nostro, e Pietrasanta e Serezzana acquistate da suo padre con grandissima spesa e gloria. Tomato, andò subito a visitare la signoria, e riferito generalmente quello aveva fatto, gli inimici sua e quegli si erano scopertigli contro, entrati in grandissimo timore, si risolverono che bisognava giucare del disperato. In modo che el giorno sequente, a dí di novembre 1494, che era el dí di san Salvadore, sendosi inteso che el signore Paolo Orsino, nostro soldato, con cinquecento cavalli era venuto alle porte per essere a' favori di Piero, ed essendo la maggiore parte della signoria volta contro a Piero, Iacopo de' Nerli con alcuni altri collegi che lo seguitavano, armato era ito in palagio, e fattolo serrare, si stava a guardia della porta, quando Piero per riscaldare gli amici aveva in palagio, e credendo nessuno avessi animo di vietargli lo entrare, cogli staffieri sua e gran numero di armati, armato ancora egli, benché sotto el mantello, ne venne al palagio; e quivi sendogli risposto che se voleva entrare entrassi lui solo e per lo sportello, sbigottito vedendosi perduto lo stato, si ritornò a casa. Dove come fu giunto, intendendo che e' signori inimici sua chiamavano el popolo, e come el popolo si cominciava a levare gridando: «viva popolo e libertà», e di poi sendogli per uno corriere de' signori notificato come e' signori l'avevano fatto rubello al quale partito concorsono gli amici sua per paura e quasi sforzati per conforto di chi gli era apresso, montato a cavallo prese la via di Bologna. Uditosi Piero essere stato ributtato dal palagio, si mosse solo in suo favore el cardinale e Pierantonio Carnesecchi e' quali con armati ne vennero verso piazza; ma di poi intendendo che el popolo multiplicava contro a Piero e che lui era stato fatto rubello e si partiva, ognuno si ritirò a casa, ed el cardinale in abito di frate si uscí sconosciuto di Firenze; cosí si fuggí Giuliano loro fratello ser Piero da Bibbiena e Bernardo suo fratello, e' quali erano in odio grandissimo del popolo. Giunse in questo tumulto in Firenze Francesco Valori, el quale tornava dal re, dove di nuovo era stato mandato con piú altri cittadini imbasciadore, e perché gli era in somma benivolenzia del popolo sendo sempre stato uomo netto ed amatore del bene, ed avendo fama di essersi opposto a Piero, fu ricevuto con grandissimo gaudio di tutto el popolo, e portatone in palagio quasi di peso in sulle spalle de' cittadini. Corse di poi el popolo furiosamente a casa Piero e la mandò a sacco e di poi voltosi a casa Antonio di Bernardo e ser Giovanni da Pratovecchio notaio delle riformagioni, le saccheggiò ed arse; e loro, benché si fussino nascosti per le chiese e pe' conventi, pure ritrovati alla fine ne furono menati presi al bargello. Corsono di poi a casa messer Agnolo Niccolini, e già avendo messo fuoco alla porta, l'arebbono arsa, se non che messer Francesco Gualterotti ed alcuni uomini da bene dubitando che questa licenzia non troscorressi troppo, còrsivi raffrenorono la moltitudine e la ridussono in piazza che con grandissime voce gridava: «viva el popolo e la libertà»; e quivi per commessione della signoria messer Francesco Gualterotti, salito in sulla ringhiera, notificò essere state levate via le monete bianche. Veduto spacciato lo stato di Piero vennono in piazza a cavallo con compagnia di armati, Bernardo del Nero e Niccolò Ridolfi, gridando: «popolo e libertà»; ma ributtati e cacciati come sospetti e con pericolo di essere morti se ne ritornorono a casa, e la sera per piú loro sicurtà accompagnati bene per commessione della signoria ne vennono in palagio, e cosí Pierfilippo Pandolfini, el quale la sera era tornato da Pisa partitosi sanza licenzia, o perché dubitassi delle cose di Pisa, o perché, avendo inteso a Firenze sparlarsi assai di lui, volessi provedere el meglio poteva a' fatti suoi. Messer Agnolo Niccolini, uno ancora egli degli imbasciadori al re parendogli Piero fussi spacciato, e dubitando di Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, de' quali era stato inimicissimo e concitatore di Piero contro a loro, partitosi da Pisa e presa la volta per la montagna di Pistoia, ne andò in Lombardia. E cosí cacciato Piero e quietato un poco el tumulto, benché el dí e la notte el popolo stessi armato a guardia della città, si deliberò dalla signoria, che si sospendessi l'uficio degli otto della pratica e de' settanta, e non si potessino ragunare insino a tanto si deliberassi altro. El medesimo dí di san Salvadore, a dí 9 di novembre, el re Carlo avendo ricevute le fortezze di Livorno, Pietrasanta e Serezzana, entrò in Pisa e gli furono consegnate le cittadelle; le quali, secondo le convenzione, avessino a stare in mano del re per sua sicurtà, e nondimeno e' corpi di Pisa e delle altre terre s'avessino come prima a tenere e governare da' fiorentini. Ma la sera medesima ristrettisi insieme e' pisani, andorono a chiedere al re rendessi loro la libertà; la quale sendo conceduta gridando «libertà» andorono per fare villania agli uficiali fiorentini, e' quali, udito el tumulto, si erano raccolti insieme e fuggiti nel banco de' Capponi Tanai de' Nerli, Piero Capponi, Piero Corsini e Piero Guicciardini ed alcuni altri; e quivi avendo avuta una guardia del re, si salvorono dalla malignità e perfidia de' pisani. E vedendo la città al tutto ribellata e, partendosi el re, non vi potere stare sicuri, el dí seguente con lui si partirono e lasciatolo per la via, ne vennono a Firenze. Cosí el medesimo giorno di san Salvadore ebbe dua grandissimi accidenti: la mutazione dello stato nostro e la ribellione di Pisa, le piú principali cose si potessino alterare nello essere nostro. Fu certo cosa mirabile che lo stato de' Medici che con tanta autorità aveva governato sessanta anni e che si reputava appoggiato dal favore di quasi tutti e' primi cittadini, sí subitamente si alterassi per le mani di messer Luca Corsini ed Iacopo de' Nerli, uomini giovani, sanza credito, sanza autorità, sanza consiglio e leggierissimi. La quale cosa non nacque peraltro se non che e' modi ed e' portamenti di Piero e la insolenzia di chi gli era apresso, avevano tanto male disposto gli animi di tutti; e sopra tutto l'aversi recato adosso pazzamente una guerra potentissima e che non si poteva sostenere, e l'avere messo a scotto ed in preda sanza bisogno di cagione alcuna tutto lo stato nostro, che chi si gli scoperse da prima contro trovò la materia disposta in forma che, come gli fu dato principio di muoverla, fece da se medesima. Questo fine ebbe e cosí perdé lo stato la casa de' Medici, casa nobilissima richissima e riputatissima per tutta Italia, e per l'adrieto assai amata nella città, e' capi della quale, massime Cosimo e Lorenzo, avevano con grandissime difficoltà, con grandissime virtú, con tempo ed occasione, fatto conservato ed augumentato lo stato, accrescendo non solo lo stato loro privato, ma eziandio lo imperio publico della città, come fu el Borgo a San Sepolcro, Pietrasanta e Serezzana, Fivizzano e quella parte di Lunigiana, el Casentino, lo stato di Pietramala e Val di Bagno, tutte cose pervenute nella città sotto el governo di quella casa. La quale a ultimo rovinò in brevissimo tempo sotto el governo di un giovane temerario, el quale si trovò in tanti fondamenti di potenzia ed autorità, e sí bene favorito ed appoggiato, che se non si fussi sforzato ed avessi fatto a gara di perdergli, era impossibile non si conservassi; dove la sua pazzia non solo rovinò sé, ma eziandio la città, spogliandola in otto giorni di Pisa, Livorno, Serezzana e Pietrasanta luoghi donde come poi hanno meglio mostro gli effetti, si traeva la potenzia, la sicurtà, la autorità e gli ornamenti nostri. In modo che si può dire che uno di solo cancellassi, anzi lungamente contrapesassi ed avanzassi a tutti e' benefíci che la città nostra aveva mai in tempo alcuno ricevuti da quella casa; perché la perdita massime di Pisa fu sí grande e di sí inestimabile danno alla città, che molti hanno dubitato quale fussi maggiore nel dí di san Salvadore, o l'acquisto della recuperata libertà o la perdita di Pisa; in che, pretermettendo molti discorsi si potrebbono fare, voglio conchiudere aversi tanto piú da stimare l'una cosa che l'altra, quanto egli è piú naturale agli uomini cercare prima avere libertà in se proprio, che imperio in altri; massime che, parlando veramente, non si può dire avere imperio in altri chi non ha libertà in sé. Cacciato Piero, furono per partito della signoria rimessi tutti e' cittadini stati confinati e cacciati per conto di stato dal insino a dí 34 di novembre 1494; le quale cose benché rallegrassino ognuno, erano nondimeno sí pericolosi gli accidenti che andavano atorno, che gli animi non potevono gustare questi piaceri. E certo io credo che già un grandissimo tempo la città non fussi stata in maggiori travagli: drento, cacciata una casa potentissima e che sessant'anni aveva avuto el governo, e rimesso tutti gli inimici di quella; per la quale mutazione rimanevano alterati tutti e' modi del governo, stavano in sommo timore tutti quegli che avevano avuto autorità a tempo di Lorenzo o di Piero, tutti quegli e' quali, o e' maggiori loro, avevano in tempo alcuno offesi gli usciti o e' sua antecessori, tutti quegli che o per compere o per vie di pagamento o di rapine possedevano de' beni di chi era stato rubello; di fuori, smembrato tanto stato e quasi la piú parte del nostro dominio, donde si vedeva la città avere a restare indebolita con meno entrate e forze e con una guerra difficilissima e pericolosissima non solo co' pisani, ma con molti ci impedirebbono la recuperazione. Aggiugnevasi in su e' nostri terreni un re di Francia con tanto esercito, inimico ed ingiuriato da noi, pieno di cupidità e crudeltà, el quale dava timore non solo di guastarci el paese nostro, di fare; ribellare el resto delle terre suddite, ma etiam di saccheggiare la città, di rimettere Piero de' Medici e forse insignorirsi di Firenze el quale se si partissi, el meno male si potessi temere era avergli a dare una somma grandissima di danari ed a votare la città delle sustanzie e sangue suo. XII INGRESSO DI CARLO VIII A FIRENZE. GEROLAMO SAVONAROLA. RIFORME DELLA COSTITUZIONE FIORENTINA (1494-1495). El re Carlo partito da Pisa come di sopra è detto, e presa la volta di Firenze con animo pessimo, e, come fu opinione, con disegno di saccheggiare la città, avendo inteso la mutazione dello stato e come tutto el popolo in sulla cacciata di Piero aveva prese le arme ed ancora non le posava e presentendo essere uno popolo grandissimo, non solo cominciò a credere di non potere sforzare e saccheggiare la città, ma ancora a dubitare che entrando in Firenze, el popolo che era in sull'arme non gli facessi viilania; e per questo, fermo per la via, mandò a fare intendere che el desiderio suo era entrare pacificamente nella città, ma che avendo nello esercito suo gente assai e di varie lingue e nazione, ed avendo inteso el popolo nostro essere in sulle arme, dubitava non nascessi qualche disordine, e però soprasederebbe tanto el popolo si disarmassi, per potere amichevolmente e sanza tumulto venire in Firenze. La quale cosa sendogli detto si farebbe, se ne venne a Signa, e quivi alloggiato in casa Batista Pandolfini, stette molti dí aspettando la terra si posassi bene, e cosí ordinando drappi e veste per cavalli ed uomini sua, per fare una ricca e magnifica entrata nella città; e nondimeno avendo quasi levato el disegno del sacheggiare la città, e vòlto l'animo a trarne piú somma di danari potessi, mandò per Piero de' Medici, stimando che lui per rientrare nella città avessi a fargli partiti grandissimi, o almeno essere un bastone da fare alzare e' cittadini per schifarlo. Era Piero, quando uscí di Firenze, fuggito a Bologna, e di quivi andato a Vinegia, dove avendo avuto questa richiesta del re, desideroso da un canto di andare, da altro dubitando che el re per danari non lo rivendessi a' fiorentini, ne prese consiglio con viniziani, e' quali gli augumentorono questo sospetto e lo persuasono non andassi, mossi non per credere che cosí fussi lo utile di Piero, ma perché dubitorno che questo non avessi a essere instrumento al re Carlo di disporre di Firenze a suo modo e di farsene signore; la qual cosa, nonostante lo odio ci portano, sarebbe loro dispiaciuta, perché el re non pigliassi tante forze in Italia, che loro e gli altri avessino a stare seco. Sendo soprastato el re a Signa molti dí, dove continuamente e per tutta la via prima aveva la città mandato molti imbasciadori a onorarlo, entrò in Firenze in domenica a dí... di [nov]embre. La quale entrata fu sí magnifica ed onorevole e bella cosa, come alcuna altra sia stata in Firenze è già gran tempo. Non mancorono dal canto della città tutti quegli onori si potevano fare a un tanto principe: andorono a incontrarlo a cavallo moltissimi giovani vestiti riccamente con livree; andòvi tutti gli uomini di qualità: la signoria, secondo la consuetudine, a piè insino alla porta a San Friano; in Santa Liperata, dove prima aveva a smontare, tutti gli apparati si potevano farvi, ma la magnificenzia e suntuosità grande fu dal canto del re. Entrò in Firenze con tutto lo esercito armato: prima le fanterie a fila coll'arme in asta, balestre e scoppietti de' quali gran parte e quasi tutti erano svizzeri, di poi e' cavalli e gli uomini di arme tutti armati, cosa bellissima a vedere pel numero, per la presenzia degli uomini e per la bellezza delle arme e de' cavalli, con ricchissime sopraveste di drappi e di broccati d'oro; in ultimo el re tutto armato sotto el baldachino, come vincitore e triunfatore della città, cosa in sé bellissima ma poco gustata, per essere gli uomini pieni di spavento e di terrore. Usò un segno di umanità, ché volendo la signoria, secondo si costuma quando entra nella città papa, imperadori o re, pigliargli la briglia del cavallo, non volle in modo alcuno acconsentire. Venne con questa pompa dalla porta a San Friano nel Fondaccio e Borgo San Iacopo, e quivi passato el ponte Vecchio, per porta Santa Maria ne andò in piazza, e di poi a Santa Liperata ed a casa Piero de' Medici, dove gli era parato lo alloggiamento. Cosí tutti e' soldati sua a cavallo ed a piè furono alloggiati per la città e compartiti per le casa de' cittadini, cosa insolita a loro che gli solevano mandare e distribuire a casa altri, non tenergli nelle loro. Stette el re in Firenze... giorni, e ristrignendosi la pratica dello accordo, dimandava el dominio della città, dicendo fra l'altre ragione apartenersegli secondo gli ordini di Francia, per essere entrato armato nella città; dimandava la ritornata di Piero. Nelle quali cose sendo ostinatissimi e' cittadini, mandorono in sulle poste a Milano Bernardo Rucellai, perché el duca intendessi queste cose pensando, come era vero, gli avessi a dispiacere che el re pigliassi piede in Firenze; e però el duca commisse a el conte di Gaiazzo ed a messer Galeazzo da Sanseverino, che erano per conto suo drieto al re, che si ingegnassino levarlo da queste dimande, e favorissino con ogni sforzo la causa della città. Stettono le cose piú dí in questi dibattiti, e la città si trovava in gran timore per non essere e' cittadini assueti alle arme e vedersi in corpo uno esercito potentissimo; da altra parte e' franzesi vedendo el popolo essere grande, ed intendendo come nella cacciata di Piero tutto el popolo al suono della campana grossa aveva preso le arme, e che el contado farebbe quel medesimo, temevano assai faccendo guardie ed usando diligenzia grande non si usassi campane, in modo la paura era divisa; e benché due o tre volte si levassi romori per la terra, ed e' franzesi corressino alle arme, nondimeno, perché erano nati per paura, non si procedé mai piú oltre. Erano Francesco Valori, Piero Capponi, Braccio Martelli e parecchi altri cittadini deputati a praticare col re e sendo in sul formare le composizioni, portorono al re una bozza de' capitoli, ne' quali la città sarebbe convenuta; e non gli piacendo, lui dette loro un'altra bozza, secondo la quale voleva farsi lo accordo; dove sendo cose molto disoneste, Piero Capponi presala, animosissimamente la stracciò in presenzia del re, soggiugnendo che poi che e' non voleva accordarsi, le cose si terminerebbono altrimenti, e che lui sonerebbe le trombe, e noi le campane; parole certo d'uomo grande ed animoso, sendo in casa d'un re di Francia barbaro ed altiero, e dove era pericolo che e' fatti bestiali non seguitassino le parole stizzose. Di che el re e gli uomini sua impauriti, vedendo tanto animo e dubitando già innanzi del numero del popolo e della campana grossa, al suono della quale avevono inteso fra la città ed e' luoghi vicini armarsi piú che trentamila uomini si commossono forte, in modo che è opinione, per quelle minaccie lasciate le dimande disoneste, venissi alle condizioni dell'accordo piú ragionevoli. Finalmente doppo molti dibattiti, si fece conclusione con lui a dí... di dicembre 1494; la quale si stipulò in Santa Liperata, presente el re e la signoria e tutto el popolo, giurando lui personalmente in sulla pietra sacrata dello altare maggiore la osservanzia di detti capitoli. Contrassesi amicizia pace, confederazione e lega fra 'l re di Francia e noi, secondo la forma generale delle altre leghe, amici per amici ed inimici per inimici con condizione che la città pagassi per e' danni ed interessi al re Carlo ducati centoventimila d'oro, de' quali avessi a avere di presente cinquantamila innanzi partissi della città, gli altri settantamila in due paghe, in termini diversi benché corti; el re avessi a tenere per sua sicurtà, durante la guerra e la impresa del reame di Napoli, le fortezze di Pisa, di Livorno, di Pietrasanta e di Serezzana, lasciando nondimeno el dominio ed el governo de' corpi delle terre, come era innanzi alla passata sua, a' fiorentini; finita la impresa di Napoli, fussi obligato restituirle liberamente e sanza eccezione alcuna. Fatto l'accordo e numerati ducati cinquantamila, el re fra due dí partí di Firenze ed andonne alla volta di Roma per seguitare la impresa sua; e come fu partito, sendo la città disordinata, si volsono gli animi a riformare lo stato, e sendosi fatta una bozza da' primi del governo, de' quali massime erano capi Tanai de' Nerli, Piero Capponi, Francesco Valori, Lorenzo di Pierfrancesco, Bernardo Rucellai, fattasene conclusione, si sonò a parlamento, nel quale furono con concorso grande approvati e' modi ordinati, che furono in effetto: che e' si cassassino gli otto della pratica ed e' settanta; facessisi uno squittino della signoria, di tutti e' magistrati ed offici drento e di fuori, el quale finito, ogni cosa si traessi a sorte. e per fare tale effetto e' presenti signori e collegi avessino subito a eleggere venti accopiatori, che avessino a fare detto squittino in termine di uno anno, e tanto durassi lo uficio loro, ed in detto tempo loro avessino a eleggere la signoria a mano; dovessino detti accopiatori essere di età di anni quaranta, da uno in fuora, el quale potessi essere eletto eziandio di minore età, che fu fatto perché Lorenzo di Pierfrancesco ne potessi essere, e cosí si levassi el divieto a Francesco dello Scarfa gonfaloniere di giustizia, di potere essere accopiatore; non si pagassino piú le gabelle di monete bianche; creassinsi e' dieci di balía per potere attendere alla guerra di Pisa, con la consueta autorità secondo gli ordini della città, l'uficio de' quali durassi mesi sei. Fatto el parlamento sanza tumulto, furono l'altro dí eletti e' venti uomini che furono questi: messer Domenico Bonsi, Ridolfo di Pagnozzo Ridolfi, Tanai de' Nerli, Piero Capponi ed Antonio di Sasso, Bardo Corsi, Bartolomeo Giugni, Niccolò di Andreuolo Sacchetti, Giuliano Salviati ed Iacopo del Zaccheria Francesco dello Scarfa, messer Guidantonio Vespucci, Piero Popoleschi, Bernardo Rucellai e..., Francesco Valori, Guglielmo de' Pazzi, Braccio Martelli, Lorenzo di Pierfrancesco e... Maravigliossi la brigata che in questa elezione fussi rimasto adrieto Paolantonio Soderini, sendo uomo di grande autorità e stato urtato da Piero de' Medici, e fu attribuito fussi stato Piero Capponi, el quale poteva assai ed era inimico suo, in modo che si disse poi publicamente che per questo sdegno Paolantonio, per mutare lo stato, persuase a fra Girolamo, e lo adoperò per instrumento a predicare, si facessi el governo del popolo. Furono di poi creati e' dieci, Piero Vettori, Piero Corsini, Paolantonio Soderini, Piero Guicciardini e Piero Pieri, Lorenzo Morelli, Lorenzo Lenzi, Francesco degli Albizzi, Iacopo Pandolfini e Lorenzo Benintendi. Crearonsi ancora gli otto di balía nuovi, Guido Mannelli Andrea Strozzi ed altri; e' quali dell'entrate dell'uficio spesono tanto in conviti che per questo furono di poi publicamente chiamati gli otto godenti. Creati questi magistrati, fu impiccato, per satisfare al popolo, alle finestre del Bargello, Antonio di Bernardo, el quale era savio uomo e delle cose del Monte ed altre entrate della città intendeva tanto quanto si poteva intendere, ed ancora rispetto al potere ed autorità che aveva era stato netto uomo; ma l'avere lungo tempo maneggiato uno uficio in sé odioso, aggiunto allo essere non di casa nobile, che gli dava tanto piú invidia, ed alla sua natura rozza, che era da chi aveva a fare seco, imputato a superbia e crudeltà de' poveri, lo avevano tanto messo in odio della moltitudine, che non si poteva sfamare del sangue suo. Cosí si disegnava fare di ser Giovanni delle riformagione el quale era in odio grandissimo, ed anche non molto d'assai uomo ma fra Girolamo lo scampò, gridando in pergamo che non era piú tempo da giustizia ma da misericordia; e fugli perdonato la vita e condotto nelle carcere di Volterra in perpetuo, donde parecchi anni poi fu cavato ed assoluto interamente. Erano nella città molti che arebbono voluto percuotere Bernardo del Nero, Niccolò Ridolfi, Pierfilippo, messer Agnolo, Lorenzo Tornabuoni, Iacopo Salviati e gli altri cittadini dello stato vecchio; alla quale cosa si opponevano molti uomini da bene, massime Piero Capponi e Francesco Valori, parte mossi dal bene publico perché in verità si sarebbe guasta la città, parte dal privato loro. Perché sendo loro naturalmente ed e' maggiori loro amici della casa de' Medici, e che nel 34 avevano rimesso Cosimo, dubitavano che spacciati gli altri dello stato vecchio, e' quali vulgarmente si chiamavano bigi, loro non restassino a discrezione degli offesi nel 34, che naturalmente erano anche inimici loro; e per questa cagione nella elezione de' dieci e de' venti vi avevano mescolato ancora di quegli che non erano stati mai urtati da Piero, come Giuliano Salviati, Lorenzo Morelli, Piero Guicciardini e simili, che erano in meno carico col popolo che gli altri. E nondimeno, benché e' favorissino una cosa giusta e ragionevole, e la autorità loro fussi allotta grandissima, sarebbe stato quasi impossibile avessino tenuta questa piena, sendo cosa procurata da tanti inimici dello stato vecchio e grata al popolo, a chi piacciono tutte le novità e travagli, quando venne uno aiuto non pensato, da fra Girolamo; del quale perché fu uomo valentissimo ed instrumento di cose e moti grandi nella città nostra, ne racconterò quelle cose che paiono dovere fare lume a quello in che necessariamente s'ha a ricordare. Fu fra Girolamo da Ferrara, di famiglia Savonarola, famiglia popolana e mediocre, el quale studiando in arte, si fece de' frati di San Domenico Osservanti; e doppo qualche tempo avendo fatto profitto grandissimo in filosofia, ma maggiore nella Scrittura sacra, ne venne a Firenze, dove insino a tempo di Lorenzo cominciò a predicare publicamente, accennando, con destrezza però, avere a venire grandissimi flagelli e tribulazione. Non piaceva questo predicare molto a Lorenzo; nondimeno parte perché non lo toccava nel vivo, parte perché d'avere altra volta cacciato da Firenze fra Bernardino da Feltre, uomo riputato santissimo, aveva ricevuto carico nel popolo; e forse avendo qualche riverenzia a fra Ieronimo, quale intendeva essere di buona vita, non gli proibiva el predicare, benché qualche volta lo facessi confortare da messer Agnolo Niccolini e da Pierfilippo ed altri, come da loro, che parlassi de futuris. Ed avendo già fra Ieronimo acquistato nel popolo credito di dottrina e santità, morí Lorenzo e lui seguitò a tempo di Piero, tuttavia, allargandosi piú nel predicare, e predicendo la rinnovazione della Chiesa, un flagello presto a Italia, nella quale verrebbono nazione barbare, che piglierebbono le fortezze colle meluzze ed espugnerebbono ogni cosa. Ottenne ancora da Alessandro papa uno breve, benché con grandissima difficultà, che la congregazione de' frati predicatori di Firenze e di altri conventi di Toscana si separassi da quella di Lombardia e si reggessi da sé; la quale cosa lo fermò a Firenze e gli tolse l'aversi a mutare, come el piú delle volte di anno in anno fanno e' frati. E riscaldando tuttavia nel predire, con grandissimo concorso e nome di santità e di essere profeta, ed andando a udirlo d'ogni sorte d'uomini tra' quali Giovanni Pico conte della Mirandola (cosí dotto uomo come avessi la età nostra, e che, se non che morí di corto, fu di opinione si sarebbe fatto frate), entrò in tanto credito, che quando Piero andò a Serezzana, fu mandato, come di sopra è detto, imbasciadore al re Carlo, sperandosi che la santità sua avessi a fare qualche gran frutto e fu udito dal re sempre gratamente e con dimostrazione di averlo in riverenzia, in modo che allora giovò alla città, e poi quando el re fu in Firenze, sempre affaticandosi in beneficio della città. In sulla cacciata di Piero, parlando apertamente e dicendo avere da Dio quelle cose future che e' prediceva, ed avendo una audienzia ed una fede grandissima, voltosi alla conservazione de' cittadini ed a fare usare la clemenzia, e fatto perdonare a ser Giovanni che anche era amico suo, cominciò a predicare per parte di Dio, che Dio, non gli uomini, era quello che aveva liberato la città dalla tirannide e che Dio voleva si mantenessi libera e si riducessi a uno governo populare alla viniziana, el quale era piú naturale a questa terra che alcuno altro. E con tanta efficacia, o per virtú divina o per sua arte, ci si riscaldò su, che benché dispiacessi assai a Bernardo Rucellai, a Francesco Valori a Piero Capponi, a Lorenzo di Pierfrancesco, a' Nerli ed agli altri primi del governo, pure non opponendosi scopertamente, e sendo questa opera favorita dalla signoria, si cominciò a tenerne pratica, e finalmente apiccandosi, fu commesso a' gonfalonieri, a' dodici, a' venti, a' dieci, agli otto, che ognuno ordinassi un modo di vivere popolare. La quale cosa sendo fatta, e piacendo piú quello de' dieci, fu mandato per fra Girolamo, al quale, presente la signoria, fu letto questo modo, e lui avendolo approvato con parole savie e con mostrare che allora era assai fermare un modo che fussi buono in universale, perché e' disordini che fussino ne' casi particulari col tempo si conoscerebbono meglio, e piú maturamente si limerebbono e correggerebbono, ed in effetto, chiamati el consiglio del popolo e del comune, si vinse ed approvò. Lo effetto fu che si facessi uno consiglio nel quale intervenissino tutti e' cittadini netti di specchio e che fussino di età d'anni ventinove finiti, e che loro o padri, avoli o bisavoli, fussino stati de' tre maggiori; eleggessinsi in quello consiglio tutti gli ufici e magistrati della città e di fuori, eccetto la signoria, la quale s'avessi a eleggere da' venti per quello anno, e finito l'uficio loro, pel consiglio grande. El modo dello eleggere fussi che, a ogni uficio, si traessi di una borsa generale certo numero di elezionari, e' quali nominassino uno per uno, non potendo però nominare alcuno di casa sua; e quegli cosí nominati andessino a partito, e quello che aveva piú fave nere che gli altri e vinceva el partito per la metà delle fave ed una piú, si intendessi eletto a tale uficio; eccetto certi ufici di fuora, da un certo salario in giú, ne' quali non andassi a partito chi era nominato, ma chi era tratto dalla borsa generale, vincendo però el partito, e rimanendo quello aveva piú fave; e perché gli elezionari avessino causa di fare buone nominazioni, fu ordinato che ognuno che nominava uno el quale fussi eletto, guadagnassi uno tanto, secondo la qualità dello uficio. Facessi detto consiglio grande uno consiglio di ottanta uomini, di età di anni quaranta, scambiandosi di sei mesi in sei mesi, potendo però essere raffermi, l'uficio de' quali fussi consigliare la signoria, eleggere ambasciadori e commessari, tutte le provisioni di qualunque sorte, quando fussino vinte fra' signori e collegi, avessino a passare per le mani loro, avendo però avere la finale perfezione nel consiglio grande, el quale non aveva autorità nessuna se non vi si trovava almeno uno numero di mille uomini, e perché in palagio non era luogo capace di tanto popolo, si ordinò si facessi a detto effetto una sala grande sopra la dogana, la quale insino a tanto fussi fatta, tutti gli abili al consiglio non erano del consiglio, ma solo mille uomini per volta, che si traevano a sorte della borsa generale per tempo di quattro ovvero sei mesi. Vinta la provisione ed ordinato el consiglio, seguitando nel predicare e mostrando che Dio aveva fatto misericordia alla città e cavatola delle mani di uno re potentissimo, e che cosí si voleva fare in verso a' cittadini dello stato vecchio per usare clemenzia e per mantenere la città in quiete confortò si facessi una provisione, che si perdonassino tutte le cose apartenente allo stato, fatte innanzi alla cacciata di Piero, e si facessi pace ed unione de' cittadini; ed inoltre perché ognuno piú sicuramente si potessi godere el suo ed allora ed in futurum, e non fussi in potestà di sei signori perturbare a sua posta la città e cacciare ed amazzare e' cittadini a arbitrio loro, come si era fatto in molti tempi passati, e con questo mezzo fare Grandi, si levassi tanta autorità alle sei fave, e si disponessi che ogni volta che uno cittadino fussi per conto di stato condennato in qualunque pena o dalla signoria da altri magistrati, potessi appellare al consiglio grande; e che quello magistrato che non ammetteva tale appellazione, fussi incorso in quella medesima pena che era colui che appellava. Ebbono queste provisione da molti uomini di autorità repugnanzia grande, e finalmente, doppo contradichione di piú dí, si messono a partito in consiglio e largamente si ottennono, parendo che ogni cosa introdotta da lui avessi maggiore forza che umana. Assettate cosí per allora le cose della città, e' dieci, fatte condotte e cosí posto uno balzello, avviorono la gente nostre in quello de' pisani, e' quali ostinatamente stavano rebelli; sendo condottieri nostri di piú autorità messer Francesco Secco, el conte Rinuccio da Marciano e messer Ercole Bentivogli, e commessario Piero Capponi, e' quali presono Palaia, Peccioli, Marti, Buti e alcune castella di poco momento, non sforzando Vico, Cascina, Librafatta e la Verrucola l'altre cose erano in preda, e quando si pigliavano e quando di nuovo si ribellavano. Mandossi ancora a Milano due imbasciadori a congratularsi col nuovo duca, messer Luca Corsini e Giovanni Cavalcanti principio debolissimo e che apresso a quello signore tolse riputazione assai alla città, parendogli fussi governata dalla moltitudine la quale non avessi elezione da uomo a uomo. E cosí passandosi le cose, soprovenne uno accidente nuovo, perché e' montepulcianesi si ribellorono e dettonsi a' sanesi; per la quale cosa sendosi rotta guerra fra noi e' sanesi, s'ebbe a volgere parte delle gente verso Montepulciano, e per fare pruova, benché invano, di recuperarlo, e per guardare el Ponte a Valiano e le altre cose nostre. Perdessi ancora Fivizzano e gli altri luoghi nostri di Lunigiana, che ne andorono in mano di quegli marchesi Malespini, lasciossi la raccomandigia di Faenza, non sendo noi atti a difendere noi medesimi. XIII «LA IMPRESA DI NAPOLI». LEGA ITALICA CONTRO CARLO VIII. CONDIZIONI DELLO STATO FIORENTINO (1495). 1495. E cosí sendo in preda lo stato nostro, venne a Firenze el cardinale di San Malò, primo uomo che avessi el re di Francia, ed avuti quarantamila ducati andò a Pisa, data intenzione di rendercela, almeno el corpo della terra; e statovi pochi dí sanza fare conclusione in beneficio nostro, se ne tornò al re Carlo. El quale vittoriosamente aveva finito con mirabile celerità la impresa di Napoli; perché partitosi da Firenze ed entrato in quello di Roma, papa Alessandro non si potendo difendere, si era accordato seco con condizione di dargli per sua sicurtà alcune terre e per statico un suo figliuolo, e datogli el fratello del Gran turco che era preso a Roma (el quale poco poi morí, e fu opinione avessi avuto dal papa veleno a tempo) entrò in Roma per la settimana santa; ed avendo fatto creare cardinale el vescovo di San Malò, si dirizzò alla volta del reame. Le quali cose sendo intese dal re Alfonso, disperato potersi difendere, lasciato lo stato in mano di Ferrando duca di Calavria suo primogenito, e fattolo creare re lui non piú re chiamato, ma don Alonso, se ne andò in Sicilia in uno convento di frati, dove in termine di non molti mesi morí. Ma poco piú soprastette a fuggirsi el re nuovo Ferrando, perché non avendo el re Carlo ostaculo alcuno alla campagna, ed acquistando ogni dí per universale rebellione de' popoli, tanto terreno quanto e' cavalcava in pochissimi giorni si insignorí di tutto el regno di Napoli, cosa troppo stupenda a considerarla. El re se ne fuggí alla volta di Spagna, el signore Virginio Orsino ed el conte Niccola di Pitigliano di casa Orsina furono presi in Nola; rimasono solo le fortezze di Napoli in mano de' Ragonesi, le quali presto si dettono. A Firenze si sonò a gloria, e facesi dimostrazione grande di allegrezza per questa nuova, benché in fatto dispiacessi insino al cuore pure la dependenzia avamo da lui, e lo essere le fortezze nostre in sua mani, necessitavano a fare cosí. Furongli mandati imbasciadori messer Guidantonio Vespucci, Lorenzo Morelli, Bernardo Rucellai e Lorenzo di Pierfrancesco, sí per congratularsi seco di tanta vittoria, sí per chiedergli le cose nostre, come era obligato restituirci, finita la guerra di Napoli, massime sendosi dal canto nostro sborsata quella somma di danari in che eravamo convenuti. Questa vittoria di Napoli, tanto presta e piú che non era la opinione, sbigottí forte ognuno, parendo che avendo aggiunto allo stato di Francia uno tanto regno, e trovandosi uno esercito vittoriosissimo e colle arme in mano, tutta Italia restassi a sua discrezione. La quale cosa non solo dispiaceva a' potentati italiani, ma eziandio a Massimiano re de' romani ed a Ferrando re di Spagna, a' quali, per la vicinità e le antiche controversie, ogni augumento di Francia era non meno sospetto che molesto; e però per sicurtà degli stati communi si contrasse una lega generale a difesa degli stati e contro a Francia tra papa, imperadore, re di Spagna, viniziani e duca di Milano; e fattone capitano Francesco da Gonzaga marchese di Mantova che era soldato de' viniziani, si dava in Lombardia pel duca ed e' viniziani forte danari, e da ogni banda si ragunava gente per opporsi al re Carlo, dal quale in sulla conclusione della lega si era nascostamente fuggito el figliuolo del papa. Non vollono e' fiorentini, benché richiestine, concorrervi né discostarsi dal re, per aspettare la restituzione delle fortezze, secondo aveva promesso. Attendevasi in quello tempo nella città a fondare tuttavia e fortificare lo stato del popolo; la qual cosa non sendo grata a' venti ed a molti cittadini di autorità, e dubitandosi che loro, veduto appressarsi al fine dello uficio ed avere a rimanere pari agli altri cittadini, non facessino una signoria a loro modo, ed alterassino questo governo populare, cominciò fra Girolamo a predicare destramente contro a loro, mostrando che sarebbe bene si finissi questo uficio. El nome e lo uficio loro era in sí odiato dal popolo, sí per sospetto che non alterassino el consiglio, sí per e' modi e portamenti loro, e' quali erano stati brutti e sciocchi, e sanza unione alcuna. Avevano, la prima volta feciono la signoria, creato gonfaloniere di giustizia Filippo Corbizzi, el quale era uomo di pochissima qualità e di autorità e di virtú, ma era stato molto favorito da Tanai de' Nerli, alla quale creazione si era opposto assai Francesco Valori, dando favore a Pagolo Falconieri, uomo piú spicciolato ancora che Filippo (il che in quel tempo per piacere al popolo si cercava) e di piú cervello e migliore qualità che lui, ed essendo nati dispareri e non si potendo accordare, fu forza pigliassino quello aveva piú fave, benché non vincessi el partito. Ferono di poi gonfaloniere Tanai de' Nerli, uomo nobile, ricchissimo e potente pel numero de' figliuoli, e massime per essersi tanto Iacopo adoperato nella cacciata di Piero, ma che nelle cose dello stato valeva poco, il che dispiacque assai a ognuno, parendo cosa brutta che uno accopiatore creassi se medesimo, e massime che sendo stato un'altra volta gonfaloniere a tempo di Lorenzo pareva fussi stato mosso solo dalla ambizione. Doppo lui feciono Bardo Corsi ancora del numero de' venti, la creazione di chi in sé non dispiaceva, perché era vecchio e stato tenuto indrieto ed ammunito dalla casa de' Medici. Ma sendo in tutte queste elezione di varie voluntà, si erano in modo disuniti che non vi era né fede né concordia fra loro; e benché molte volte tentassino di riunirsi, pure ogni cosa era vana, ed essendosi sparta questa divisione, n'avevano carico apresso a ognuno, e inoltre la potenzia loro era piú debole, in modo che aggiugnendovisi la autorità ed el credito di fra Girolamo, si cominciò pel popolo a sparlarne e minacciargli, e loro a trovarsi in travagli grandissimi, e' quali umori riscaldando, Giuliano Salviati, o impaurito o persuaso da fra Ieronimo, spontaneamente rifiutò lo uficio. Di che nacque che e' compagni vedendosi, oltre alla disunione in tanto grido, e non parendo essere loro sanza carico delle persone, messono in consiglio una provisione di rifiutare tutti, la quale si vinse con grandissimo favore, e loro subito rinunziorono del mese di maggio 1495, e la autorità di fare la signoria si transferí al popolo, el quale creò primo gonfaloniere di giustizia Lorenzo Lenzi. El re Carlo in questo tempo udita la lega fatta, deliberò tornarsi in Francia, e lasciato a guardia del reame una parte delle gente d'arme franzese sotto alcuni de' suoi capitani, e qualche italiano sotto Camillo Vitelli, ne venne col resto alla volta di Toscana. E perché gli aveva sempre agli oratori nostri negata la restituzione delle cose nostre, ed inoltre loro avevono ritratto, lui essere malissimo disposto contro a tutti gli italiani, ed in spezie che alcuni de' primi suoi avevono molto in odio la città nostra, entrò tanto sospetto universalmente ne' nostri cittadini, che tutti ammoniti dal pericolo passato, si provederono di arme, empierono le casa di fanti del contado, fortificando ancora la città con tutti quegli instrumenti che fussino atti a difendere, acciò che se e' volessi come l'altra volta alloggiare in Firenze, si gli potessi concedere la entrata securamente. Le quali cose sendogli venute a notizia, parte per non s'avere a cimentare quivi, parte perché male poteva soprastare; intendendosi che e' viniziani ed el duca di Milano avevano, per opporsigli, congregato uno grossissimo esercito in Parmigiana, partitosi da Siena, deliberò sanza toccare la città andarsene a Pisa, ed avendo a Poggibonizi trovato fra Girolamo e parlato con lui, mostrandogli reverenzia, sanza frutto però nelle cose nostre di Pisa, se ne andò a Pisa per andarsene alla volta di Lombardia; ed essendo quivi, o circa a quello tempo, ebbe nuove come Lodovico duca di Orliens aveva per trattato preso Novara, terra del duca di Milano. Di poi partitosi da Pisa, lasciando pure guardate per sé le nostre fortezze, ne andò per Lunigiana, e saccheggiato Pontriemoli, terra dello stato di Milano, ne venne in Parmigiano, dove trovò essere alloggiati in sul Taro gli eserciti de' viniziani e del duca, tanto superiori a lui di numero, che solo quegli de' viniziani lo avanzavano di gran lunga. Sendo giunto quivi, con intenzione, se non era impedito andarsene alla volta di Francia, fu disputa nel campo italiano quello fussi da fare. Pareva al signore Ridolfo da Gonzaga, zio del marchese, ed a alcuni altri condottieri de' piú vecchi, non si dovessi apiccare zuffa con loro, anzi andargli costeggiando mentre che erano in sullo stato di Milano; e cosí sarebbono al sicuro che e' non dannificherebbono quello stato, ed anche potrebbe essere che la carestia delle vettovaglie gli strignerebbe in modo che e' sarebbono forzati o fare fatto d'arme con grandissimo disavantaggio, o veramente pigliare quelle condizioni che fussino loro date dalla lega. Al marchese desideroso di combattere parve altrimenti, e credo ancora messer Marchionne Trivisano proveditore viniziano fussi del medesimo parere; e finalmente apiccata la battaglia, si fece un fierissimo fatto di arme, el quale durò molte ore, benché e' franzesi fussino assai minore numero, ma si aiutarono assai colle artiglierie. Lo effetto fu che la sera si divise la zuffa ed ognuno si tornò a' sua alloggiamenti, in modo che non sendo fuggito nessuno, non si può dire alcuna parte fussi rotta. Ma el danno de' franzesi non fu molto grande; quello degli italiani fu grandissimo, perché fu morti della parte loro quattro o cinquemila persone, e molti uomini di capo, fra' quali el signore Ridolfo da Gonzaga; e tutto questo danno fu da' marcheschi perché e' ducheschi, che erano sotto el conte di Gaiazzo, per ordine del duca non si mescolorono quasi punto nel fatto di arme. La cagione fu, perché el duca vedendo e' viniziani avere piú gente di lui assai ed essere in su' terreni sua, dubitò se el re di Francia era rotto, di non rimanere a discrezione de' viniziani naturalmente inimici suoi, e che per ambizione non tengono conto di lega o di fede. Apresso può essere che e' considerassi che mettendo e' sua a pericolo della fortuna, se e' fussino rotti che lui portava piú pericolo che e' viniziani, per essere e' franzesi in sul suo, e che e' sarebbe stato el primo a perdere lo stato. Cosí può essere che e' pensassi, quando el re fussi rotto, che questa sarebbe ingiuria di qualità da non ne fare mai pace con Francia; la quale cosa aveva da stimare piú lui che altri, per essere loro vicino, e che riputerebbono piú l'offesa da lui, per essere stato egli el primo che gli avessi chiamati in Italia, e di poi, fattosi duca di Milano, avessi vòlto loro le punte. Queste cagione lo potettono muovere a avere piú caro che, per ogni affetto che potessi nascere, e le genti sua e quelle del re rimanessino salve. Fatto el fatto di arme, e' franzesi non avendo piú chi si gli opponessi, sanza contradizione alcuna se ne vennono in Asti, dove sendo giunti, feciono triegua per poco tempo colla lega, cosa grata all'una parte e l'altra; ed el duca di Milano con parte delle genti viniziane e con le sue accampato a Noara, la recuperò piú tosto per fame che per forza. Nel quale tempo poco prima che fu circa a quegli giorni che el re giunse in Asti, sendo molto male contenti e' popoli del reame della signoria de' franzesi preso animo per la partita del re e per la nuova lega, e' napoletani e molti altri popoli si ribellarono, ed el re Ferrando, chiamato Ferrandino, ritornò in Napoli. E perché nel reame era gente grossa pel re di Francia e molte città si tenevano a sua divozione volendo ricuperare el regno interamente e non avendo danari, accattò da' viniziani, per mezzo del re di Spagna e del duca di Milano, certa somma di danari, dando per loro sicurtà nelle loro mani Otranto, Brandizio ed altri porti del reame; ed e' viniziani all'incontro promessono a lui ed al re di Spagna rendere detti porti, ogni volta che fussino rimborsati de' danari loro; e fatta questa convenzione, el marchese di Mantova, come soldato de' viniziani, passò nel reame contro a' franzesi. Dove, doppo non molti mesi, lo effetto fu che e' franzesi sendo rotti, ed affamati di poi in Atella, ed essendo stato morto Camillo Vitelli e loro ridotti a piccolo numero, né avendo altra speranza di soccorso dal re Carlo che bruttamente gli lasciò perire, bisognò che uscissino del reame; e quegli pochi che rimasono, fatto accordo col re Ferrando e restituitogli tutto lo stato suo, ne ritornorono per acqua in Francia. In questo tempo ancora, cioè quando el re tornò in Asti, sendovi oratore messer Guidantonio Vespucci e Neri Capponi, e forse ancora el Soderino vescovo di Volterra, si fece convenzioni nuove col re, dandogli certa somma di danari, e lui con grande efficacia promisse la restituzione delle cose nostre; la quale cosa pareva verisimile, per lo essere lui fuori di Italia e non avere piú a servirsene, e per avergli noi interamente osservato la fede e rimasti in Italia soli amici sua. La quale pratica agitandosi, si mandò el campo nostro a Vicopisano del mese di agosto di detto anno 1495, e statovi molti dí sanza fare profitto alcuno, sendo feriti e guasti assai de' nostri, el campo con vergogna si levò. Vennono di poi le commessioni di Francia a chi era nelle fortezze nostre che ce le restituissino, ed e' contrasegni delle ròcche; a' quali effetti racozzate le gente nostre, e sendovi mandati commessari Francesco Valori e Paolantonio Soderini, un dí improvisamente assaltorono el borgo di San Marco; el quale preso di subito e trovato la porta aperta, erano già cominciate a entrare le gente nostre sanza resistenzia ed e' pisani impauriti a ritrarsi di là d'Arno, quando el castellano francioso della cittadella nuova cominciò a trarre le artiglierie contro a' nostri, il che sentendo e' commessari, non sapendo el successo de' nostri ed el disordine de' pisani, feciono subito ritirare adietro, e cosí si perdé una bellissima occasione di recuperare Pisa. La quale, se si seguitava la vittoria, era el dí assolutamente nelle mani nostre, ed e' commessari n'ebbono nella plebe carico grande benché a torto, perché la ragione voleva che, traendo la cittadella facessino quello feciono, e se bene el fare altrimenti dava la vittoria, s'aveva a imputare piú tosto al caso che alla ragione. Stati di poi alcuni dí nel borgo di San Marco, e veduto che el castellano, o perché in secreto avessi cosí ordine dal re, o per altra cagione non voleva dare la cittadella, el campo nostro si partí, non vi faccendo frutto alcuno; e cosí furono vane tutte le imprese di questa state, nelle quali si spese tanta somma di danari, che vulgarmente e' dieci che sedevano si chiamorono e' dieci spendenti, che furono e' primi dieci eletti dal popolo, uomini la maggior parte vecchi e tenuti buoni, ma poco pratichi a governare lo stato. Furonne capi messer Francesco Pepi e Filippo Buondelmonti. Sopravenne poi di Francia monsignore di Lilla, mandato per questa restituzione, ed essendo per la venuta sua la città nostra in grande speranza, volle la sorte nostra che egli ammalò e morí in Firenze, dove fu sepulto, fattogli dal publico onore grandissimo; e finalmente doppo molti messi e lettere mandate di qua e di là, ci fu renduto solo Livorno nel quale era a guardia monsignore di Beumonte. El castellano di Pisa, avuto certa somma di danari da' pisani, che ne furono serviti dal duca di Milano, dette loro la cittadella nuova che vi era stata edificata da' fiorentini, la quale subito disfeciono, riserbatasi la vecchia che vi era anticamente. Pietrasanta venne in mano de' lucchesi, avendola però a ricomperare dal re buona somma di danari; Serezzana in mano de' genovesi; e cosí si dissipò lo stato nostro e si divise ne' nostri vicini. Cosa miserabile a dire, che e' genovesi, e' sanesi, e' lucchesi, e' quali poco innanzi tremavano le arme nostre, ora sanza rispetto alcuno lacerassino e si insignorissino del dominio nostro, non però colle forze e riputazione loro, ma usando per instrumento un re di Francia, el quale non tenuto conto de' capitoli fatti con noi in Firenze e giurati in sull'altare sí solennemente, non delle convenzioni fatte di poi in Asti, non dell'avere osservato sí pienamente la fede, sí dandogli tanti danari, sí seguitando la parte sua soli in tutta Italia, perfidamente rivendé noi e le cose nostre agli inimici nostri. E' pisani potendosi male difendere da noi, si raccomandorono alla lega, e sendo accettati, vi entrorono in nome della lega gente del duca e de' viniziani; e poco di poi el duca, o per inviluppare e' viniziani in piú imprese e cosí consumargli in sulla spesa grande, o per altra cagione, gli richiese che soli rimanessino a Pisa. La quale cosa sendo consultata assai a Vinegia, e contradetta da messer Filippo Trono e molti altri gentiluomini vecchi a' quali non piaceva entrare in tanti viluppi, e da altra parte confortata assai da messer Augustino Barbarigo doge e da' suoi sequaci, e' quali erano assai e piú giovani, finalmente si deliberò accettarla, e cosí e' viniziani, uscendosene el duca, rimasono soli in Pisa con titolo di guardarla per la lega, in nome conservando a' pisani la libertà, in fatto insignoritisi delle fortezze e disponendone a arbitrio loro. Fumo di poi tentati istantemente dalla lega, desiderando e' signori collegati unire Italia per tôrre ogni pensiero al re Carlo di ritornarci; la quale cosa non fu acconsentita perché non ci volevano rendere Pisa, e non riavendo Pisa, non era a proposito della città la unione di Italia; anzi la disunione ci era utile e la passata del re Carlo ed ogni tumulto, e massime che el re Carlo tutto dí diceva agli oratori nostri (che vi era el vescovo de' Soderini e Giovacchino Guasconi) volere ritornare in Italia e che cognosciuti tanti segni della fede nostra, e cosí e contra la perfidia de' viniziani e del duca, volerci ristorare di tanti affanni e punire loro delle ingiurie gli avevano fatte. Aggiugnevasi a questa disposizione le prediche di fra Ieronimo, el quale, doppo la cacciata di Piero ed ordinazione del consiglio grande, continuando nel predicare in Santa Liperata con maggiore audienzia che mai vi avessi predicatore alcuno, e dicendo apertamente essere stato mandato da Dio a annunziare le cose future, aveva molte volte affermate piú conclusione, cosí concernenti lo universale della religione cristiana, come el particulare della città nostra: aversi a rinnovare la Chiesa e riformarsi a migliore vita, induttavi non con beni e felicità temporali, ma con flagelli e tribulazione grandissime; avere prima a essere percossa e tribulata grandemente Italia di carestia, di peste, di ferro, ed avervi a entrare piú barbieri esterni, e' quali coll'arme la raderebbono insino alle ossa; aversi prima a mutare gli stati di quella, non vi si potendo resistere con consiglio, con danari e con forze; la città nostra avere a patire tribulazione assai e ridursi a uno pericolo estremissimo di perdere lo stato, nondimeno perché la era stata eletta da Dio dove si avessi a predire tanta opera, e perché di quivi s'aveva a spargere in tutto el mondo el lume della rinnovazione della Chiesa, però che la non aveva a perire, anzi che quando bene si perdessi tutto el dominio nostro, sempre la città si salverebbe, ed in ultimo ricotta co' flagelli a una vera vita e semplicità cristiana, recupererebbe Pisa e tutte le altre cose perdute; non però con aiuti e mezzi umani, ma col braccio divino, ed in tempo che nessuno vi spererebbe ed in modo che nessuno potrebbe negare non essere immediate state opera di Dio; acquisterebbe ancora molte altre cose che non furono mai sue, e diventerebbe molto piú florida, piú gloriosa e piú potente che mai; lo stato populare e consiglio grande, introdotto in quella, essere stato per opera di Dio, e però non s'avere a mutare, anzi qualunque lo impugnassi, capiterebbe male; aggiugnendo che queste cose avevano a essere sí preste, che non era alle prediche sue nessuno uomo sí vecchio, che vivendo quanto poteva vivere secondo el corso naturale, non le potessi vedere. Disse ancora molti altri particulari, e circa alle persecuzione aveva a patire cosí spirituale come temporale; le quali cose lascio indrieto, perché non fanno a proposito della materia presente, e perché ci sono in piè e stampate le prediche sue, che ne possono dare chiara notizia. Questo modo di predicare cosí l'aveva recato in odio al papa, perché nel predire la rinnovazione della Chiesa detestava e mordeva molto scopertamente e' governi e costumi de' prelati, avevonlo recato in odio a' viniziani ed al duca di Milano, parendo loro che e' favorissi la parte di Francia e fussi cagione con questi modi suoi che la città non si accordassi colla lega, avevano ancora fatto diversi umori nella città, perché molti cittadini, o per non prestare naturalmente fede a queste cose, o perché dispiaceva loro el governo populare, quale vedevano caldamente essere favorito e mantenuto da lui, molti ancora perché prestavano fede a' frati di San Francesco ed agli altri religiosi, che tutti vedendo la riputazione de' frati di San Marco, si gli erano opposti; molti ancora uomini viziosi, a' quali dispiaceva che lui, detestando la soddomia e gli altri peccati ed e' giuochi, aveva molto ristretto el modo del vivere: tutti insieme si gli erano levati fieramente contro; perseguitandolo in publico ed opponendosi quanto potevano alle opere sue Eranne capi Piero Capponi (benché lui, vedendo la potenzia dell'altra parte, qualche volta balenassi, qualche volta simulassi), Tanai de' Nerli ed e' figliuoli, massime Benedetto ed Iacopo; Lorenzo di Pierfrancesco, Braccio Martelli, e' Pazzi, messer Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai e Cosimo suo figliuolo, e' quali avevano coda di Piero degli Alberti, Bartolomeo Giugni, Giovanni Canacci, Piero Popoleschi, Bernardo da Diacceto e molti simili. Da altra parte erano molto favorite e commendate le opere sue da molti cittadini: alcuni naturalmente inclinati al credere per bontà di natura e vòlti alla religione, ed a chi pareva che le opere sue fussino buone e che le cose predette da lui tutto dí si verificassino; alcuni maligni e di cattiva fama, per ricoprire le opere sue ed acquistare nome buono con questo mantello di santità; alcuni uomini, secondo el mondo, costumati, vedendo el favore e la potenzia aveva questa parte, per correre piú agli ufici ed acquistare stato e riputazione piú col popolo. Eranne capi Francesco Valori, Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, messer Domenico Bonsi, messer Francesco Gualterotti, Giuliano Salviati, Bernardo Nasi ed Antonio Canigiani. Contavacisi anche drento Pierfilippo Pandolfini e Piero Guicciardini, e' quali però nelle controversie ne nascevano, si portavano moderatamente ed in forma che non erano interamente annoverati fra loro; avevano coda da Lorenzo e Piero Lenzi, Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Luca d'Antonio degli Albizzi, Domenico Mazzinghi, Matteo del Caccia, Michele Niccolini, Batista Serristori, Alamanno ed Iacopo Salviati, Lanfredino Lanfredini, messer Antonio Malegonnelle, el quale non era molto innanzi per conto dello stato vecchio, benché Pierfilippo Pandolfini di già fussi stato fatto de' dieci ed avessi riavuto la riputazione; Francesco d'Antonio di Taddeo, Amerigo Corsini, Alessandro Acciaiuoli, Carlo Strozzi, Luigi dalla Stufa, Giovacchino Guasconi, Gino Ginori e molti simili. Aggiugnevasi lo universale del popolo, del quale molti erano inclinati a queste cose, ed in modo che, sendo in odio ed in cattivo nome e' persequitori sua, ed e converso e' fautori accetti e grati assai, gli onori ed e' magistrati della città si davano sanza comparazione molto piú agli uomini di questa parte che agli altri; e però sendo in tanta potenzia e' fautori sua, e parendo loro che secondo le sue predizione, e' potentati di Italia avessino a capitare male, ed interpretando di nuovo el re di Francia avere a essere vittorioso, oltre alle altre ragione che gli movevano, erano causa che la città non si accostassi colla lega. E cosí sendo nata una grandissima divisione ed odio capitale negli animi de' cittadini, ed in forma che in molti fratelli, in molti padri e figliuoli era dissensione per conto delle cose del frate, nasceva un altro disparere grandissimo: che tutti quegli favorivano el frate, tenevano la parte di Francia, quegli lo disfavorivano arebbono voluto accordarsi colla lega. Nel fine di detto anno 1495 si murò e finí sopra la dogana la sala grande del consiglio, e vi si ragunò tutto el popolo a fare la nuova signoria. avendovi prima predicato fra Ieronimo; e fu creato gonfaloniere di giustizia, che entrò in calendi di marzo, Domenico Mazzinghi e cosí tutto dí si augumentava e cresceva el vivere popolare. XIV TUMULTO CONTRO IL GOVERNO POPOLARE. DISCESA DI MASSIMILIANO D'ASBURGO IN ITALIA (1496). 1496. Sopravenne l'anno 1496 turbulento e pericoloso drento e di fuori, nel principio del quale anno alla fine del mese di aprile si scoperse una intelligenzia nella città di molti cittadini e' quali tutti erano oppositi al frate ed uomini di non molta autorità. Lo intento loro era ristrignersi insieme in consiglio e favorire negli ufici l'uno l'altro, e quando avessino avuto successo in questo, arebbono tentato maggiore fine; e pigliando tutto dí forze, sendo venuto a luce, la mattina si ragunava el consiglio per eleggere la nuova signoria in scambio di Domenico Mazzinghi, furono per comandamento della signoria e degli otto sostenuti e menati al bargello Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e Giovanni da Tignano. Ed essendo di poi esaminati ed inteso tutto lo ordine, parendo la cosa non stessi in termini di intelligenzia semplice. ma piú tosto avessi natura di mutazione di stato, e nondimeno non in modo meritassino perdere la vita, furono questi tre dalla signoria e dagli otto ammuniti e confinati in perpetuo nelle Stinche, e Schiatta Bagnesi, uomo di poca qualità, ed alcuni altri simili furono ammuniti a tempo; e cosí si estinse questo pericolo, al quale se non si fussi rimediato a buon'ora, arebbe fatto danno assai. Questa alterazione fu cagione che aspettandosi gonfaloniere di giustizia Francesco degli Albizzi, el consiglio lo fuggí, veduto che questa intelligenzia era in uomini inimici del frate ed inimici del consiglio, ed essendo Francesco, benché sanza sospetto di questa intelligenzia, pure in opinione che gli dispiacessi l'uno e l'altro, e volse le fave a Piero di Lucantonio degli Albizzi consorte suo, uomo vecchio, bonario e da poco. Al tempo del quale, secondo la legge fatta nel 94, e' confinati nelle Stinche appellorono al consiglio grande: e perché loro erano nelle Stinche e non potevano personalmente comparire, si lesse prima el loro processo, di poi quello che gli scrissono in difensione loro; parlò in ultimo Francesco Rinuccini che era stato o de' signori o degli otto, giustificando quello si era fatto ed in effetto sendosi cimentato non furono assoluti. Fermato questo tumulto, sendo le gente nostre in quello di Pisa a ricuperare el contado, ed essendovi commessario Piero Capponi, e dando la battaglia a Soiana, castello di poca qualità, fu morto Piero Capponi di uno colpo di archibuso, E questa fine ebbe Piero Capponi, uomo valentissimo, ed el quale fu di grandissimo ingegno, discorso e lingua, ma un poco vario e non molto fermo nelle deliberazioni sue; uomo di grandissimo animo ed ambizioso e di grandissima riputazione, era insino a tempo di Lorenzo, benché non molto adoperato, pure in riputazione grande di savio e valente uomo, ed ancora, per le qualità e credito suo temuto da Lorenzo, a tempo di Piero fu gran cagione della rivoluzione dello stato e di quivi venuto in grandissima grazia ed autorità; ne' tempi che el re di Francia fu in Firenze si affaticò assai in beneficio della città, e nel fare l'accordo, e nel trovare la somma de' danari che s'ebbe a dare al re Carlo, e di poi creato de' venti, fu molto operatore della salute de' cittadini dello stato vecchio, e per qualche mese poté nella città piú lui che alcuno altro; di poi fattosi inimico del frate, e venuto in opinione che el consiglio non gli piacessi e che tenessi pratiche con principi di mutarlo, venne in odio al popolo, e benché gli inimici del frate ed e' capi degli inimici tutti facessino capo a lui, pure urtato dall'altra parte e temuto non vinceva in consiglio nulla, ma pure sendo stimato assai per la riputazione e seguito grande che aveva, fu la sua morte universalmente grata ed accetta al popolo. Standosi la città in questi termini, drento tutta disunita e divisa, di fuori attendendo alla impresa di Pisa nella quale si faceva poco profitto, non avendo appoggio alcuno, ed essendo e' pisani difesi da' viniziani, in modo che e' pisani tenevano fermo Vicopisano, Cascina, Librafatta, la Verrucola e la foce del mare, l'altre castella si tenevano quando per l'uno, quando per l'altro, perché quando erano in nostra mano, come avevano occasione si ribellavano da noi, la città si trovava in cattivi termini, ed ogni dí si diminuiva la speranza che el re Carlo dovessi passare in Italia, né si vedeva via da doversi posare e reintegrare nello stato suo, sendo in mala condizione apresso a' principi di Italia. Al papa non piaceva che noi recuperassimo le cose nostre, perché, fermato questo punto, parevano doversi quietare le cose di Italia che sarebbe stato contrario a' suoi disegni che erano pieni di ambizione e vòlti a fare stato, il che non gli aveva a riuscire, se si fussi un tratto riunita Italia, non piaceva a' viniziani, perché, sendo in possessione di Pisa, non ne volevano in alcuno modo uscire, avendo fatto concetto che quella città avessi a essere loro uno instrumento grande allo imperio di tutta Italia; non piaceva al duca Lodovico, perché aveva disegnato aversi a fare grande ne' movimenti di Italia, ed inoltre se pure s'avessi avuto a riunire colla città, arebbe voluto introdurvi uno stato di uno o di pochi, sperando potere piú confidarsi di loro e piú valersene che di uno governo di molti, co' quali non si può pigliare fede o amicizia, né trattare segretamente cosa alcuna, e però sempre nel parlare co' suoi ed in presenzia di messer Francesco Gualterotti, imbasciadore nostro, detestava questo vivere, dileggiando ora e' modi della città nel creare e' magistrati, ora gli uomini vili che intervenivano nel consiglio. Alle quali cose messer Francesco, secondo la natura sua sempre rispondeva prontamente e con degnità del publico. Sendo adunche chiara la città, che per le mani di questi principi non avevamo a essere restituiti nel dominio nostro, sempre dinegò volere entrare nella lega e lasciare el re Carlo, con tutto che ne fussi richiesta instantemente e con molti minacci; anzi, sempre mostrando volere seguitare la parte di Francesco instigava di continuo el re a dovere passare. Per la qual cosa e' signori della lega, per levare al re questo stimolo di passare in Italia e tòrgli ogni disegno potessi fare de' fatti nostri, feciono alla fine di settembre venire in Italia Massimiano re de' romani, promettendogli favore di gente e di danari a conseguire la corona dello imperio, ed in tal numero che e' ci potessi sforzare a entrare nella lega. Sendo adunque a' confini di Italia, mandò imbasciadori a Firenze, e' quali oltre a chiedere passo e vettovaglia, confortassino la città a volere essere buoni italiani; fu loro risposto che si manderebbe imbasciadori alla maestà sua che gli satisferebbono; e poco poi intendendo che era già nello stato di Milano, vi fu mandato oratori messer Cosimo de' Pazzi vescovo di Arezzo, e messer Francesco Pepi, avendo prima rifiutato Piero Guicciardini e di poi Pierfilippo Pandolfini. Costoro, giunti in Lombardia, trovorono era già ito a Genova per imbarcarsi quivi per alla volta di Pisa, e seguitatolo là, gli esposono la commessione, dimostrando quanto la città era desiderosa di compiacergli, e quanto frutto lui potrebbe cavare dalla amicizia di quella, se la richiedessi delle cose che aspettassino solo alla proprietà sua, ma che la richiesta dello entrare in lega non era onesta, sendo contro alla fede loro, e non volendo, chi gli aveva ingiustamente spogliati, restituirgli; la quale cosa eziandio toccava alla maestà sua vedendo continuamente crescere quegli che naturalmente gli erano inimicissimi. Cognosceva lo imperadore essergli detto il vero, nondimeno non poteva rispondere se non quanto gli commetteva la lega; e però, el dí che si imbarcò per a Pisa, disse agli oratori che per le molte occupazioni non aveva potuto rispondere loro risolutamente, ma che el legato del papa che era in Genova, risponderebbe lui. Andorono al legato, dal quale ebbono che la risposta sarebbe loro fatta dal duca di Milano. Partirono adunche da Genova, e venuti a Milano, richiesono la audienzia dal duca, el quale la dette loro in presenzia del legato del papa e di tutti gli oratori de' collegati; ed aspettando che e' nostri dimandassino la risposta, loro dissono che avendo commessione di ritornarsi a Firenze e faccendo quella via per la quale erano venuti, avevano voluto secondo el debito visitare quel signore ed offerirgli e raccomandargli la città. Parve al duca essere uccellato, e dimandatogli se volevano la risposta, dissono che non avevano commessione intorno a ciò; e replicando lui che lo imperadore gli aveva rimessi a sé, e però che egli gli narrassino quello avevano esposto allo imperadore, acciò che potessi loro rispondere, dissono che era superfluo e che non avevano questa commessione, e sobiungendo lui che non sapeva se questi modi procedevano da troppa prudenzia o da poca bontà, replicò el Gualterotto, che era oratore residente a Milano, che procedevano da poca bontà, ma di altri; e cosí rimanendo uccellati el duca e gli oratori de' collegati, presa licenzia se ne ritornorono a Firenze. Massimiano, avendo tocchi in nome della lega danari da Genova, ed imbarcatosi alla volta di Pisa, stette molti dí in mare impedito da' venti e da' cattivi tempi, in modo che quando venne a Livorno aveva consumato e' danari sua, ed era venuto el tempo della altra paga: in modo che, stato pochi dí a Livorno e non gli sendo mandati e' danari da' viniziani, ne venne a Pisa, lasciati alcuni legni a campo a Livorno; dove alla fine di ottobre, sendo sopravenute certe galee di Francia in favore nostro, e' legni dello imperadore, avendo contrari non meno e' legni franzesi e destituito di ogni speranza, data la volta adrieto, vituperosamente se ne ritornò nella Magna. La cagione perché e' viniziani non gli mandorono danari fu perché essendo lo imperadore molto piú del duca che loro, erano cominciati a insospettire che el duca non fussi male contento che Pisa fussi in loro mano, e però non si fidando di lui, non vollono a sue spese favorire uno instrumento che avessi a operare tanto quanto paressi al duca. E fu questa rottura tanto a proposito ed utile della città, quanto dire si potessi; perché e' cittadini, vedendosi sanza soccorso e contro tutta Italia, si giudicavano sanza rimedio, in forma che da molti fu imputato piú tosto a miraculo la salute nostra che modo umano; parendo che l'essere soprastato lo imperadore in mare per e' tempi cattivi, e la disunione venuta sí a tempo, e di poi e' venti essersi operati nella vittoria nostra, fussi stato mistero divino e massime che fra Ieronimo aveva in quegli giorni predicato e confortato gagliardamente fussino sanza paura, che Dio gli libererebbe. Partito lo imperadore, fu di poi creato per calendi di gennaio gonfaloniere di giustizia Francesco Valori benché forse dua mesi innanzi non avessi vinto lo uficio de' dieci e fussi stato scavalcato non solo da Pierfilippo Pandolfini ma ancora da Taddeo Gaddi; esemplo manifesto delle mutazioni del popolo, che, avendolo cosí ributtato, lo prepose poco di poi in tanto magistrato, sendo andato a partito ancora Pierfilippo Pandolfini. Fucci tirato con favore della parte del frate, della quale fu assolutamente fatto capo, e però attese in questo magistrato favorirlo quanto piú poteva, insino a cacciare di Firenze molti predicatori dell'ordine di San Francesco e' quali apertamente gli contradicevano. E perché le cose de' Medici erano in modo transcorse, che fuori se ne parlava con grandissima licenzia, e cosí molti preti e cortigiani fiorentini erano iti a stare a Roma col cardinale de' Medici, ordinò legge asprissime, revocandogli e proibendo e' commerzi con loro nel vincere delle quali ebbe tanta difficultà, con tutto vi adoperassi driento tutto lo sforzo ed autorità sua, che qualche volta volentieri arebbe voluto esserne stato digiuno, il che nasceva non tanto dall'avere e' Medici favore in Firenze, quanto dagli inimici del frate e malcontenti di questo governo. Attese ancora a fortificare el consiglio, faccendo una legge che chi era a specchio non vi potessi venire; e perché el numero rimaneva molto scarso, vi messe e' giovani che avessino finito ventiquattro anni, che prima non vi poteva venire chi non avessi trenta. Cavonne ancora molti che ragionevolmente non vi potevano venire ma in quella confusione da principio, sotto vari nomi di casa ed altri falsi colori vi erano entrati. Per queste cose e per essere tenuto netto e buono cittadino, sendo in reputazione grandissima gli inimici del frate non avendo un capo di tanta autorità da opporgli poi che era morto Piero Capponi, voltorono el favore a Bernardo del Nero, el quale benché fussi dello stato vecchio, era già stato fatto de' dieci e ritornato in riputazione, ed era vecchio con credito grandissimo di essere savio e di tanta pratica ed autorità, che in Firenze non pareva altro uomo da opporre a Francesco Valori, e lo creorono in scambio di Francesco, gonfaloniere di giustizia, e cosí sendo già battezzato capo della altra parte, nacque fra Francesco e lui emulazione ed odio grandissimo. XV INUTILE TENTATIVO DI TORNARE A FIRENZE DI PIERO DE' MEDICI. SCOMUNICA DEL SAVONAROLA (1497). 1497. Seguitò l'anno 1497, anno di grandissimi movimenti ed alterazione; nel principio del quale anno negli ultimi dí di aprile, sendo ancora gonfaloniere Bernardo del Nero, Piero de' Medici con Bartolommeo d'Alviano e con molti soldati venne a Siena per opera de' viniziani e' quali, per avere Pisa sicuramente, gli davano favore a voltare lo stato. La quale cosa a lui pareva facile, intendendo che el popolo minuto stava malcontento per essere in carestia grandissima, ché valeva el grano cinque lire lo staio, ed inoltre sapendo che nella città erano molti uomini da bene male contenti, e molti amici sua,alcuni ancora con chi, come di sotto si dirà, teneva pratica, e Bernardo del Nero gonfaloniere di giustizia, e de' signori Batista Serristori e Francesco di Lorenzo Davanzati, uomini che solevano essere sfegatati dello stato suo. E cosí con queste persuasioni partitosi da Siena a dí 27 di aprile, venne la sera alle Tavernelle, con intenzione di essere la mattina sequente in sul fare del dí alle porte di Firenze; la quale cosa non gli riuscí perché la notte piovve tanta acqua, che non poté cavalcare all'ora disegnata. A Firenze, sendosi inteso la venuta di Piero in Siena, e di poi la partita, benché non si credessi dovessi venire tanto oltre si era condotto Pagolo Vitelli, el quale in quegli dí era venuto da Mantova dove era stato prigione, preso nel reame di Napoli, dove si trovava con Camillo suo fratello. Di poi la mattina a dí 28, intendendosi che Piero veniva verso la città, si trasse a buon'ora la signoria nuova che ne fu gonfaloniere Piero degli Alberti, e furono uomini tutti confidati allo stato ed inimici de' Medici, di poi rinfrescando tuttavia la venuta di Piero, furono mandati Paolantonio Soderini e Piero Guicciardini a fare cavalcare Paolo ed essere in sua compagnia, scelti, massime Piero, piú per la amicizia tenevano con lui, che per essere inimici de' Medici. Cavalcò con costoro alla porta a San Piero Gattolini, ed avendo notizia che Piero era vicino a uno o due miglia si fermò quivi, e fece serrare la porta; e dubitandosi che Piero non avessi drento intelligenzia, furono sostenuti in palagio circa a dugento cittadini che erano piú a sospetto per conto dello stato vecchio, e nondimeno nella città non prese persona le arme, se non quando si intese che si partiva, eccetti pochi inimici sua capitali, e quegli non molto a buon'ora, come e' Nerli, e' Capponi, e' Pazzi, Lorenzo di Pierfrancesco, gli Strozzi e simili. Stette Piero piú ore alla porta, e veduto non farsi movimento alcuno nella città, e che la stanza sua quivi era con pericolo, dette la volta adrieto, e per la medesima via, sanza essergli fatta offensione alcuna, se ne ritornò a Siena. Partito Piero ed entrata la signoria nuova, fu gran disputa per le cose del frate, perché el gonfaloniere Giovanni Canacci e Benedetto de' Nerli, che erano de' signori ed inimici suoi capitali, lo volevano spacciare; da altra parte messer Antonio Canigiani e messer Baldo Inghirlani lo difendevano, mantenendo quattro fave, benché con grande difficultà, in suo favore. Nella quale controversia sendo riscaldati gli animi de' cittadini e tutti divisi, furono deputati d'ogni parte a posare le cose e pacificare la città, Bernardo del Nero, Tanai de' Nerli, Niccolò Ridolfi, Paolantonio Soderini, Piero Guicciardini, messer Agnolo Niccolini, messer Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai, Francesco Valori, Pierfilippo Pandolfini e Lorenzo di Pierfrancesco. E non faccendo effetto alcuno, gli umori tutti dí ribollivano in modo, che sendo publica opinione s'avessi a fare qualche scandolo, predicando el frate la mattina della Ascensione in Santa Liperata, si levò un romore grandissimo, del quale non si trovò causa alcuna, se non sospetto; ed essendo le grida grandissime, si vedde in lui gran segno di paura, ed alla fine non potendo seguitare la predica, si ritornò a San Marco, accompagnato da molti cittadini coll'arme, fra' quali fu Giovan Batista Ridolfi con una arme in asta in sulla spalla. Né per questo cessorono le contenzione de' cittadini, anzi tutto dí crescevano, insino a tanto che del mese di giugno papa Alessandro lo fece publicare in Firenze scomunicato, allegando avere predicato publicamente dottrina eretica e di poi, citato da lui, non essere voluto comparire. Credesi el papa lo facessi volentieri da sé, nondimeno lo fece piú volentieri, sendo stimolato di Firenze dagli avversari suoi; e però per dimostrare la innocenzia sua, si fece in San Marco una soscrizione di cittadini, e' quali tutti affermorono lui essere vero e buono cattolico. Soscrissonsi circa a cinquecento, non ne rimanendo indrieto quasi niuno, punto nominato, di quella parte: e cosí astenendosi per conto della scomunica el frate dal predicare, e sendo contenti e' suoi inimici, parve si quietassino un poco le discordie. Notossi che la mattina che fra Ieronimo fu publicato, venne in Firenze la nuova come el duca di Candia, figliuolo del papa, ed a chi el papa voleva tutto el suo bene, era stato morto in Roma per opera, secondo si disse poi, del cardinale di Valenza figliuolo del papa, el quale aveva per male che el fratello fussi in piú favore col papa; il che parve segno a quegli del frate, che Dio avessi voluto dimostrare al papa lo errore suo d'avere scomunicato fra Ieronimo. Seguitò poi di agosto uno accidente grandissimo, sendo gonfaloniere di giustizia Domenico Bartoli, el quale acciò che si intenda meglio, ripiglierò la origine sua piú da capo. El governo della città di drento era molto disordinato, creandosi e' magistrati tutti nel consiglio grande el quale nel principio dava piú favore agli uomini popolari e buoni e che non si impacciassino dello stato, che a quegli che avevano piú autorità e piú esperienzia, di poi a poco a poco accorgendosi che e' governi volevano essere trattati dagli uomini savi e pratichi, e cosí sendo purgata la invidia di una gran parte di coloro che avevano pel passato potuto nella città, si cominciorono le elezione de' magistrati di piú importanza, massime del gonfaloniere di giustizia e de' dieci, a fare piú ragionevolmente. Di qui nacque, che dove prima uno Antonio Manetti e simili avevano al gonfaloniere di giustizia scavallato uno Paolantonio Soderini e simili e dove prima uno Piero del Benino, uno Pandolfo Rucellai, uno Andrea Giugni avevano nello uficio de' dieci avuto piú favore che e' piú valenti uomini della città, rimandosi tuttavia el giudicio del consiglio, furono successivamente fatti gonfalonieri di giustizia Francesco Valori, Bernardo del Nero; e cosí nell'uficio de' dieci erano sempre eletti loro, messer Guidantonio Vespucci, Pierfilippo Pandolfini, Paolantonio Soderini, Bernardo Rucellai e simili. Da questo era nato che eziandio negli ufici piú importanti di fuor a, come Arezzo, Pistoia, Volterra, Cortona e simili, si facevano elezione assai ragionevole; in modo che in questa parte el consiglio era forte migliorato, e si vedeva che seguitandosi le elezione per le piú fave, gli ufici e lo stato non uscirebbe di molti uomini e de' migliori. Nondimeno avendovi piú favore e' frateschi che gli inimici suoi, il che procedeva parte pel credito del frate, parte perché in verità, da Bernardo del Nero, messer Guidantonio, Bernardo Rucellai e pochi simili in fuora, erano altri uomini, tutti gli avversari del frate appetivano mutare modo di vivere, ed era la intenzione di molti, massime di Bernardo del Nero, non di richiamare Piero de' Medici in Firenze, ma fare uno stato stretto di uomini da bene, e farne capo Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, ed avendo in questa cosa secretamente la voluntà del duca di Milano, Giovanni con ordine suo ne era ito a Imola e quivi aveva copertamente tolto per donna madonna di Imola e [Furlí] (figliuola bastarda del duca Galeazzo e cosí nipote del duca Lodovico, e che era stata moglie del conte Girolamo e governava quello stato per e' figliuoli di detto conte) con intenzione forse di valersi di gente, quando s'avessi a mutare el governo di Firenze. E parendo agli inimici del consiglio che el migliorare ogni dí nelle elezione avessi a essere cagione che molti uomini da bene si assetterebbono volentieri a questo vivere e cosí si fortificherebbe tutto giorno, pensorono che e' sarebbe bene introdurre e' partiti piú larghi e levare questo modo delle piú fave, immaginandosi che quanto piú le elezione andassino larghe, tanto piú si disordinerebbe el consiglio e verrebbe a noia agli uomini da bene, a' quali dispiacerebbe vedere gli ufici in uomini che o per ignobilità di casa o per loro vizi o per altro conto non lo meritassino. E per fare questo effetto, poiché non avevano tanta potenzia lo potessino condurre per lo ordinario, cominciorono, quando si faceva uno uficio di fuora, o dare le fave bianche a tutti quegli andavano a partito, acciò che, non si vincendo nessuno, bisognassi pigliarvi qualche forma; ed a questo avevano concorso da molti, e' quali non intendendo a che fine e' si movessino, vi concorrevano non per levare via el consiglio, ma per tôrre questi partiti stretti delle piú fave. E cosí sendosi stati molti mesi e fattone molte pratiche, si era finalmente da chi non voleva disordine introdotto un modo che e' si facessi una provisione, che quando uno uficio fusse ito a partito tre volte in consiglio e non avessi vinto nessuno, si dessi a chi avessi avuto piú fave degli uomini squittinati in quelle tre volte, benché non avessi vinto el partito; e cosí chi non vinceva persona per fare disordine, veduto che, benché nessuno non vincessi gli ufici rimanevano fatti, si sarebbe levato da tappeto, ed accordandosi la pratica a questa conclusione, Bernardo del Nero veduto che la ovviava a' loro disegni, la contradisse sí vivamente el in forma, che non se ne fece conclusione. E però in ultimo per minore male fu necessario fare una provisione, che si mutassi modo del creare gli ufici di fuora, e dove prima n'andava a partito per nominazione un certo numero e si toglieva quello che vinceva per le piú fave, ora andassino a partito per tratta, cioè che si traessi di una borsa generale, in quale erano imborsati tutti gli abili a detto uficio, e di poi tutti quelli che avessino vinto el partito per la metà delle fave ed una piú, si imborsassino e quello ne fussi tratto a sorte, avessi detto uficio. Di che nacque che le elezione cominciorono molto a piggiorare ed a rallargarsi perché per le tratte non andavano a partito uomini idonei come per le nominazioni; ed inoltre quegli squittinati, come avevano la metà delle fave ed una piú, benché l'uno avessi di gran lunga piú fave che l'altro, avessino un medesimo ragguaglio della sorte. Né solo stette questo inconveniente negli ufici di fuora, ma ancora fu origine si facessi di poi, come di sotto si dirà, cosí negli ufici di drento, e nondimeno quegli ne furono autori, non ne conseguirono el disegno loro perché dove prima girando la elezione degli ufici in pochi e strignendosi a un numero di dugento cittadini o pochi piú, soli quegli sarebbono stati amici al consiglio, e gli altri tutti inimici, che erano molto maggiore numero; ora sendo rallargate in gran numero, quasi tutti quegli a chi sarebbe dispiaciuto el consiglio, piace ora loro, in modo che egli ha avuti sanza numero molti piú amici che prima. Né si fermando qui e' pensieri loro, anzi tutto dí opponendosi ed intraversandosi nelle cose, era nata una licenzia perniziosa di sparlare publicamente del consiglio de' cittadini di qualunque parte, e dimostrare che noi stavamo meglio al governo de' Medici. Le quali cose non si punivano perché cosí è usanza delle città divise, nelle quali e' cittadini non pongono mente a ogni cosa, sendo occupati nel contendere, ed inoltre chi ha disfavore da una parte, ha favore dall'altra e perché parendo a ognuno che questo stato e la città non fussi di uno né di pochi, ma di molti, non era nessuno che le brighe ed inimicizie publiche volessi fare sue, di che multiplicando ogni dí questa licenzia, parve a Niccolò Ridolfi Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo di Antonio Pucci ed altri che desideravano la tornata di Piero, che Piero avessi buona parte della città, e pigliandone coniettura dal sparlare publicamente che si faceva e da vedere molti cittadini molto male contenti, cominciorono a tenere pratica con lui. Di che avendo egli preso animo, ed avendo intenzione dalla lega d'avere a essere favorito per spiccare dalla amicizia di Francia la città, mandò a Firenze, per disporre meglio la materia. maestro Mariano da Ghinazzano, generale dello ordine di Santo Agostino, el quale altre volte a tempo di Lorenzo aveva predicato nella città con grandissimo concorso. El quale venuto a predicare sotto ombra di opporsi alle cose di fra Girolamo, accennava in pergamo destramente che la città si accordassi colla lega, e di poi privatamente teneva pratica cogli amici di Piero. E benché questa venuta sua, e di poi el praticare quegli cittadini con lui mentre stette in Firenze, dessino quasi publicamente sospetto di quello che egli trattassi, nondimeno le divisioni della città non lasciavono farne esamina né punizione. Per le quali cose ingagliardito Piero, richiedendo la lega di favore, gli mancò sotto el duca di Milano, e ne poté essere due cagioni: l'una, perché al duca paressi che el rimettere ora Piero non fussi altro che stabilire in Pisa e' viniziani; l'altra, perché sendo stato lui gran cagione della cacciata di Piero, dubitò, eziandio se gli facessi beneficio, non potersene mai piú fidare; e però, privato Piero del soccorso suo, fu favorito da' viniziani soli, non con quelle forze che aveva desiderato. Pure confidandosi negli amici con chi aveva praticato, nell'avere una signoria di uomini beneficiati dalla casa sua, ma sopra tutto in sapere quanto molti cittadini fussino male contenti, e come la plebe ed e' contadini per essere affamati desideravano mutazione; e sperando, come si appressassi alle porte, che la moltitudine avessi a levare in capo e richiamarlo (disegni tutti in aria e fondati in sulla speranza che communemente hanno gli usciti, che sempre si dànno ad intendere avere amici e parte assai nella città) ne venne, come di sopra è detto, volonterosamente alle porte a tempo di Bernardo del Nero gonfaloniere; e benché in su questa sua venuta fussi publica opinione che avessi pratica in Firenze, nondimeno, perché non se n'aveva certezza alcuna e perché gli animi erano inviluppati nelle quistione di fra Ieronimo, la cosa si sopí insino allo agosto sequente. Nel quale tempo Lamberto della Antella che per avere scritto a Piero, aveva piú anni innanzi avuto bando di rubello, sendo a Roma ed avendo astutamente compreso le pratiche aveva tenute Piero in Firenze, o perché si tenessi male contento di lui, o perché ne sperassi la restituzione nella patria e qualche guadagno, secondo la maligna natura sua, scrisse a Firenze a qualche particulare cittadino, e credo a messer Francesco Gualterotti, che se gli fussi dato salvocondotto verrebbe a rivelare cose di importanza. La quale cosa andando in lunga, venne ultimamente in sul nostro; di che avendosi notizia, fu preso, ed avuto della fune, mostrò qualche spiraglio donde si potessi trarre notizia di tutta la pratica; e parendo cosa di grandissima importanza, la signoria deputò circa a venti cittadini, e' quali in citare, esaminare e ritrovare questa cosa potessino usare tutta la autorità sua. Ed essendosi dato principio, furono chiamati e sostenuti Bernardo del Nero, Niccolò Ridolfi, Lorenzo Tornabuoni, Giannozzo Pucci e Giovanni Cambi; molti altri furono citati, e' quali sendo alle ville non comparirono, che furono Pandolfo Corbinelli, Gino di Lodovico Capponi, Piero di messer Luca Pitti, Francesco di Ruberto Martelli detto el Tinca, Galeazzo Sassetti, Iacopo di messer Bongianni Gianfigliazzi; fu nominata ancora madonna Lucrezia moglie di Iacopo Salviati e figliuola di Lorenzo de' Medici, la quale fu guardata in casa Guglielmo de' Pazzi. E procedendosi nella esamina, furono detti cinque esaminati colla fune: ed in effetto si ritrasse come Giannozzo e Lorenzo Tornabuoni avevano avute e scritte molte lettere a Piero, datogli aviso delle cose della città e confortatolo a fare impresa di ritornare con favore della lega; e nella venuta di fra Mariano essersi molto impacciato e parlato con seco delle medesime cose Niccolò Ridolfi ed averne conferito a Bernardo del Nero gonfaloniere, el quale solo aveva avuta questa notizia, ma non aveva già scritto, né consigliato, né parlato, né operato nulla; avere avuto notizia ed essersi operata in simili modi, madonna Lucrezia, sanza saputa di Iacopo suo marito dal quale si era molto guardata; Giovanni Cambi e quegli erano fuggiti, avere fatti in simili effetti diversi errori. Le quali cose riscontre e ferme bene, deputata una pratica di circa a dugento cittadini, si cominciorono a consultare queste cose. Erano innanzi negli uomini diversi pareri ed opinione; quegli arebbono voluti e' Medici in Firenze, desideravano la salute loro, e questi erano pochi e quasi tutti di poca qualità, e se alcuni vi erano di conto non arebbono avuto ardire a parlare; erano alcuni a chi el manomettere tanti uomini da bene pareva cosa di molto momento, e che lo insanguinarsi avessi a essere principio grande di guastare la città: alcuni mossi da misericordia da particulare amicizia tenevano con qualcuno di loro, arebbono voluto scampargli, fra' quali era messer Guidantonio Vespucci ed e' Nerli, a chi doleva perdere Bernardo del Nero capo della parte loro contro el frate. Da altro canto, tutti quegli che si erano pe' tempi passati scoperti inimici de' Medici, eccetti e' Nerli, avendo paura grande della intornata loro, tutti quegli a chi piaceva el vivere populare ed el presente governo, uniti in grandissimo numero volevano tôrre loro la vita. Di questi era fatto capo Francesco Valori el quale, o perché si vedessi battezzato inimico a' Medici, o perché volessi mantenere el consiglio nel quale gli pareva essere capo della città, o come fu poi publica voce, per levarsi dinanzi Bernardo del Nero, uomo che solo era atto a essergli riscontro ed a impedire la sua grandezza, vivamente gli perseguitava. E benché avessi dolore della morte di Lorenzo Tornabuoni e volentieri l'avessi voluto salvare, nondimeno considerando che Lorenzo aveva errato quasi piú che niuno altro, e che, salvando lui, bisognava salvare gli altri, poté tanto piú in lui questa passione, che si era risoluto al tutto vederne la fine. Ragunata adunque la pratica, parlò molto fieramente pe' gonfalonieri di compagnia messer Antonio Strozzi, mostrando che e' trattati contro alla libertà della città erano di natura che secondo le legge aveva a perdere la vita non solo chi gli operava, ma ancora chi gli sapeva e non ne dava notizia. E doppo lui nella medesima sentenzia sendo parlato da Bernardo di Inghilese Ridolfi in nome de' dodici, benché ne fussi Piero di Giuliano Ridolfi consorto di Niccolò; e cosí quasi seguitando gli altri magistrati, messer Guido destramente aiutò la causa loro dimostrando che e' delitti loro erano vari, e che chi aveva operato piú e chi meno ed in diversi modi, e chi solo aveva saputo e non operato, e però che si voleva affrontare insieme le legge e gli statuti della città, e considerare bene che pena meritassino, e se una medesima o diversa, ricordando che trattandosi d'una cosa di pregiudicio irreparabile, come è la vita dell'uomo, non si dovessi fare carestia di tempo. Lo effetto di questa pratica fu che quasi per tutti unitamente si conchiuse che e' fussi tagliato loro el capo; e cosí sendo, el dí sequente giudicati per partito della signoria, e per comandamento loro, dagli otto, fu dimandato da' congiunti loro l'appello, secondo la legge fatta nel 94, ed osservato in Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e gli altri. Sopra la quale dimanda non si accordando la signoria, e ragunata di nuovo la pratica, e consigliando alcuni che si osservassi la legge, quasi tutti consigliorono el contrario, dicendo che nello indugio sarebbe pericolo che el popolo non si levassi, e quando si dubita di tumulto, che secondo la legge commune si sogliono tôrre via gli appelli. Capi di questa risoluzione erano Francesco Valori, capo di tutti, Guglielmo de' Pazzi, messer Francesco Gualterotti, messer Luca e Piero Corsini Lorenzo Morelli, Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Bernardo Nasi Antonio Canigiani, Luca d'Antonio degli Albizzi, Carlo Strozzi. E finalmente faccendo la pratica questa conclusione, ed essendo piú volte proposta nella signoria da Luca Martini che era Proposto, vi erano solo quattro fave nere, quella del gonfaloniere, di Luca di Tommaso, di Niccolò Giovanni e di Francesco Girolami, gli altri cinque che erano Piero Guicciardini, Piero d'Antonio di Taddeo, Niccolò Zati, Michele Berti e Bernardo Neretti, apertamente la contradivano. Per la qual cosa non si vincendo, poi che nella pratica furono dette, e sanza frutto alcuno, molte parole perché la signoria vi concorressi in ultimo Francesco Valori levatosi furiosamente da sedere, e dicendo che o morrebbe egli o morrebbero loro, concitò con la autorità sua tanto tumulto, che molti, inanimiti, cominciorono a svillaneggiare e minacciare la signoria, fra' quali Carlo Strozzi prese pella veste Piero Guicciardini e minacciollo di gittare a terra dalle finestre, perché gli pareva che essendo Piero di piú autorità che alcuno de' compagni, rimosso lui, la cosa fussi fatta. Veduto adunque tanto tumulto, di nuovo si cimentò el partito e si vinse con sei fave nere; perché Niccolò Zati ed uno degli artefici, o impauriti di loro propri, o dubitando non si facessi qualche maggiore disordine, calorono. Piero Guicciardini, Piero d'Antonio di Taddeo e l'altro artefice stettono tuttavia fermi e constanti; e cosí vinto el partito, la notte medesima di quivi a poche ore, fattigli prima confessare, fu a tutti a cinque tagliato el capo. Questo fine e tanto inopinato ebbono questi cinque cittadini de' quali alcuni erano de' capi della città nostra. Giovanni Cambi era di poca autorità, ed amico de' Medici non per conto de' maggiori suoi o per dependenzia di stato, ma per essere stato nella faccende di Pisa con loro, e di poi, essendo impoverito per la rubellione di Pisa, era entrato in questo farnetico. Giannozzo era giovane di grande ingegno, e molto d'assai, ed ancora di buone facultà, ma tutto di Piero per conto di Antonio di Puccio suo padre e degli altri suoi maggiori, e per essere poi stato compagno di Piero; inoltre, perché per rispetto di non essere la casa nobile, ed avere poca grazia nel popolo rispetto a' cattivi portamenti del suo padre, vedeva non potere avere molto corso a questo governo, desiderava la ritornata di Piero. Altri stimoli avevano mosso Lorenzo Tornabuoni, al quale, sendo giovane pieno di nobiltà e di gentilezza, non mancava grazia e benivolenzia universale di tutto el popolo, e piú che a alcuno della età sua; ma oltre al parentado che aveva con Piero suo carnale cugino, e la potenzia si gli mostrava in quello governo lo essere uomo magnifico ed avere speso assai, ed aviluppato e' fatti suoi nel sindacato de' Medici, l'aveva messo in tanto disordine che sarebbe di corto fallito, e però cercava travaglio per rassettarsi e riaversi; aggiugnevasi che, parendogli che el consiglio non fussi per durare, dubitò non diventassino capi della città Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, a' quali era inimicissimo e gli temeva; e però volle prevenire. A Niccolò non mancava facultà; né anche, se si fussi voluto accommodare, come Pierfilippo e degli altri, non gli sarebbono, secondo el corso di questo vivere, mancati onori e riputazione; ma perché Piero suo figliuolo aveva per moglie la Contessina sorella di Piero de' Medici, e per questo conto era suto all'altro stato potentissimo, mosso da ambizione e non contento a quello potessi avere di presente, cercando meglio, trovò uno fine non conveniente alla sua prudenzia e costumi, non alla nobiltà della famiglia sua, non agli onori, dignità, autorità e potenzia che aveva avuta, da compararsi a qualunque altro cittadino de' tempi sua. Bernardo del Nero era vecchissimo, sanza figliuoli e con buone facultà, e per queste qualità e per gli onori grandissimi che aveva avuti, e per la prudenzia di che era e meritamente tenuto, era di tanta autorità che parve solo atto piú che alcun altro a esser fatto capo di parte ed opposto a Francesco Valori; e benché in questo vivere avessi tanta riputazione, nondimeno non gli piaceva el consiglio, o perché avessi avuto quattrocento ducati di balzello, cosa disonestissima, o perché fussi assueto allo stato vecchio, né si sapessi recare a quella equalità e popularità che bisogna in uno simile governo, o perché gli bisognassi satisfare alle volontà di quegli che gli davano seguito. Nondimeno lo intento suo era di fare capi e' figliuoli di Pierfrancesco, non di rimettere Piero de' Medici; benché in ultimo avendo prestato orecchi alle parole di Niccolò, e parendogli che el suo primo disegno fussi molto difficile, desiderassi, come cosa facile, piú la ritornata di Piero, che vivere sempre in quello modo; nondimeno fu sí piccolo lo errore suo, che a ogni modo sarebbe campato, se non fussi suto lo odio in che si trovava con Francesco Valori, ed el desiderio che Francesco aveva levarsi dinanzi questo concorrente. Di qui nacque che Francesco sí immoderatamente dissuase lo apello, dubitando che la grazia sua e la fede soleva avere col popolo non fussi tanta che, aggiunta allo errore piccolo, lo facessi assolvere. La morte di costoro ne' quali era ricchezze, potenzia, autorità e tanto parentado, con grazia grande a favore dello universale, può essere esemplo a tutti e' cittadini, che quando stanno bene ed hanno la parte ragionevole delle cose, stieno contenti e non vogliano cercare el meglio, perché el piú delle volte si percuote in terra, e se pure vogliono tentare cose nuove, ricordinsi pigliare imprese di natura da riuscire, e che non sieno contro a uno popolo, perché non si può vincere avendo tanti inimici; ed abbino sempre a mente, che el fine di queste imprese è o conseguire el suo disegno, o veramente perderne la vita, ed almeno la patria e la città; e pensino bene che quando sono scoperti ed in pericolo, la grazia ed el favore universale è un sogno: el popolo comincia a intendere tutte cose in loro carico, alcune vere e molte false; loro se si vogliono giustificare, o non sono uditi o non sono creduti; per la qual cosa la benivolenzia si converte in odio e ciascuno gli vuole crucifiggere; e' parenti e gli amici tutti lo abbandonano e non si vogliono mettere per lui a pericolo, anzi molte volte per giustificare sé, si fanno innanzi a perseguitarlo, la autorità e la potenzia passata gli è nociva, perché ognuno dice: «e' gli sta molto bene, che gli mancava egli? ch'è egli ito cercando?» Cosí intervenne a questi cinque, contro a' quali el popolo tanto mormorava, che è verissimo che mai non arebbono vinto lo appello, benché poi qualche mese, passata quella furia, allo universale dolessi la morte loro; ma questo non basta a rendere loro la vita. E certo, se chi governava la città si fussi assicurato a lasciare loro usare el beneficio della legge, sarebbe stato uno giudicio molto giustificato e di grande riputazione per la città e sanza carico suo; ma chi troppo desidera, sempre teme ed ha sospetto. Morti questi cittadini, quegli che erano fuggiti furono confinati pel contado alle loro possessioni, chi per dieci anni e chi per cinque secondo e' delitti loro; e nondimeno la maggiore parte furono fra uno anno o due restituiti, e dettono esemplo a chi ha errato, che piú tosto fugga che comparisca; perché se fussino compariti erano morti ed e converso quegli altri se fussino fuggiti, oltre al salvare la vita, non sarebbono anche stati dichiarati rubelli, né perduto la robe. Madonna Lucrezia di Iacopo Salviati fu liberata, massime per opera di Francesco Valori, el quale voleva bene a Iacopo, e gli pareva anche cosa brutta toccare una donna. E cosí, fatto questo giudicio e morto Bernardo del Nero, Francesco Valori rimase assolutamente capo della città insino alla morte sua, avendo seguito massime da tutta la parte del frate in genere, e di poi in particulare da un numero di cittadini, e' quali si volgevano a' cenni sua: messer Francesco Gualterotti, Bernardo ed Alessandro Nasi, Antonio Canigiani, Pierfrancesco e Tommaso Tosinghi, Alessandro Acciaiuoli e simili; per la grandezza del quale sendo impaurito Pierfilippo Pandolfini suo inimico, e molto piú sbigottito ed aghiadato per la morte di questi cinque, ammalato pochi di poi doppo la morte loro, morí. Cosí confermato per questo severo giudicio el vivere populare, fu messo per sicurtà dello stato alla piazza de' Signori una guardia da fanterie, la quale vi stette di poi insino a' casi del frate. Nel medesimo anno 1497, e del mese di gennaio overo di febraio, sendo gonfaloniere di giustizia Giuliano Salviati, fra Ieronimo che per conto della scomunica da giugno insino a allora non aveva predicato, benché in San Marco avessi sempre celebrato e dimostrato non temerla, veduta raffreddarsi la opera sua, ed anche avendo una signoria ed uno gonfaloniere a suo proposito, e' quali non l'avevano a impedire, cominciò a predicare publicamente in Santa Liperata, affermando con moltissime colorate ragioni non essere obligato a osservare e temere questa scomunica. Per la quale cosa, sendo molto ridesti gli umori e la divisione nata per conto suo, che, nel non predicare lui, era un poco sopita, el papa udita la disubbidienzia sua e sdegnatone, sendo ancora instigato per opera di molti preti e cittadini nostri, mandò una raggravatoria ed uno comandamento, che nessuno l'andassi a udire sotto pena della medesima escomunicazione. Di che sendo molto diminuiti gli auditori, ed el capitolo di Santa Liperata non volendo sopportare che e' predicassi quivi, si ridusse, per fuggire scandolo, a predicare in San Marco; dove predicando, fu creata per marzo ed aprile la signoria nuova, della quale fu gonfaloniere Piero Popoleschi, ed avendovi el frate poca parte, benché ne fussi Lanfredino Lanfredini ed Alessandro di Papi degli Alessandri sua fautori, venne lettere molto calde dal papa alla signoria che proibissino el predicare al frate. Sopra le quali sendosi tenuta una grandissima pratica, e fattone grandi dispute e contese finalmente molti piú consigliorono che non si lasciassi predicare; e cosí gli comandò la signoria e lui ubbidí, lasciando pure a predicare in luogo suo in San Marco fra Domenico da Pescia, ed altri de' suoi frati in altre chiese. Erano gli avversari suoi molto piú potenti che l'usato, per piú cagione: prima perché gli è lo ordinario de' popoli, quando hanno un pezzo favorito una cosa, voltare, eziandio sanza ragione, mantello; di poi per conto della scomunica, la quale gli aveva alienati molti che lo solevano seguitare, fattigli inimici tutti quegli che solevano stare neutrali e di mezzo, parendo loro cosa grande e non conveniente a buoni cristiani non ubbidire a' comandamenti del papa; apresso e' capi della parte contraria, vedendo che molti giovani da bene, animosi, fieri ed in sull'arme erano inimici di questo frate, gli avevono ristretti insieme, e fattane una compagnia chiamati e' Compagnacci, di che era signore Doffo Spini, e' quali spesso facevano cene e ragunate. E perché erano di buone casa ed in sull'arme, tenevano in timore ogniuno, in modo che Paolantonio Soderini che svisceratamente favoriva el frate, per avere patto con loro se venissi caso avverso, vi aveva fatto entrare Tommaso suo figliuolo. Per le quali cose fra Ieronimo andava in declinazione, insino a tanto che per nuovo modo si terminò el caso suo, come di sotto immediate si dirà. XVI PROCESSO, CONDANNA ED ESECUZIONE DI GEROLAMO SAVONAROLA (1498). GIUDIZIO SU DI LUI. 1498. Seguitò lo anno 1498 anno gravissimo e pieno di molti e vari accidenti, al quale dette principio la ruina di fra Girolamo; perché sendosi lui per comandamento della signoria astenuto dal predicare, e parendo un poco raffredda la persecuzione che aveva grandissima da religiosi e da secolari, nacque da uno principio piccolo la alterazione del tutto. Aveva fra Domenico da Pescia suo compagno nello ordine di San Marco, uomo semplice e riputato di buona vita e che nel predicare le cose future seguitava lo stile di fra Girolamo, circa a due anni innanzi, predicando in Santa Liperata detto in sul pergamo che, quando fussi necessario al provare la verità di quello predicevano, susciterebbono uno morto, ed entrerebbono nel fuoco uscendone per grazia di Dio inlesi; ed avevalo poi replicato fra Girolamo. Di che non si sendo poi parlato insino a questo tempo uno fra Francesco dello ordine di San Francesco Osservante, che predicava in Santa Croce e molto detestava le cose di fra Girolamo, cominciò a dire predicando, che per mostrare tanta falsità era contento si facessi uno fuoco in sulla piazza de' Signori, e di entrarvi lui, entrandovi ancora fra Girolamo; e che era certo che lui arderebbe, ma cosí ancora fra Girolamo; e cosí si mostrerrebbe non essere in lui verità, avendo tante volte innanzi promesso di escire del fuoco inleso. Fu questa cosa riferita a fra Domenico che predicava in luogo di fra Girolamo, e però in pergamo accettò lo invito, offerendo non fra Ieronimo ma sé parato a questo esperimento. La quale cosa piacendo a molti cittadini dell'una parte e della altra, che erano desiderosi queste divisione si spegnessino, e si uscissi un giorno di tante ambiguità, cominciorono a tenere pratica con tutt'a dua e' predicatori che si venissi allo atto di questo esperimento, e finalmente doppo molti ragionamenti si conchiuse, tutti e' frati di concordia, che si facessi uno fuoco, nel quale per la parte di fra Girolamo dovessi entrare uno frate del suo ordine, sendo rimesso in sua elezione chi e' dovessi essere, ed el simile per la altra parte un frate dello ordine di San Francesco, quale fussi eletto da' sua superiori. Ed essendosi terminato el dí, ebbe fra Girolamo licenzia dalla signoria di predicare, e predicando in San Marco dimostrò di quanta importanza erano e' miracoli, e che non si adoperavano se non per necessità, e quando le ragione ed esperienzie non bastavano; e però che essendosi provata la fede cristiana con infiniti modi, la verità delle cose predette da lui con tanta efficacia, e con tanta ragione, che chi non era ostinato nel male vivere, ne poteva molto bene essere capace che e' non s'era proceduto a' miracoli per non tentare Dio. Nondimeno poiché ora erano provocati, che volentieri accettavano, certificando ognuno che entrandosi nel fuoco, lo effetto sarebbe che el loro frate ne uscirebbe vivo ed al tutto inleso, e pel contrario l'altro arderebbe; e quando altrimenti seguissi, che e' dicessino audacemente, che lui avessi predicato el falso; soggiugnendo che non solo a' frati sua, ma a qualunque vi entrassi in defensione di questa verità, accadrebbe el medesimo; e dimandando se, bisognando, per augumento di una tanta opera ordinata da Dio, vi entrerrebbono. Alla quale dimanda fu risposto con grandissima voce quasi da ognuno che sí: cosa stupenda a pensarla, perché sanza dubio moltissimi, se fra Ieronimo l'avessi detto loro, vi sarebbono entrati. E finalmente el dí diputato, che fu a dí... di aprile, che fu el sabbato innanzi la domenica dello ulivo, sendosi in sul mezzo della piazza de' Signori fatto un palchetto pieno di moltissime legne, vennono e' frati di San Francesco all'ora ordinata in piazza, ed entrorono sotto la loggia de' signori; di poi e' frati di San Marco, fra' quali erano molti parati, cantando el salmo Exsurgat Dominus et dissipentur inimici eius, e con loro fra Ieronimo col corpo di Cristo in mano, a riverenzia del quale erano moltissimi torchi portati da alcuni frati e da moltissimi secolari, e fu la venuta loro sí piena di divozione e cosí demostrativa che venissino allo esperimento con grandissimo animo, che non solo confermò e' partigiani sua, ma etiam fece balenare gli inimici Entrati adunche ancora loro sotto la loggia, divisi però con uno assito da' frati di San Francesco, cominciò a nascere qualche difficultà circa e' panni avessi a portare fra Domenico da Pescia che aveva a entrare nel fuoco perché e' frati di San Francesco temevano di incanti e malie. Nelle quali non concordandosi, la signoria mandò piú volte a praticare lo accordo due cittadini per parte, che furono messer Francesco Gualterotti, Giovambatista Ridolfi, Tommaso Antinori e Piero degli Alberti, e' quali avendo ridotta la cosa in termine da conchiuderla, menorono e' capi de' frati in palagio, e quivi preso forma a queste difficultà, e stipulatone el contratto e già partendosi per dare esecuzione allo esperimento, venne agli orecchi de' frati di San Francesco, come fra Domenico aveva a entrare nel fuoco col corpo di Cristo in mano. La quale cosa cominciorono fieramente a recusare mostrando che se quella ostia ardeva sarebbe mettere in scandolo e pericolo gravissimo tutta la fede di Cristo, e da altra parte, instando fra Girolamo di volere che la portassi, la fine che fu che doppo molti dibattiti, sendo ognuno ostinatissimo nella opinione sua e non vi sendo forma a concordargli, sanza accendere non che altro le legne, se ne ritornorono a casa. E benché fra Girolamo montassi subito in pergamo e dimostrassi che el difetto era venuto da' frati di San Francesco, e che la vittoria era per loro, nondimeno parendo a molti che questa difficultà del corpo di Cristo fussi stata piú tosto cavillazione che legittima cagione, assai degli amici sua in quel giorno si alienorono, e lo universale gli diventò inimicissimo, in forma che el dí sequente, sendo molto delusi e svillaneggiati dal popolo per le vie publiche e' fautori sua, e gli inimici molto ingagliarditi per avere el concorso dello universale, l'appoggio de' compagnacci colle arme in mano, e trovarsi in palagio una signoria a loro proposito, accadde che el dí, in Santa Liperata, avendovi doppo desinare a predicare un frate di San Marco si levò quasi fortuitamente uno tumulto, el quale multiplicando per la città, come accade quando gli uomini sono sollevati e gli animi sospesi e pieni di sospetto, gli inimici del frate ed e' compagnacci presono le arme, e cominciorono a voltare el popolo a San Marco. Nel quale trovandosi molti frateschi al vespro, cominciorono con sassi e colle arme a difenderlo benché non fussi stretto, e voltasi da un altro canto la furia e la moltitudine a casa Francesco Valori e combattendola perché era difesa da quegli di casa, la moglie di Francesco, figliuola di messer Giovanni Canigiani, faccendosi alla finestra fu ferita da uno verrettone nella testa, del quale colpo subito morí. Entrata di poi la turba in casa, fu trovato Francesco in una soffitta, e chiedendo di grazia di essere menato vivo in palagio, fu cavato di casa, e dirizzandosi verso el palagio, accompagnato da uno mazziere, ed essendo andato pochi passi, fu assalito e quivi subito morto da Vincenzio Ridolfi, Simone Tornabuoni, in vendetta di Niccolò Ridolfi e Lorenzo Tornabuoni loro consorti, e da Iacopo di messer Luca Pitti sviscerato della parte contraria, benché lui gli dessi a tempo ed era già morto. Cosí si mostrò in Francesco Valori uno esemplo grandissimo di fortuna, che essendo poco innanzi, di autorità seguito e grazia sanza dubbio el primo uomo della città, subito voltò mantello: gli fu in uno dí medesimo saccheggiata la casa, morta a' suoi occhi veggenti la moglie, e lui si può dire in uno istante medesimo morto vituperosamente dagli inimici sua: in modo che da molti fu imputato che Dio l'avessi voluto punire d'avere pochi mesi avanti a Bernardo del Nero e gli altri cittadini di tanta autorità, stati già lungo tempo amici sua e di uno stato medesimo, negato lo appello da una sentenzia della vita; beneficio introdotto da una legge nuova e conceduto a Filippo Corbizzi, Giovanni Benizzi e gli altri a chi si sarebbe, rispetto alle qualità e meriti loro, tolto con meno biasimo e cosí, mutata la condizione, fu morto da e' parenti di quegli. E dove loro, benché morti sanza lo appello avevano pure avuto facultà di dire le ragione loro, ed erano stati condennati colle sentenzie de' magistrati e co' modi civili, ed in ultimo avuto spazio pigliare e' sacramenti della Chiesa e morire come cristiani, costui fu tumultuosamente morto da privati, sanza potere non che altro parlare, ed in sí subito tumulto e repentina ruina, che non ebbe tempo di cognoscere non che di considerare la ruina e calamità sua. Fu Francesco uomo molto ambizioso ed altiero, e tanto caldo e vivo nelle opinioni sua, che le favoriva sanza rispetto, urtando e svillaneggiando tutti quegli che si gli opponevano; da altro canto fu uomo savio e tanto netto circa la roba ed usurpare quello di altri, che pochi cittadini di stato sono suti a Firenze simili a lui, vòlto molto e sanza rispetto al publico bene. Per le quali virtú, aggiunte alla nobilità della casa ed al non avere figliuoli ebbe un tempo favore e credito grandissimo col popolo; ma dispiacendo di poi la sua stranezza ed el riprendere e mordere troppo liberamente in una città libera, si convertí in carico, di natura che facilitò assai la via, agli inimici del frate ed a' parenti de' cinque a chi fu tagliato el capo, di amazzarlo. Morto Francesco Valori, e saccheggiatagli prima la casa, si voltò el furore populare a casa Paolantonio Soderini, el quale doppo Francesco era insieme con Giovan Batista Ridolfi primo di quella parte; ma vi concorsono molti uomini da bene, apresso a chi non era in odio Paolantonio come Francesco, e la signoria vi mandò a riparare, in forma che si raffrenò quello impeto; el qual se non fussi stato spento, si sarebbe sfogato con grandissimo detrimento ed alterazione universalmente della città e ruina privatamente di tutti e' capi de' frateschi. Di poi ritornando la moltitudine a San Marco dove si faceva difesa assai gagliarda, fu, credo con una balestra, cavato lo occhio a Iacopo de' Nerli che era in quello tumulto capo contro al frate ed aveva seguito grandissimo di tutti e' giovani che avevono le arme, e di molti male contenti; e finalmente doppo spazio di piú ore, entrati per forza in San Marco, ne menorono presi in palagio fra Girolamo, fra Domenico e fra Silvestro... da Firenze, el quale, se bene non predicava, era intimo di fra Ieronimo, e si reputava conscio d'ogni suo segreto. E posate per questa vittoria le arme, sendo transferita la riputazione e la potenzia dello stato negli inimici del frate, si volsono alla sicurtà delle cose presente, e perché quella parte aveva poca fede ne' dieci e negli otto, perché erano tenuti piagnoni, che cosí si chiamavano allora e' frateschi, chiamato el consiglio grande, si creorono e' dieci e gli otto nuovi, che furono tutti uomini confidati a chi aveva el governo; e degli otto fu fatto Doffo Spini signore e capo de' campagnacci, e de' dieci Benedetto de' Nerli, Piero degli Alberti, Piero Popoleschi, Iacopo Pandolfini e simili sviscerati di quella fazione. In che è da notare, che sendo capi loro messer Guido, e Bernardo Rucellai, ed avendo piú autorità e seguito che alcuni altri, e quegli che avevano segretamente condotta questa piena contro a' frateschi, andando a partito pe' dieci, non ne rimase nessuno; ma furono nel loro quartiere scavallati da Giovanni Canacci e Piero Popoleschi; in modo che considerato quanto sieno fallaci e' giudici de' popoli, e quanta fatica e pericolo avessino preso sanza alcuno frutto, certo furono, come di sotto si dirà, piú caldi a conservare e' cittadini della altra parte Furono di poi deputati circa a venti cittadini alla esamina di fra Ieronimo e de' compagni, tutti e' piú fieri degli inimici sua, e finalmente avendogli dato, sanza licenzia però del papa, qualche tratto di fune, doppo spazio di piú dí ordinato uno processo, publicorono in consiglio grande quello dicevano averne ritratto, soscritto da e' vicari di Firenze e di Fiesole e da alcuni de' primi frati di San Marco, e' quali sendo presenti, era stato letto a fra Girolamo detto processo, e dimandato se era vero, lui affermò dicendo che quello che era scritto era vero. La somma delle conclusioni piú importanti fu in questo effetto: che le cose aveva predette non le avere da Dio né per revelazione o mezzo alcuno divino, ma essere stata sua invenzione propria sanza participazione o saputa di alcuno seculare o frate, averlo fatto per superbia ed ambizione, ed essere stato lo intento suo di fare convocare uno concilio da e' principi cristiani, dove si deponessi el pontefice e si reformassi la Chiesa, e che se fussi suto fatto papa l'arebbe accettato; nondimeno che aveva molto piú caro che una tanta opera si conducessi per le mani sue che essere papa, perché papa può essere ogni uomo, eziandio da poco, ma capo ed autore di simile opera non può essere se non eccellentissimo; avere disegnato da se medesimo che, per fermezza del governo della città, si creassi uno gonfaloniere di giustizia a vita o per uno tempo lungo, e che gli pareva a proposito piú che alcuno altro Francesco Valori, ma gli dispiaceva la sua natura e modi strani; e doppo lui Giovan Batista Ridolfi, ma gli dava noia el troppo parentado che lui aveva; non avere messo innanzi lo esperimento del fuoco, ma essere stato fra Domenico sanza sua volontà, e lui averlo acconsentito per non potere con suo onore contradirlo, ed anche sperando che e' frati di San Francesco spaventati avessino a tirarsene indrieto; e quando pure si venissi allo atto, confidandosi che el corpo di Cristo portato in mano dal suo frate lo salverebbe. Queste fuorono le conclusione di suo carico; l'altre piú tosto cose in sua giustificazione perché dimostravano, dalla superbia in fuori, non essere stato in lui vizio alcuno, ed essere stato nettissimo di lussuria, avarizia e simili peccati, ed inoltre non avere tenuto pratica di stato né co' principi di fuora, né drento con cittadini. Publicato questo processo, si pose la punizione sua da parte per qualche dí, perché el papa, avendo intesa la presura sua e di poi la confessione, ed essendogli stata gratissima, aveva mandato la assoluzione non solo a' cittadini che l'avevano esaminato sanza licenzia ecclesiastica, ma ancora a quegli che contro al comandamento apostolico avevano udite le predicazioni sue; e di poi chiesto che fra Ieronimo gli fussi mandato a Roma. La qual cosa fu negata, non parendo secondo l'onore della città usare officio di bargello; e però ultimamente diputò el generale dello ordine di San Domenico ed un messer Romolino spagnuolo, che fu poi creato da lui cardinale, commessari apostolici a venire a Firenze a esaminare fra Ieronimo ed e' compagni. E' quali aspettandosi, si cominciò a trattare la causa de' cittadini che erano stati fautori della parte sua, ne' quali benché non si trovassi secondo la esamina di fra Ieronimo delitto nessuno, né pratica tenuta contro allo stato, nondimeno el grido della moltitudine era loro contro, ed inoltre molti cittadini maligni che si trovavano in palagio e nelle pratiche, gli volevano manomettere; fra' quali Franceschino degli Albizzi, che el dí che fu morto Francesco Valori, venuto alla signoria disse: «le signorie vostre hanno inteso quello che è seguito di Francesco Valori; che comandano che si facci ora di Giovan Batista Ridolfi e di Paolantonio?» Quasi dicendo: "se voi volete, noi andremo a amazzarlo". Da altra parte messer Guido, Bernardo Rucellai, e' Nerli e quegli che in fatto erano e' capi, confortavano largamente la conservazione loro, mossi massime, secondo fu opinione di molti, perché avevano creduto che battendo el frate fussi rovinato el consiglio grande e però gli avevano sí caldamente operato contro; ma di poi ne restorono ingannati, e veddono che molti de' loro sequaci, ed in spezie e' compagnacci, ed universalmente tutto el popolo voleva conservare el consiglio. E però non vollono sanza frutto alcuno e sanza acquistarne stato, manomettere e' cittadini; e massime avendo messer Guido e Bernardo cognosciuto nella creazione de' dieci quanto fondamento potessino fare nel favore populare; e fu parola di Bernardo, che tutti gli errori fatti in queste materie si volevano levare da' cittadini e caricarne el frate. Conchiusesi adunche, doppo qualche disparere e contesa, la loro salute; condennando però per satisfazione del popolo Giovan Batista, Paolantonio ed alcuni altri capi a prestare certe somme di danari. E cosí si quietò questa parte; e Giovan Batista e Paolantonio, che per consiglio degli amici loro e per purgare la invidia col popolo si erano assentati, si tornorono in Firenze. Creossi di poi la signoria nuova, che ne fu gonfaloniere Vieri de' Medici, e de' signori messer Ormannozzo Deti, Pippo Giugni, Tommaso Gianni ed altri; a tempo de' quali sendo venuti e' commessari da Roma ed avendo di nuovo esaminato fra Ieronimo e gli altri, finalmente furono tutti a tre condannati al fuoco; ed a dí... di maggio prima degradati in sulla piazza de' Signori, vi furono di poi impiccati ed arsi con tanto concorso di popolo, quanto non soleva essere alle predicazione. E fu giudicato cosa mirabile che nessuno di loro, massime fra Ieronimo, non dicessi in tanto caso nulla publicamente o in accusazione o in escusazione sua. Cosí fu vituperosamente morto fra Girolamo Savonarola, del quale non sarà fuora di proposito parlare piú prolissamente delle qualità sua; perché nella età nostra, né anche e' nostri padri ed avoli non viddono mai uno religioso sí bene instrutto di molte virtú né con tanto credito ed autorità quanto fu in lui. Confessano eziandio gli avversari suoi, lui essere stato dottissimo in molte facultà, massime in filosofia, la quale possedeva sí bene e se ne valeva sí a ogni suo proposito, come se avessi fattala lui; ma sopra tutto nella Scrittura sacra, in che si crede, già qualche secolo, non essere stato uomo pari a lui; ebbe uno giudicio grandissimo non solo nelle lettere, ma ancora nelle cose agibile del mondo, negli universali delle quali si intese assai. come a giudicio mio dimostrano le prediche sue; nella quale arte trapassò con queste virtú di gran lunga gli altri della età sua, aggiugnendosigli una eloquenzia non artificiosa e sforzata, ma naturale e facile, e vi ebbe drento tanta audienzia e credito, che fu cosa mirabile, avendo predicato tanti anni continuamente non solo le quaresime, ma molti dí festivi dello anno in una città piena di ingegni sottilissimi ed anche fastidiosi. e dove e' predicatori, benché eccellenti, sogliono al piú lungo termine da una quaresima o due in là, rincrescere, e furono in lui sí chiare e manifeste queste virtú, che vi concordano drento cosí gli avversari suoi come e' fautori e seguaci. Ma la quistione e differenzia resta circa la bontà della vita in che è da notare che se in lui fu vizio, non vi fu altro che el simulare causato da superbia ed ambizione; perché chi osservò lungamente la vita ed e' costumi sua, non vi trovò uno minimo vestigio di avarizia, non di lussuria, non di altre cupidità o fragilità, ed in contrario una dimostrazione di vita religiosissima, piena di carità, piena di orazioni, piena di osservanzia, non nelle corteccie ma nella medolla del culto divino: e però nelle esamine sua, benché e' calunniatori con ogni industria lo cercassino, non vi si trovò in queste parte da notare uno minimo difettuzzo. Le opere fatte da lui circa l'osservanzia de' buoni costumi furono santissime e mirabile, né mai in Firenze fu tanta bontà e religione, quanta a tempo suo; la quale doppo la morte sua scorse in modo, che manifestò ciò che si faceva di bene essere stato introdotto e sustemato da lui. Non si giucava piú in publico, e nelle casa ancora con timore; stavano serrate le taverne che sogliono essere ricettaculo di tutta la gioventú scorretta e di ogni vizio, la soddomia era spenta e mortificata assai; le donne, in gran parte lasciati gli abiti disonesti e lascivi; e' fanciulli, quasi tutti levati da molte disonestà e ridutti a uno vivere santo e costumato; ed essendo per opera sue sotto la cura di fra Domenico ridutti in compagnie, frequentavano le chiese, portavano e' capelli corti, perseguitavano con sassi e villani gli uomini disonesti e giucatori e le donne di abiti troppo lascivi; andavano per carnasciale congregando dadi carte, lisci, pitture e libri disonesti, e gli ardevano publicamente in sulla piazza de' Signori faccendo prima in quello dí, che soleva essere dí di mille iniquità, una processione con molta santità e divozione; gli uomini di età tutti vòlti alla religione, alle messe, a' vespri, alle prediche, confessavansi e communicavansi spesso; ed el dí di carnasciale si confessava uno numero grandissimo di persone; facevasi molte elemosine, molte carità. Confortava tutto dí gli uomini che, lasciate le pompe e vanità, si riducessino a una simplicità di vivere religioso e da cristiani, ed a questo effetto ordinò legge sopra gli ornamenti ed abiti delle donne e fanciulli, le quali furono tanto contradette dagli avversari sue che mal si vinsono in consiglio, se non quelle de' fanciolli, che etiam non si osservorono Fecesi, per le sue predicazione, moltissimi frati nel suo ordine, di ogni età e qualità, assai garzoni nobili e delle prime famiglie della città, assai uomini di età e riputazione Pandolfo Rucellai, che era de' dieci e disegnato oratore al re Carlo; messer Giorgio Antonio Vespucci e messer Malatesta, canonici di Santa Liperata, uomini buoni e di dottrina e gravità, maestro Pietro Paolo da Urbino, medico riputato e di buoni costumi; Zanobi Acciaiuoli, dottissimo in lettere greche e latine, molti altri simili. In modo che in Italia non era un convento pari, e lui in modo indirizzava e' giovani in su gli studi non solo latini ma greci ancora ed ebrei, da sperare avessino a essere lo ornamento della religione. E cosí fatto tanto profitto circa alle cose spirituale, non fece ancora minore opere circa lo stato della città ed in beneficio publico. Cacciato Piero e fatto el parlamento, la terra rimase molto conquassata, gli amici dello stato vecchio in tanto grido e pericolo, che non bastando alla difesa loro Francesco Valori e Piero Capponi, era impossibile non fussino manomessi ed in gran numero, che sarebbe state gran piaga alla città, per esservi molti uomini buoni, savi e ricchi e di gran famiglie e parentadi, fatto questo, nasceva disunione in quegli che reggevano, come si vidde lo esemplo ne' venti, e dividevansi, per esservi piú di riputazione quasi pari e che appetivano el principato; seguitavane novità e parlamenti, cacciate di cittadini e piú di una mutazione; e forse in ultimo una tornata di Piero violenta, con estremo sterminio e ruina della città. Lui solo fermò questi impeti e movimenti, introdusse el consiglio grande, e cosí messe una briglia a tutti quegli si volevano fare grandi; lui pose l'appello alla signoria che fu un freno da conservare e' cittadini, fece la pace universale, che non fu altro che tôrre occasione di punire quegli dello stato de' Medici sotto colore di ricercare le cose vecchie. Furono sanza dubbio queste cose la salute della città e, come lui verissimamente diceva, la utilità e di quegli che nuovamente reggevano e di quegli che per l'adrieto avevano retto; e furono in effetto le opere sue tanto buone, verificatosi massime qualcuna delle predizioni sue, che moltissimi hanno poi lungo tempo creduto lui essere stato vero messo di Dio e profeta non ostante la escomunica, la esamina e la morte. Io ne sono dubio e non ci ho opinione risoluta in parte alcuna, e mi riservo, se viverò tanto, al tempo che chiarirà el tutto; ma bene conchiuggo questo, che se lui fu buono, abbiano veduto a' tempi nostri uno grande profeta, se fu cattivo, uno uomo grandissimo, perché, oltre alle lettere, se seppe simulare sí publicamente tanti anni una tanta cosa sanza essere mai scoperto in una falsità, bisogna confessare che avessi uno giudizio, uno ingegno ed una invenzione profondissima. Furono morti con lui, come è detto, fra Domenico e fra Silvestro; de' quali fra Domenico era uomo semplicissimo e di buona vita, ed in forma che se errò, errò per simplicità non per malizia; fra Silvestro era tenuto piú astuto e che teneva piú pratica co' cittadini, e nondimeno, secondo e' processi, non conscio di simulazione alcuna; ma furono morti per satisfare alla rabbia degli inimici loro, che si chiamavano in quegli tempi vulgarmente gli arrabbiati. XVII LEGA DI LUIGI XII, ALESSANDRO VI E CESARE BORGIA. LEGA TRA LA FRANCIA, IL PAPA E VENEZIA (1498). Nel medesimo anno del mese di aprile, sendo ancora fra Ieronimo in prigione morí quasi di subito Carlo re di Francia, e non avendo figliuoli, el regno venne per successione nelle mani di Lodovico, duca di Orliens, di casa reale, suo cugino e piú prossimo parente avessi; el quale pretendendo spettargli non solo lo stato di Francia, ma ancora per conto del re Carlo el reame di Napoli, e per conto suo di Orliens el ducato di Milano, nella incoronazione si intitolò re di Francia di Ierusalem e di Sicilia e duca di Milano. E perché egli aveva per donna una sorella carnale del re Carlo, sterile brutta e quasi uno mostro, che l'aveva presa sforzato dal re Luigi suo padre, rifiutata questa moglie con dispensa di papa Alessandro, tolse colla medesima dispensa la reina vecchia, moglie del re Carlo, per avere lo stato di Brettagna di che lei per eredità era duchessa. E perché questa dispensa era molto ardua e difficile e contro a ogni onestà, non l'arebbe ottenuta se non a vantaggio del papa; col quale fece secreta intelligenzia che in caso acquistassi lo stato di Milano, come disegnava volere fare, gli darebbe aiuto a ottenere e' vicariati di Romagna, quali pretendeva essere devoluti alla Sedia apostolica. E cosí unito el papa col re, e vòlto a fare imprese, disegnò fare uno stato per suo figliuolo: ed essendogli mancato, come è detto, el duca di Candia e non avendo altri atto a tanto peso che Cesare Borgia suo figliuolo, stato fatto da lui cardinale, lo privò del cappello, avendo fatto provare che per essere bastardo era inabile, benché prima, quando lo fece cardinale, avessi fatto provare el contrario, e come era legittimo e non suo figliuolo; e lo mandò in Francia imbasciadore al nuovo re e gli dette per donna una franzese del sangue reale, figliuola di monsignore d'Alibret, benché prima avessi cerco di dargli per moglie una figliuola del re di Napoli, che era in Francia, ma invano, perché la fanciulla, non avendo licenzia dal padre, non volle mai acconsentire. A questo nuovo re, che era riputato nostro benivolo, mandò la città tre imbasciadori, messer Cosimo de' Pazzi vescovo aretino, Piero Soderini e Lorenzo di Pierfrancesco che si trovava verso Galizia, dove era andato innanzi alla ruina di fra Ieronimo, sendogli dato carico da lui ed e' fautori sua, che e' si voleva fare capo e tiranno della città. Nel medesimo tempo si fece una legge quale, se si fussi seguitata, sarebbe stata utilissima a' giovani, cioè che ogni imbasciadore e commessario generale che andava fuora, avessi a avere uno giovane deputato dagli ottanta che fussi di età di anni ventiquattro insino in quaranta, el quale si trovassi presente a tutte le pratiche e segreti, acciò che imparassi e pigliassi esperienzia e cosí poi quando fussi di maggiore età fussi piú atto a' governi ed allo stato. Preso ed arso come è detto, fra Girolamo, tutti e' pensieri degli uomini si voltorono alla impresa di Pisa, sendone massime confortati e dato speranza dal duca di Milano, el quale molto tempo innanzi considerando quanta pazzia fussi stata lasciare e' viniziani entrare nel dominio di Pisa, e che quella città era uno instrumento da fargli signori col tempo di Italia, desiderava che e' fiorentini se ne reintegrassino; e nondimeno non si era voluto scoprire colle arme in loro aiuto, o perché non confidava nella città avendo esoso fra Ieronimo e forse Francesco Valori, perché stimassi avere co' modi dolci e sanza rompere, condurre e' viniziani a restituircela, o perché, dubitando della ritornata del re Carlo in Italia, non gli paressi da suscitare nuove discordie, e cosí incitare el re Carlo a passare. E però aveva fatto che a Roma, a Vinegia si era piú volte per gli oratori dello imperadore e massime del re di Ispagna e del re di Napoli, mossa pratica, che non sendo in Italia nessuno potentato amico de' franzesi, eccetti e' fiorentini e' quali tutto dí gli stimolavano ed incitavano al passare, sarebbe bene, per tôrre ogni occasione di scandalo e guerra nuova, reintegrargli di Pisa e riguadagnarsigli ed unirgli colla lega. Ma ogni cosa era suta vana perché e' viniziani ambiziosi e cupidi del dominio di Italia, faccendo a questo disegno gran fondamento di Pisa, avevano deliberato non la rendere, e però el duca sendo certo che e' non ne uscirebbono sanza la forza, confidandosi ancora piú della parte che reggeva ed inoltre parendogli che in sulla creazione del nuovo re non fussi da temere cosí presto delle cose di Francia, benché sapessi e' sua pensieri tutti essere vòlti alle cose di Italia, confortò la città a volere fare impresa gagliarda contro a Pisa confortando si ingegnassino ancora avere favore dallo imperadore, da Roma e da Napoli, e lui promettendo non mancare di tutti quegli aiuti che fussino possibili. Le quali persuasioni e proferte accettandosi, e seguitandosi e consigli in gran parte, non bisognando provedere di oratore a Roma perché vi era messer Francesco Gualterotti, fu eletto a Napoli Bernardo Rucellai. Era morto molti mesi innanzi el re Ferrandino sanza figliuoli, ed era succeduto Federigo suo zio, secondogenito del re Ferrando vecchio; ma parendo al duca che e' favori del re di Napoli si potessino cercare piú cautamente e che el mandare imbasciadore fussi di troppo dimostrazione, e di fare che el nuovo re di Francia diventassi inimico della città, il che era contro al disegno aveva fatto che la città potessi essere buono mezzo a accordarlo con Francia, persuase non si mandassi imbasciadore, e cosí si seguitò. E per risolvere meglio con lui e' modi si avessino a tenere ed e' favori bisognassino in questa impresa, vi fu mandato oratore messer Guidantonio Vespucci benché vi fussi oratore stanziale messer Francesco Pepi, o per mostrare di stimare piú queste cose, o giudicando che messer Guido fussi piú a proposito per essere uomo di piú riputazione ed anche piú atto a questi maneggi di lui. E per disporre e' genovesi a non dare favore a' pisani e non volere che e' viniziani loro inimici si facessino sí grandi, fu mandato per consiglio del duca, imbasciadore a Genova, e fu Braccio Martelli a chi fu dato per sottoimbasciadore Piero di Niccolò Ardinghelli. E cosí attendendosi allo ordine di questa spedizione, e cosí e' viniziani sendo ingrossati in quello di Pisa, si fece a Santo Regolo uno fatto di arme, e' particulari del quale non narro perché non sono in mia notizia. Lo effetto fu che e' nostri furono rotti ed el commessario Guglielmo de' Pazzi ed el conte Rinuccio da Marciano governatore del campo si ritrassono, benché con pericolo grande, salvi in Santo Regolo. Ebbene Guglielmo universalmente imputazione grandissima, e fu in gran parte attribuita alla temerità sua, el quale volenteroso non solo in campo aveva consigliato lo appiccarsi, ma ancora insino quando era in Firenze aveva detto publicamente, e credo in consiglio o negli ottanta, che e' bisognava fare diguazzare le arme. Questa rotta fu da principio di disordine grandissimo, non solo in quello di Pisa, dove se e' nemici avessino voluto spendere e seguitare la vittoria non avevano contradizione alcuna, ma eziandio in tutta quella provincia; la quale tutto dí era infestata di scorrerie e prede da stradiotti albanesi, che condotti in Pisa da' viniziani, scorrevano ora in quello di Volterra, ora in Valdinievole, ora in verso San Miniato ed insino a Castello Fiorentino. Ma di poi sendo infiammati gli animi di tutti ed ingagliarditi nelle avversità, fatta conclusione di strignere e' pisani, fu condotto per nostro capitano generale Pagolo Vitelli dandogli di condotta, insieme con Vitellozzo suo minore fratello, credo trecento uomini di arme; cosí si rimesse in ordine el conte Rinuccio, riservatogli el titolo di governatore, benché con difficultà si accordassi di rimanere a' soldi nostri e volere e' Vitelli per superiori. Né era minore la caldezza del signore Lodovico, el quale doppo la giunta di messer Guido, consultate bene queste cose e fatta una dieta a Mantova circa alle pratiche di Italia, mandò buono numero di cavalli in quello di Pisa agli aiuti nostri sotto el signore di Piombino, messer Carlo degli Ingrati ed altri condottieri. E perché si cognosceva che e' viniziani, per divertire la impresa di Pisa, ci offenderebbono forse dalla banda di Romagna, per avere piú fortezza in quella provincia, fu tolto a soldi nostri con ordine del duca, Ottaviano figliuolo di madonna di Imola, e lei co' figliuoli e discendenti fatta cittadina di Firenze, acciò che la potessi essere donna di Giovanni di Pierfrancesco, rispetto che nel 94, parendo che e modi di Piero non fussino secondo la natura di quella casa, ma costumi Orsini, e che el parentado loro avessi in molte cose nociuto assai alla città, si era fatta una legge che nessuno cittadino potessi tôrre per donna alcuna forestiera che fussi signora o di sangue di signori; e benché detto parentado in fatto fussi contratto, pure non si publicò mai vivente Giovanni, el quale pochi mesi poi mori lasciandola grossa. Cosí ordinata la espedizione di Pisa, trovandosi in campo commessario Benedetto de Nerli e di poi Iacopo di messer Luca Pitti, e per sottocommessario Francesco di Pierfilippo Pandolfini, era el nuovo capitano molto sollecito ed industrioso in fare cavalcate, in condurre artiglierie per luoghi montuosi e che era quasi impossibile, ed in effetto in dare ordine a tutte le cose che fussino necessarie a una espedizione. Nel quale tempo el duca di Milano condusse per capitano el marchese di Mantova, e promettendolo a fiorentini per a Pisa, per dubio che el capitano nostro non avessi per male di avere superiore, fu mandato da' dieci in campo Piero Guicciardini per posarlo in questa parte, e cosí per confortarlo a fare qualche impresa ed intendere la intenzione sua; ma di poi si posò questa pratica, perché el marchese si acconciò con viniziani, benché di poi adiratosi con loro, ritornò presto a' servigi del duca. E perché era qualche opinione che e' viniziani per fuggire questa guerra, non fussino alieni dallo accordo, pure che si trovassi qualche onorevole modo da lasciare Pisa, furono mandati imbasciadori a Vinegia a trattare questa pratica, messer Guidantonio Vespucci e Bernardo Rucellai, e per sottoimbasciadore Niccolò di Piero Capponi; e quali stati a Vinegia forse due mesi, veduto che e' viniziani simulavano, se ne ritornorono a Firenze sanza fare conclusione alcuna. In questo mezzo el capitano nostro, fatto forte alla campagna, avendo prima in qualche battaglia leggiere danneggiati assai e' pisani, ne venne a campo a Vicopisano, e preso prima prestissimamente uno bastione che vi era stato fatto da' pisani per fortezza di quel luogo, espugnò in pochi dí Vico; la quale prima espedizione sua gli dette grandissima riputazione, per essere Vico luogo forte e che nella antica guerra di Pisa non si vinse se non con uno esercito piú grosso, ed in spazio di molti e molti mesi; e di poi in questa nuova, si era nell'anno 1495 difeso dal campo nostro, quale benché fussi governato da messer Francesco Secco, ed altri buoni capi e fussi di numero non minore, nondimeno si era partito sanza effetto e molto danneggiato dagli inimici. Preso Vico, fu lunga consulta quello si dovessi fare: el capitano considerando quanto Pisa fussi forte, ripiena di uomini valenti e disperati, ed a ordine di artiglierie e tutte le cose necessarie a difendersi e cosí quanto quella espugnazione avessi a essere difficile, giudicava che e' fussi bene pigliare e' luoghi vicini, insignorirsi in tutto del paese, faccendo bastioni e luoghi forti, e cosí privargli d'ogni speranza di soccorso. Molti, massime e' meno pratichi, erano in contraria opinione ed insuperbiti per la vittoria di Vico e lo essere alla campagna sanza riscontro, desideravano si andassi diritto a campo a Pisa, ed a questa risoluzione si accordava in Firenze tutta la moltitudine. Durò questa varietà di pareri molti dí, e finalmente sendo el capitano ostinatissimo, per dare principio al suo disegno ne andò a campo a Librafatta; la quale presa, e di poi la Torre di foce, e fatti in certi passi che non si potevano guardare altrimenti bastioni fortissimi, consumò la state. Di che nel popolo cominciò avere carico grande, come se e non volessi condurre a fine la impresa, ma mantenerci nella guerra; e non solo lui, ma ancora el duca di Milano che si diceva volere tenere la guerra in luogo, perché e' viniziani e noi stessimo in sulla spesa. In questo tempo e' viniziani non avendo troppa commodità di mandare soccorso in Pisa, per divertire questa espedizione cercorono romperci dalla banda di Siena; e perché la città per fuggire questo pericolo, si era poco innanzi, per ricordi ed opera del duca di Milano, accordata co' sanesi, accordo certo disonorevole benché necessario, perché si sospesono per cinque anni le ragione di Montepulciano e gittossi in terra el ponte a Valiano, Pandolfo Petrucci, che governava allora Siena, non volle acconsentire alle dimande loro e dubitando di qualche scandolo drento, perché el popolo per odio de' fiorentini vi era pure vòlto, richiese si mandassino per sua sicurtà gente in su' confini, e cosí fu mandato al Poggio Imperiale el conte Rinuccio da Marciano con dugento uomini d'arme. Disperati adunche e' viniziani da questa banda, mandorono gente in Romagna alla volta di Marradi, dove a riscontro vi furono mandate parte delle nostre gente, ed el duca di Milano vi mandò potente soccorso sotto el governo del conte di Caiazzo e di Fracasso, in modo che con queste forze e col favore si traeva delle terre di madonna di Imola, facilmente si difese lo stato nostro da quella banda, in modo che renduti vani in ogni luogo gli sforzi de' viniziani, pareva che le cose nostre tutto dí migliorassino e riducessinsi in buoni termini. Aggiugnevasi che nella città pareva ritornassi ogni dí la unione, e già nel consiglio, quando si creavano e' magistrati, non erano difettati piú e' piagnoni che gli altri; in modo che, creandosi del mese di ottobre lo uficio de' dieci che aveva a entrare poi di dicembre, ne furono eletti con messer Guido uno de' capi dell'altra parte, messer Domenico Bonsi, Batista Serristori e Luca di Antonio degli Albizzi, che erano stati fautori del frate. Ma sopravenne sulla fine di questo mese uno accidente che rimescolò tutto lo stato nostro; perché e' viniziani, avendo seco e' Medici, ebbono furtivamente in Casentino Bibbiena, per trattato tenuto con certi parenti di ser Piero cancelliere di Piero de' Medici ed eziandio per mala cura di Cappone di Bartolomeo Capponi, che vi era per questi sospetti stato mandato commessario. Fu questa piaga di grande importanza, avendo e' nimici in corpo ed in luogo sí propinquo alla città, e' quali erano molto piú temuti per avere seco e' Medici che avevano molti amici del nostro contado. Dubitandosi adunche di Poppi, Pratovecchio e di altri luoghi del Casentino, vi furono subito mandati fanterie e commessari, fu posta la taglia drieto a Giuliano de' Medici, che prima non l'aveva se non Piero; voltoronvisi le gente di Milano sotto la cura del Fracasso, perché el conte di Caiazzo era già ritornato in Lombardia; e per cavarne a ogni modo gli inimici, si levò in ultimo Pagolo Vitelli di quello di Pisa, dove non faceva nulla, e fu adiritto in Casentino, dove fu creato commessario generale Piero Corsini, sendo ito per commessario dalla parte di Pisa Piero Guicciardini. Fu alla fine del medesimo mese, nella creazione della nuova signoria, eletto gonfaloniere di giustizia Bernardo Rucellai, el quale sendo un poco amalato rifiutò, seguitando la natura e modi sua, di che si dirà in altro luogo; ed èbbene gran carico, quasi come se e' non degnassi lo essere gonfaloniere e non si potessi saziare la ambizione sua; fu in suo luogo sustituito messer Guidantonio Vespucci. Per la venuta di Pagolo Vitelli in Casentino non solo si confermorono le terre nostre, ma ancora si cominciorono a strignere tutto dí gli inimici; in forma che pigliando animo e' villani del paese che sono naturalmente uomini armigeri e sono in luoghi forti dove non si possono adoperare e' cavalli, ne feciono molte volte occisione, trovandosi a tutto come capo uno abbate Basilio dello ordine di Camaldoli, el quale aveva in Casentino una badia; furono ancora rotti e perseguitati da Pagolo Vitelli tanto che finalmente le gente loro si ridussono in Bibbiena col duca di Urbino e con Giuliano de' Medici, donde non si potevano partire a loro posta e non avevano vettovaglia per molto tempo. E benché e' processi del nostro capitano in quella provincia fussino e felici e industriosi, nondimeno perché e' primi urti e piú spessi che ebbono gli inimici, furono dallo abbate Basilio e da' paesani, si accrebbe molto nel popolo la opinione cattiva conceputa di lui la state passata, come se e' volessi a compiacenzia del duca tenere la guerra viva; massime che poi che gli inimici furono ridotti in Bibbiena, stimandosi fussi facile cosa lo acquistarla, pareva al popolo le cose andassino molto adagio; il che nasceva perché lo esercito nostro si poteva poco adoperare, sendo nel cuore del verno ed in luoghi montuosi ed aspri. Aggiunsesi che essendo el duca di Urbino malato gravemente in Bibbiena, el capitano e Pier Giovanni da Ricasoli, che vi era commessario, gli concederono, sanza saputa de' dieci, licenzia di uscirne ed andarsene a Urbino, allegando averlo fatto perché se e' fussi morto lo stato suo sarebbe ito in mano de' viniziani; ebbene l'uno e l'altro gran carico e nondimeno non ne fu altro. Per la qual cosa per tutta la città era molto celebrato ed esaltato el nome dello abbate Basilio e pel contrario si sparlava publicamente del capitano e anche del duca di Milano el quale con tutto che ogni dí sollecitassi la impresa di Bibbiena, richiedendo di intendere quello bisognassi e promettendo farlo largamente, con tutto avessi anche insino allora servito di gente e di danari, nondimeno perché era in opinione di ambizioso ed astuto e che si governassi piú tosto con girandole e tranelli che realmente non poteva tanto fare che in Firenze dalla moltitudine ed ancora da molti che maneggiavano lo stato gli fussi creduto. Erano in questi termini le cose della città, e da altra parte Italia universalmente si adirizzava a movimenti grandissimi perché el nuovo re di Francia, avendo per via del matrimonio colla regina vecchia conservato al reame di Francia lo stato di Brettagna, ed essendosi bene stabilito nel regno ed in tutto assicurato aveva in tutto vòlto el pensiero al passare in Italia, prima alla impresa di Milano e poi di Napoli; ed essendo cosa di momento grandissimo ne stavano molto sollevati tutti e' potentati di Italia, secondo gli appetiti e passione loro ed e' termini in che si trovavano. El papa, desideroso di fare uno stato per Valentino suo figliuolo, né ci conoscendo altra via che la passata de' franzesi, non cessava di continuo sollecitare e stimolare questa impresa. Erano e' viniziani aviluppati in affanni grandissimi, perché oltre a' travagli e rotte del Casentino ed el conoscere assolutamente non potere piú tenere Pisa né la potere lasciare sanza gran danno e vergogna, si ritrovavano dalla parte di levante in sospetto grande di guerra col turco, el quale si intendeva fare apparati grandissimi per mare e per terra per venire a' danni loro; temevano ancora che el duca di Milano se si posassi insieme collo imperadore e' fiorentini, non gli offendessi in Lombardia, e come avevano sospetto di lui, cosí se ne riputavano grandemente ingiuriati, perché per opera sua erano al disotto nelle cose di Pisa, nelle quali se avessino avuto a fare co' fiorentini soli, arebbono ottenuto ciò che volessino; ed inoltre credevano che egli concitassi e stimolassi el turco contro a di loro, mossi adunche da paura e da sdegno, erano vòlti col pensiero alle cose di Francia e cercavano collegarsi col re contro al duca, spignendovegli anche la ambizione, perché disegnavano acquistare qualche terra dello stato di Milano. E' fiorentini avevano dua pensieri: l'uno cacciare e' viniziani di Casentino, l'altro riavere Pisa; e perché l'uno e l'altro, massime el primo, non si potevono fare sanza favore del duca, erano da un canto sforzati procedere con lui, da altro temendo assai la potenzia del re ed anche avendo speranza da lui, se si accordassino seco della restituzione di Pisa, stavano da principio ambigui, ma poi per conforto del duca si risolvevano allo accordo. El re Federigo trovandosi nello stato molto debole e quasi sanza forza, con tutto che avessi a participare del male, pure perché el pericolo di Milano era primo, o per non potere o per non sapere, non pareva si risentissi in queste cose come sarebbe stato el debito. El duca si trovava in pensieri grandissimi, conoscendo che la potenzia di Francia era di gran lunga superiore alla sua; e considerato non si potere valere della unione di Italia, per essere el papa certo con Francia ed e' viniziani dubii, teneva pratiche collo imperadore; inoltre riputando Paolo Vitelli uomo valentissimo per potersene valere ne' sua bisogni, desiderava da cuore che noi ci reintegrassimo col favore suo delle cose nostre, parendogli che quando questo fussi per opera e beneficio suo, che non solo conseguirebbe lo intento suo di Pagolo Vitelli, ma ancora arebbe a' sua bisogni tutte le forze della città nostra. Ed inoltre sapendo e' viniziani essere stracchi delle cose di Pisa e che volentieri se ne uscirebbono per via di accordo, e cosí sapendo quanto si tenessino offesi da lui e desiderando placargli acciò che per sdegno non si accordassino col re, cominciò, per fare loro beneficio a fare tenere pratica dal duca di Ferrara, come uomo di mezzo, di composizione tra e' viniziani e noi, confortando caldamente la città volere pigliare ogni accordo pel quale e' viniziani si uscissino di Casentino e di Pisa. Ed inoltre dubitando che questo rimedio con viniziani non bastassi, confortava e' fiorentini a fare accordo col re di Francia, parendogli che oltre a potere questo essere buono mezzo a farlo venire in qualche composizione tollerabile col re, fussi ancora la via a escludere e' viniziani dalla amicizia di Francia; perché, secondo le pratiche andavano a torno, el re ci aveva a promettere la restituzione di Pisa, e cosí a obligarsi contro a' viniziani; e consequentemente fatto l'accordo nostro col re, quello de' viniziani rimaneva incompatibile; e cosí e' viniziani sarebbono forzati o unirsi con lui alla difesa degli stati di Italia o almeno starsi neutrali e cosí lui colle forze sue e con qualche aiuto dalla Magna, potersi piú facilmente difendere da Francia. Stando le cose in queste ambiguità e sospensioni, fu mandato messer Antonio Strozzi da' dieci a Ferrara per questa pratica di accordo che era nelle mani del duca, ed a Milano fu eletto imbasciadore, per meglio risolvere le cose nostre con quello principe, el vescovo de' Soderini, benché vi fussi ancora oratore per stanza messer Francesco Pepi; e di poi desiderandosi la espugnazione di Bibbiena, si disegnò mandare in campo due commessari di riputazione, e' quali intendessino quel bisognava a quella impresa e la riscaldassino tanto che se ne venissi al fine; e cosí furono eletti Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini Ma pochi dí poi, riscaldando la pratica di Ferrara, ed avendo el duca grande intenzione da' viniziani della conclusione e volendo per piú facilitarla transferirsi a Vinegia, richiese gli fussino mandati imbasciadori con mandati pieni; e però vi furono eletti Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, e per sottoimbasciadore Alessandro di Donato Acciaiuoli e per scambio loro in Casentino Antonio Canigiani e Lorenzo di Pierfrancesco; e la medesima sera fu fatto a Roma imbasciadore stanziale messer Antonio Malegonnelle, e per sottoimbasciadore Ruberto di Donato Acciaiuoli. Ed innanzi gli imbasciadori partissino per Vinegia e Ferrara intendendosi per lettere di Francia come l'accordo nostro si strigneva col re, e che e' viniziani pareva avessino rotto sopravenne subito nuove fuora della opinione di tutti, essersi fatto accordo e lega tra el re di Francia, papa e viniziani, e come e' viniziani si obligavano a dare al re certa somma di danari, ed e converso acquistandosi lo stato di Milano, avevano a avere Cremona con tutto el cremonese e la Ghiaradadda, benché queste condizioni furono da principio segretissime. Alterossi la città assai per questa nuova, ma molto piú si alterò e sbigottí el duca, parendogli avere gran carestia di partiti; nondimeno disposto a non si abbandonare, mandò subito per le poste a Firenze messer Galeazzo Visconti, gentiluomo di Milano ed apresso a lui di grande autorità, a intendere donde procedeva la tardità delle cose di Bibbiena e sollecitare el capitano e gli uomini sua volessino una volta tirarla a fine, a confortare la città che per ogni caso stessi bene armata e proveduta, ed in ultimo a sollecitare la partita degli oratori per a Vinegia, perché, non sapendo ancora quanto lo accordo fra el re ed e' viniziani fussi durabile, desiderava, se fussi possibile, riconciliarsegli con questo beneficio, e quando non giovassi, che le cose nostre fussino espedite per potersi valere de' Vitelli. Ed esposte messer Galeazzo queste cose, ne andò in Casentino e comandò a Fracasso ne andassi a Milano, dove giunto, ebbe subito bando di rubello per aver tenuto in Casentino pratiche co' viniziani di cattiva natura. In questo tempo lo uficio de' dieci accrebbe la condotta al conte Rinuccio, che fu cosa perniziosa alla città; e perché si intenda meglio s'ha a sapere che fra e' Vitelli ed el conte era emulazione grandissima perché el conte, sendo di una medesima età che Pagolo e stato molto piú tempo di lui a' soldi nostri, aveva per male che lui gli fussi stato preposto in titolo, e per questa cagione, quando Pagolo fu fatto capitano, si sarebbe alienato da' soldi nostri; se non che per essere tenuto valente uomo e fedele, fu ritenuto con molti prieghi e conservatogli el titolo di governatore del campo e datagli tanta condotta quanta avevano e' Vitelli; e nondimeno non sendo bene contento, piú tosto intraversava ed opponevasi alle imprese di Paolo che altrimenti e tutto dí cercava di salire in piú condotta e piú condizione di lui. Da altra banda Pagolo, avanzandolo cosí di virtú come di titolo comportava male volentieri questa emulazione, né gli pareva giusto el conte avessi condotta quanto lui, e nondimeno, sendo cosí pregato, l'aveva acconsentito, ma non arebbe già patito che egli lo avanzassi di condotta. Nascevano ogni dí fra loro contese e dispareri, che non solo generavano divisione nel campo e tra' soldati, ma ancora nella città, dove l'uno e l'altro aveva molti fautori, chi per amicizia, chi perché giudicassino essere cosí el bene della città; in modo che per questa discussione, che non era piccola, le imprese del Casentino erano ite molto piú debole e fredde che non sarebbono ite. Aveva el conte tenuto segretamente cogli amici suoi una pratica che gli fussi accresciuto la condotta, e per ottenerla operato astutamente che da Milano e molti luoghi era venuto aviso che lui era per condursi con viniziani con gran vantaggi; in su' quali avisi mostravano gli amici sua che questa sarebbe cosa perniziosa alla città e che l'arme nostre diminuirebbono, ed e converso quelle de' viniziani si accrescerebbono in Toscana; e' quali oltre allo avere piú gente, si varrebbono d'uno uomo valente e che, per essere stato lungo tempo a' soldi nostri, aveva gran notizie de' passi e del paese, ed anche amicizia con molti nostri sudditi. Ed essendo udite queste ragione nello uficio de' dieci, de' quali si trovavano Luca d'Antonio degli Albizzi e Bernardo Rucellai suoi grandissimi fautori, che era stato eletto in luogo di messer Guido che era ito capitano di Pistoia, finalmente ne feciono la condotta non avendo in compagnia chi bene considerassi la importanza della cosa. E perché in luogo di Giovanni Manetti, morto, era suto eletto de' dieci Piero Guicciardini che si trovava commessario in quello di Pisa, dubitando che lui mosso o dal bene della città o da essere amico di Pagolo non guastassi questa pratica, sollecitorono la conclusione in modo che la feciono la sera che Piero tornò in Firenze, ed essendo egli ito alla signoria e di poi a pigliare l'uficio ed in ultimo, non avendo notizia di questa materia, preso licenzia de' compagni per essere stracco ed itosene a casa, non gli dissono quello volessino fare, ma come fu partito, ne feciono el partito. Il che intendendo Pagolo, ne fece fare da messer Currado suo cancelliere molte doglienze, in modo che per posarlo fu necessario accrescere la condotta ancora a lui al pari di quella del conte Renuccio. E cosí la città si trovò con tanto numero d'uomini d'arme adosso, che non poteva soportare tanta spesa, benché piú volte si fussi fatto el calculo di quegli dovessino tenere e non gli passare; e lo uficio de' dieci ne acquistò tanto carico, e cosí e' primi cittadini, parendo allo universale che e' governassino secondo le loro spezialtà, non secondo la utilità della città, che ne seguí pessimi effetti, come di sotto in altro luogo si dirà. Partirono di poi gli oratori e vennono a Ferrara, e quivi aboccatosi con quello principe, pochi dí poi ne andorono insieme con lui a Vinegia, intendendosi che e' viniziani da cuore desideravano lo accordo. Quivi sendosi piú giorni dibattuto le cose nostre, in ultimo si compromessono tutte le differenzie nel duca di Ferrara, benché per parte della città vi si andassi adagio, dubitando che piú non potessi in lui el rispetto e timore de' viniziani che la giustiza: pure per conforto del duca di Milano vi si concorse. XVIII LODO DEL DUCA DI FERRARA. PAOLO VITELLI (1499). 1499. Con questa azione si finí l'anno 1498, nel quale se bene fussino accidenti grandi nondimeno furono molto maggiori quegli del sequente anno 1499, nei principio del quale el duca Ercole dette in Vinegia el lodo delle nostre differenzie con viniziani. E lo effetto fu che e' viniziani dovessino per tutto dí 25 di aprile, che era il dí di san Marco, avere lasciato Pisa e Bibbiena e tutte le cose tenevano in quello contado e per satisfazione di parte delle spese avevano fatte in quella guerra, dovessino avere da noi in termine di quindici anni ducati centottantamila, pagandone ogni anno ducati dodicimila, dovessino e' fiorentini, recuperando Bibbiena, perdonare a' bibbienesi; ed in caso che e' pisani volessino essere compresi in questo accordo, si intendessi el commerzio e governo della città renduto a' fiorentini, e' quali avessino a riavere tutto el contado di Pisa, a mandare in Pisa uno podestà, con questo che Vicopisano e le fortezze fussino tenute da' pisani per loro sicurtà, ed el duca di Ferrara vi avessi a mandare uno dottore che fussi proposto alle appellazioni, e credo ancora al criminale. Dispiacque assai a' viniziani questo lodo, perché dicevano che rimanendo e' pisani abandonati, venivano assolutamente in mano de' fiorentini, e però, che recuperando, come si poteva dire, e' fiorentini per virtú di questo lodo Pisa, dovevano essere condannati a satisfargli di presente almeno di buona parte delle spese fatte in questa guerra che ascendevano alla somma di ducati settecentomila o piú; e dolsonsi in modo del duca, che egli temé assai non gli fussi fatto villania e fu costretto, per satisfare loro, aggiugnere pochi dí poi al lodo certe dichiarazione, le quali restrignevano le preeminenzie e iurisdizione che e' fiorentini avevano a avere in Pisa, e fortificavono la sicurtà de' pisani. E fatto questo, doppo qualche dí si risolverono volentieri al lodo, non già ratificandolo espressamente, ma cavando le gente di Pisa e Casentino al tempo debito, dissono averlo ratificato co' fatti. Furono le medesime doglienze ne' fiorentini, a' quali dispiacquono due cose: l'una che rimanendo le fortezze a guardia ed in mano de' pisani, loro non riacquistavano el dominio della città, in modo che e' pisani rimanevano liberi di potere ogni volta di nuovo ribellarsi, il che era credibile farebbono, rispetto alla ostinazione e malignità loro ed allo odio grande ci portano; l'altra che e' pareva aspro che e' viniziani, e' quali, per avere occupato le cose nostre e molestatoci ingiustamente, avevano di ragione a rifarci di quello avamo speso, fussino pel lodo fatti creditori di ducati centottantamila; né ci pareva beneficio l'avere a rilasciare Pisa ed el Casentino, sapendosi che erano in termini che vi potevano poco stare, e però furono ambigui al ratificare; ma confortandone instantemente el duca di Milano, e mostrando che ogni principio di entrare in Pisa in qualunque forma era da stimare assai, perché non mancherebbono poi de' modi a insignorirsene interamente, e che la somma del danaio per essere divisa in tempi lunghi non era grave, e promettendo anche aiutargli in questo pagamento, finalmente ratificorono. Minore ambiguità fu ne' pisani, perché parendo loro essere stati rivenduti da' viniziani, e non si fidando delle promesse de' fiorentini e che e' patti avessino a essere loro osservati, non vollono in modo alcuno acconsentire, benché el duca di Milano tenessi pratiche ed ogni industria che e' si disponessino. E cosí el duca rimase ingannato delle ragioni per le quali si era affaticato su questo accordo, perché né e' viniziani gliene seppono grado, né e' fiorentini per la ostinazione de' pisani rimasono in modo espediti che si potessi valere di loro o di loro gente. Fatto lo accordo ed osservato dalle parte principale, e' fiorentini entrorono in Bibbiena abandonata e gittorono le mura in terra, il che fu biasimato perché parve contro allo accordo, nel quale si era promesso perdonare agli uomini di Bibbiena; parve ancora disutile, perché per rispetto de' pisani pareva tempo da usare dolcezza. Pisa rimase in mano de' pisani, e cognoscendosi bisognava la forza, dirizzandosi gli animi a farne impresa, perché Pagolo Vitelli, fatto lo accordo, era ito a Castello non molto fermo colla città, vi fu mandato da' dieci Piero Corsini, el quale, fatte con lui nuove riconvenzione, lo ricondusse in quello di Pisa, e lui vi rimase commessario insieme con Pierfrancesco Tosinghi che vi era prima commessario per stanza. Nel quale tempo avendosi a creare e' dieci di balía nuovi, e faccendosene secondo lo ordine le nominazioni in consiglio grande dove andorono sempre a partito e' primi uomini della città, non fu mai possibile ne vincessi nessuno, e benché la signoria ne facessi molte volte pruova, tutto fu vano, in modo che e' fu necessario lasciare la città in tempi di guerra e di imprese grande. sanza el magistrato de' dieci. Le cagioni furono, perché la guerra di Pisa era stata molto lunga e vi si era speso drento somma infinita di danari con quegli si erano dati al re di Francia, e tutti sanza frutto e successo alcuno, in modo che sendo multiplicato ogni di e' nostri disordini, la moltitudine che non considera la circumstanzia delle cose, credeva che e' fussi proceduto perché e' primi cittadini non avessino voluta la recuperazione di Pisa anzi avessino avuto caro tenere la città in continui affanni, acciò che la avessi piú bisogno della opera loro e per avere piú facilmente occasione, quanto piú fussino stracchi ed indeboliti e' cittadini, mutare el consiglio grande: e perché questi primi sempre intervenivano nel magistrato de' dieci, però el nome di quello magistrato era in sommo odio, e vulgarmente per gli uomini piú popolani si diceva: "né dieci né danari non fanno pe' nostri pari". Aggiugnevasi che, come interviene quando e' cittadini non hanno uno sopracapo chi e' temino o riverischino, le spezialtà di molti che erano stati de' dieci, erano sute grandissime, sí in dare favori estraordinari a qualche condottiere, come dicemo di sopra del conte Rinuccio, sí in volere fare guadagnare qualche cosa a' cittadini loro parenti o amici, in modo che quando si era fatto qualche fazione, avevano mandato fuora sanza alcuno proposito uno numero grandissimo di commessari; delle quali cose erano multiplicate assai le spese della città, ed oltre a una difficultà estrema che si era introdotta di vincere provisione di danari in consiglio grande, el nome del magistrato de' dieci era allora piú esoso al popolo che cosa si potessi loro proporre. E però disperata la signoria, che ne era gonfaloniere di giustizia per maggio e giugno Francesco Gherardi, che e' si vincessino e' dieci, governava lei le cose della guerra, chiamando sempre una pratica de' primi cittadini, per consiglio de' quali si deliberavano le cose importante; e vòlti gli animi di tutti alla impresa di Pisa, esaminando le forze nostre e degli avversari, si conchiuse che, poi che e' pisani erano abbandonati e per le condizione di Italia non potevano sperare soccorso potente di luogo alcuno le nostre gente sole erano atte a espugnarla sanza e' favori del duca di Milano; al quale dispiacque assai el non essere richiesto, parendogli che la città non volessi in questo caso obligo seco, per non essere tenuta aiutarlo nella guerra contro a Francia, che tutto di riscaldava. Fatta questa conclusione, e bisognando danari per la esecuzione, si messe in consiglio grande una provisione di danari la quale aveva difficultà grandissima a vincerla per le condizioni dette di sopra, e perché el popolo desiderava che nella elezione de e' magistrati di drento e di onore si seguitassi quello modo che si teneva negli ufici di fuora e di utile, cioè di imborsare tutti quegli che avessino vinto per la metà delle fave e una piú, e però davano le fave bianche a ogni cosa. Fecesene pratica, e veduto quanto importava Pisa alla città e come la impresa, per essere e' pisani soli, era molto riuscibile e piú che fussi stata in tempo alcuno doppo el 94, con tutto che el desiderio del popolo si cognoscessi dannoso alla città, pure per meno male si conchiuse di fare una nuova provisione di danari, nella quale si congiunse che gli ufici di drento si eleggessino come quelli di fuora, eccetto che e' si nominassi chi doveva andare a partito. E cosí proposta questa provisione, era el popolo tanto infastidito del pagare danari, ed anche aveva sí poca fede in Paolo Vitelli, che non si sarebbe vinta; se non che Francesco Gherardi gonfaloniere con tanta destrezza ed umanità e con modi tanto dolci e da prudente seguitò di proporre la provisione, che finalmente per virtú sua, benché non sanza difficultà grande, si ottenne. La quale vinta, subito si dettono danari in campo, ed el capitano nostro andatone a campo a Cascina con sua grandissima gloria in pochissimi dí la espugnò. Benché, come lo menava la sorte sua, questa vittoria gli multiplicassi carico col popolo; perché in Cascina fu preso Rinieri figliuolo di messer Pietro Paolo dalla Sassetta, el quale, sendo nella guerra de' pisani a' soldi nostri, si era di poi partito occultamente, non so per che cagione, ed itosene a Pisa, dove in ogni tempo, e massime quando el duca Ercole dette el lodo, aveva operato assai contro alla città, confortando allora e' pisani a non volere ratificare; e perché questi portamenti erano in lui tanto piú molesti quanto piú erano alieni da uno nostro raccomandato e che fussi stato a' soldi nostri, però era in sommo odio al popolo. Aggiugnevasi che sendo costui stato non molto innanzi a Milano, si riputava che se el duca malignava nelle cose di Pisa, di che la città non era in tutto chiara, lui sapessi el segreto suo; e però sendo lui stato preso, fu subito scritto al capitano che l'aveva nelle mani, lo mandassi a Firenze, e si giudicava che da poi che e' fussi esaminato di quello sapeva, gli sarebbe tagliato el capo; ed aspettandosi a Firenze, venne nuove come lui si era fuggito, ed in fatto fu lasciato da Paolo, el quale non volle essere bargello di uno soldato da bene e valente. Ma a Firenze chi aveva sospetto di lui interpretò perché e' non volle che Rinieri, che sapeva e' segreti de' pisani e si credeva sapessi quegli del duca circa alle cose di Pisa, lo scoprissi di pratiche tenute col duca e co' pisani contro alla città, e per questa voce si accrebbe grandemente la mala opinione era di lui ed el carico aveva di malignare in queste cose. Presa Cascina, usci la signoria vecchia con tanta grazia e favore di Francesco Gherardi, che sanza dubio molti anni innanzi non era stato uno gonfaloniere di giustizia che fussi uscito con benivolenzia pari a lui, in modo che al certo e' si trovava con piú credito ed autorità nel popolo che altro cittadino da Firenze; ed entrata la signoria nuova, fatta per tratta, si attendeva e nella città ed in campo a provedere le cose oportune per andare a campo a Pisa. Nel quale tempo crescevano ogni dí le angustie del duca di Milano, perché el re di Francia si ordinava e metteva in punto con gran celerità, el papa, con tutto avessi tenuto qualche pratica di accordo col duca, si era dichiarato talmente pel re, che monsignore Ascanio disperato di potere fare frutto con lui ed anche forse temendo di sé, aveva abbandonato la corte ed itosene a Milano; nel medesimo termine erano e' viniziani risoluti interamente, per la ambizione di acquistare Cremona, alla disfazione dello stato di Milano; le cose della Magna erano sí fredde che e' disegni fatti di quella provincia riuscivano fondati in aria; non si poteva durante la impresa di Pisa fare fondamento in Pagolo Vitelli. In modo che el duca era in cattivi termini, e massime che per sue colpa si privava di uno rimedio che sarebbe stato in sue potestà, perché sendo nate certe differenzie tra lui ed el marchese di Mantova, suo capitano, circa alla condotta, le quali erano nutrite da messer Galeazzo da Sanseverino per ambizione di essere lui capitano in luogo del marchese, fu sí poco in questa parte el giudicio del duca, che non vi pose rimedio; in forma che el marchese si alienò da lui e cosí per colpa sua gli uscí di mano uno instrumento che pareva attissimo o a guidare lo esercito contro a' franzesi o a difendere lo stato di Milano dalla banda de' viniziani. Per le quali cose vedendosi a Firenze la debolezza sua, ed instando el re che la città si dichiarassi in suo favore, erano vari e' pareri de' cittadini: alcuni non si volevano inimicare al duca, parendo fussi cattivo pagamento agli aiuti e favori ci aveva dati, e' quali erano stati di natura che si poteva dire per opera sua e' viniziani essere stati cacciati di Toscana; ed inoltre giudicando che el duca colla potenzia sua e co' favori trarrebbe della Magna, si difenderebbe in modo che non sarebbe inghiottito sí facilmente come era la opinione di molti, ed a questo parere concorrevano massime quegli che si erano travagliati contro al frate, che sempre erano stati inclinati alle cose del duca e piú alieni da Francia, alcuni altri considerando la gran potenzia del re di Francia congiunto co' viniziani e col papa, facevano giudicio che lo stato di Milano non avessi rimedio e che e' fussi pazzia volere perire con lui, ricordando quanto fussi stato el danno della città nel per volere opporsi al re Carlo; e cosí sendo di varie opinione e' cittadini, non se ne faceva conclusione o risoluzione alcuna. In questo tempo, sendo a ordine gli apparati della guerra, Pagolo Vitelli col nostro esercito si pose a campo a Pisa a dí... ed avendo piantate le artiglierie, cominciò a strignere la terra. e di poi el dí di san Lorenzo, non sendo ordine al dare la battaglia presono e' soldati suoi Stampace, ròcca forte di Pisa. Per la quale perdita in modo sbigottirono e' pisani che si cominciorono a ritirare indrieto, e messer Piero Gambacorti ed alcuni altri fuggirono a Lucca, in forma che se e' si seguitava la vittoria, Pisa era sanza dubio el dí nostra. E durò questa occasione, come dicono, bene otto o dieci ore, ma el capitano che non aveva ordinato el dí dare la battaglia, non credendo forse che e' nimici fussino in tanto terrore e disordine, fermò e' soldati sua; e però e' pisani rincorati feciono ripari da quella parte, in modo che per la via di Stampace non si potessi entrare nella terra. Erano intanto cominciate nel campo nostro, per la cattiva aria che vi suole essere in quegli tempi, certe febre pestilenziale, delle quale molti erano già amalati, e fra gli altri tutti a due e' commessari, che ne morí Piero Corsini, e furono mandati subito in luogo loro Francesco Gherardi e Paolantonio Soderini e' quali vi ammalorono in pochi dí, in forma che e' cittadini vi andavano male volentieri; pure vi fu mandato Luigi della Stufa e Pierantonio Bandini che subito ammalorono; e vi fu di poi mandato Piero Vespucci che ancora lui in ultimo ne tornò ammalato a Firenze. In questo mezzo el capitano aveva colle artiglierie gittato in terra tanto muro, che molti giudicavano che, dandosi la battaglia, Pisa si otterrebbe; e lui non lo negava, ma diceva sarebbe con molta uccisione degli uomini suoi, e però essere meglio differire el darla tre o quattro dí, perché sarebbe in terra tanto muro, che al certo con poco danno e pericolo de' soldati si vincerebbe, e però essere meglio pigliare el partito piú sicuro, massime che in sí piccola dilazione non poteva sopravenire nulla che piggiorassi le condizione nostre. E finalmente avendo diterminato el dí di dare la battaglia, ed essendo quello dí venuta per sue richiesta in Firenze la tavola di Santa Maria Impruneta, erano tante multiplicate le malattie in campo, che vi si trovò sí poco numero di sani, massime essendo ammalato ancora el capitano, che non si potette dare la battaglia; e pochi dí poi, diminuendosi ogni dí lo esercito nostro ed essendo entrati in Pisa, mandati da' lucchesi, trecento fanti, disperata la vittoria, si levò da campo. La quale cosa gli accrebbe infinitamente el carico aveva nella città, e non solo appresso la moltitudine ed e' volgari, ma ancora appresso a molti che usavano el palagio ed avevano autorità. E cosí si terminò questa impresa di Pisa, la quale fu cominciata con speranza grandissima di avere a riuscire, avendo uno esercito grosso, uno capitano valente, e gli inimici soli ed abbandonati di soccorso da tutti e' potentati di Italia. Ma el fine fu vergognoso e con assai danno, rispetto alla spesa fatta che fu grande, ed alla morte di piú commessari, cioè di Piero Corsini, Francesco Gherardi, Paolantonio Soderini e Pierantonio Bandini, de' quali Francesco Gherardi che nuovamente era salito in somma benivolenzia, non poté piú dolere alla città; la quale universalmente non si dolse della morte di Paolantonio, perché con tutto fussi valentissimo uomo e molto prudente ed eloquente ed amatore della libertà, nondimeno era tenuto ambizioso, e che desiderassi mutare el governo e ristrignere lo stato in pochi cittadini. Levato el campo da Pisa, si creò la signoria nuova per settembre ed ottobre, che ne fu gonfaloniere Giovacchino Guasconi, nel principio della quale trattando Paolo, desideroso di recuperare l'onore suo, che si rifacessi el campo, e di ritornare a Pisa, mostrando per molte ragioni che erano capace a qualche savio, che la impresa era facile, nondimeno la città vi rinculava e si risolveva al no, parte per essere stracca, parte per non avere piú fede in Pagolo, el sospetto del quale ogni dí cresceva per molti conti, massime doppo la tornata di Piero Vespucci che ne fece malissima relazione. In modo che non potendo la cosa stare piú cosí, che fussi capitano nostro uno riputato inimico nostro, anzi bisognando facessi qualche effetto, in ultimo Bernardo Rucellai, Filippo Buondelmonti, Luca degli Albizzi, concorrendo ancora nel parere loro Antonio Canigiani e Braccio Martelli che erano commessari in campo, ristrettisi col gonfaloniere e con Francesco Guiducci e Niccolò di Alessandro Machiavelli che erano de' signori, gli persuasono volessino fare punire Pagolo; e disposti per mezzo di questi tre gli altri signori, eccetto Antonio Serristori, che per essere in casa ammalato non gli fu conferito nulla, la signoria commesse a' commessari di Cascina quello avessino a fare; e' quali sotto colore di praticare el rifare el campo, lo chiamorono in Cascina a consiglio e quivi lo sostennono, e subito, come era ordinato, el signore Piero dal Monte e conte Pirro da Marciano ne andorono al padiglione di Vitellozzo per pigliarlo, ma intesa la cosa, sendo urtati da certi suoi uomini, ebbe tempo a salvarsi e si fuggí a Pisa, donde poi si ridusse a Castello. Venuta a Firenze la nuova della presa di Pagolo, la quale era segretissima a tutti e' primi cittadini, eccetti quegli che ne erano stati autori, la signoria, volendolo a Firenze, mandò subito per lui Filippo Buondelmonti e Luca di Antonio degli Albizzi, e' quali trovatolo per la via bene guardato, la sequente sera lo condussono a Firenze; ed avendolo subito esaminato a parole né cavandone cosa alcuna, lo messono alla fune ed avendogli dati piú tratti di fune e non confessando, lo ritrovorono con altri tormenti, ed ogni cosa in vano. E cosí avendo ricerche le lettere e scritture sua, ed esaminato con ogni modo Cerbone da Castello suo cancelliere, e messer Cherubino dal Borgo a San Sepolcro molto confidato suo, non vi trovorono cosa di sustanzia per la quale potessino comprendere che egli avessi, o per pratiche tenute con altri principi o per inclinazione sua ingannato la città. Ma sendo el gonfaloniere ed e' compagni in ferma opinione che lui avessi errato e che per essere uomo valente non si lasciassi sforzare da' tormenti, e cosí che messer Cherubino e Cerbone non confessassino perché lui non conferissi con loro e' sua segreti, lo effetto fu che gli otto per comandamento della signoria gli feciono, la sera poi che era stato condotto a Firenze, a ore ventitré, tagliare el capo, con grandissimo gaudio di tutto el popolo che lo riputava nocente, stando cheti e' cittadini di riputazione, a chi dispiaceva, per non venire in sospetto d'avere tenuto queste pratiche con lui. E cosí ebbe miseramente fine Pagolo Vitelli, el quale era allora in piú riputazione che altro capitano di Italia. Fu sanza dubbio uomo valentissimo nella arte militare e di buono animo ed atto a cose grandi, ed aveva condotta la vittoria di Pisa in termini, che si può dire, quando vi fu a campo, si riducessi a uno asso: ma ebbe molte parte da non satisfare a una republica come questa: fu uomo avaro, e che con ogni cavillazione cercava di vantaggiarsi sempre nelle condotte e ne' pagamenti; fu rozzo, e che seguitando le opinione sue non mostrava di stimare punto e' commessari ed e' cittadini si avevano a maneggiare seco, il che lo fece venire a noia a molti; volse sempre, nelle imprese che aveva a fare, tanti ordini e provedimenti, ed andare con tanta sicurtà e vantaggio, che recava alla città una spesa intollerabile, la quale trovandosi consumata per gli affanni di tanti anni, male volentieri comportava tanto carico; tenne sempre pratiche ed amicizie in Pistoia, nel Borgo a San Sepolcro ed in molte terre principale nostre, il che faceva sospetto a qualche savio che e' non fussi vòlto a fare stato e signoria nel dominio nostro. Ma circa alla principale cause perché e' fu morto, è opinione quasi chiara che e' fussi innocente; ed ècci una ragione potentissima, perché sendo lui nel mestiere del soldo, lo stato e lo essere suo era in essere riputato uomo valente e fedele, le quali cose tanto gli dava lo acquisto di Pisa e gli toglieva el non l'avere, che si può dire fussi fondata in quella impresa la gloria e riputazione sua; e si vede che l'avere Pisa gli recava grandissimo onore ed utilità sanza alcuno danno, e pel contrario el non l'avere, detrimento grandissimo sanza conoscervi drento compense di beneficio alcuno; inoltre se egli avessi malignato, non è da credere l'avessi fatto per suo disegno proprio, ma per qualche suo interesso che dependessi da satisfarne a altri: a' pisani non è credibile, perché da loro non poteva conseguire o danari o condizione o cosa alcuna, eccetto el dominio di Pisa, el quale gli sarebbe stato debito, sendo quella città spogliata ed avendola a difendere col suo; di poi di tanti pisani che si sono presi ne' tempi seguenti ed esaminati, de' quali ne è stati alcuni a chi erano noti tutti e' segreti di Pisa, ne sarebbe stato qualcuno da chi si sarebbe intesa questa pratica; a altri potentati di Italia ancora non è verisimile, né mai fu persona vi pensassi, eccetto al duca di Milano del quale si ebbe sospetto; e nondimeno chi considererà bene ne farà el giudicio medesimo, perché gli è certo che el duca, massime in questi ultimi tempi, desiderò assai che noi riavessimo Pisa per potere usare per capitano Pagolo in chi aveva gran fede, e quando fussi stato di appetito contrario, non è da credere che Pagolo l'avessi stimato, vedendolo in tanto pericolo col re di Francia che non ne poteva piú sperare cosa alcuna. In modo che per queste ragione io tengo certissimo che Pagolo andassi dirittamente colla città, e desiderassi per lo interesse ed onore suo sopra ogni altra cosa la vittoria di Pisa. Il che è tanto piú credibile, quanto meglio si possono giustificare le calunnie dategli e che lo mettevano in sospetto: e prima, se preso Vicopisano e' non volle andare diritto a Cascina e di poi alla espugnazione di Pisa, anzi finí la state nello acquisto di Librafatta, di Torre di foce ed in fare bastioni ne fu cagione perché e' pareva impossibile, sendo in Pisa molti valenti uomini pisani e molti soldati de' viniziani, ed essendo aperta la via del soccorso, acquistarla se prima non si chiudevano e' luoghi donde potessi venire aiuto; la quale cosa fatta, giudicava che el vedersi stretti e sanza speranza di piú aiuto gli invilirebbe tanto che piú facilmente si condurrebbono, ed inoltre che per questo modo mancherebbono loro le cose necessarie, in modo che o colle arme o colla fame se n'arebbe onore. E che questa fussi ragione di savio ci hanno dimostro poi gli effetti, e' quali ci hanno mostro quanto sieno stata difficile le imprese fatte contro a' pisani, ancora soli ed abbandonati da ognuno. Se le cose del Casentino andorono piú adagio che non si sperava o desiderava, ne fu cagione lo essere nel cuore del verno ed in luoghi asprissimi, la emulazione fra lui ed el conte Rinuccio, che faceva gli effetti suoi ancora in Firenze, e' provedimenti che per la stracchezza della città e malo governo si facevano tardi e deboli. Se lasciò andare Rinieri della Sassetta, non fu per dubio che e' rivelassi le pratiche sue col duca, le quali né l'uno né l'altro, quando fussino state, gli arebbe confidate, ma perché vedendolo andare a una morte e strazio manifesto, seguitò in questo la commune consuetudine de' soldati di Italia, che considerando a' casi che possono intervenire in sé, si riguardano l'uno l'altro. Se el dí di san Lorenzo, che si prese Stampace, non seguitò contro agli inimici, fu perché quella vittoria fu sanza ordine ed improvisa, ed in dí che non era deputato el dare la battaglia, in modo che lui non sapendo el disordine degli inimici, si stette come prima aveva disegnato; se e' differí poi el dare la battaglia, fu perché non considerando a' casi estraordinari delle malattie, giudicò Pisa essere in termini che conveniva si pigliassi, e però volle piú tosto differire tre o quattro dí per acquistarla con poco pericolo e facilmente, che averla piú presto con difficultà e danno grandissimo; se in ultimo e' non dette la battaglia, ne furono causa le malattie, delle quali lui non era indovino, né vi poteva riparare. Per le quali cose si può conchiudere e fermare la innocenzia sua, e nondimeno la opinione contraria era tanto radicata in quasi ognuno, che la sua morte fu gratissima, in modo che Giovacchino Guasconi, benché e' non fussi valente uomo, anzi, come di poi si scoperse, debole e da poco, ne acquistò grandissima riputazione ed autorità. Soportò la morte Paolo con animo grandissimo e come si apartiene a' valenti uomini, non vilmente querelandosi e dolendosi, non faccendo segno di sbigottirsi e perturbarsi di una morte violenta e sí vicina e sempre dicendo che per suo conto e' sua figliuoli né quegli di casa sua non potrebbono mai essere chiamati traditori. Fu impiccato con lui messer Cherubino dal Borgo che era nostro ribelle, e Cerbone fu confinato nelle Stinche in perpetuo. Fatto questo, el gonfaloniere volonteroso in tutte quelle cose in che e' credeva satisfare alla moltitudine, propose una legge, che e' si creassino cinque uomini con autorità di rivedere dove erano andati e' danari aveva spesi la città, ed e' conti di chi gli aveva maneggiati, e chiarire debitori chi si trovassi in mano danari apartenenti al commune, la quale legge vinta e creati e' cittadini, fu cosa ridicula che, come gli uscí di palagio, fu notificato a loro, ed el primo che fussi da loro condannato. E la cagione fu, perché sendo lui imbasciadore in Francia, ed a Milano messer Francesco Pepi, si fece una legge per la quale si accrescevano e' salari agli imbasciadori; e perché le leggi raguardano in futuro, messer Francesco Pepi e lui, che già erano fuori, non vi si includevano e non vi furono compresi espressamente, o per inavvertenzia di chi la fece o pure perché cosí fussi la loro intenzione. Di che ritornati a Firenze, e parendo che, se bene secondo el rigore non avessino a godere el beneficio di quella legge, pure che la equità gli aiutassi e vi fussi la medesima ragione che negli altri che furono fatti poi, cercorono di essere pagati in quella forma; e Giovacchino sendo gonfaloniere scioccamente fece pagare sé e messer Francesco. E però subito come fu uscito, sendo notificati a' cinque uficiali, furono chiariti debitori di quella somma e condannati a riporre su quello che avevano soprapreso, e cosí la legge fatta da Giovacchino in danno ed infamia di altri per satisfare al popolo, ritornò in capo suo. XIX LA FINE DEL POTERE DEGLI SFORZA A MILANO. PRIME CONQUISTE DEL VALENTINO (1499-1500). In questo tempo, e poi che el campo nostro si levò da Pisa ed innanzi fussi morto Pagolo Vitelli, e' franzesi, e con loro messer Gian Iacopo da Triulci fuoruscito di Milano ed inimico del duca, scesi in sullo stato di Milano, presono Non, castello fortissimo, ed altri luoghi di quello stato; da altra banda e' viniziani roppono guerra di verso Lodi. Ma perché el duca si rincorava difendersi da' viniziani con poca perdita e gli premevano piú e' franzesi, spinse tutte le gente sua a Alessandria della Paglia alle frontiere de' franzesi sotto messer Galeazzo a Sanseverino, el quale era bellissimo giostratore, ma per viltà e poca esperienzia nella arte militare non punto atto a guidare uno campo; dove venendo e' franzesi doppo uno acquisto prestissimo i Valenza, Tortona ed altri luoghi circumstanti, inviliti bruttamente sanza aspettargli abandonorono Alessandria in modo che tutta quella provincia si dette subito a' franzesi; ed el duca sbigottito, non avendo soccorso d~ luogo alcuno, dubitando non essere rinchiuso in Milano accompagnato da monsignore Ascanio suo fratello, da messer Galeazzo da Sanseverino ed altri gentiluomini, insieme co' figliuoli e col tesoro si fuggí nella Magna, e lasciò el castelletto bene guardato, fattone castellano Bernardino da Corte suo allevato, con disegno che tenendosi el castelletto, di fare esercito nella Magna, e per via del castello recuperare Milano. E partito lui, e' milanesi, che già avevano deputati alcuni gentiluomini a governo della terra, mandati imbasciadori a' franzesi, si dettono loro; e quali, entrati drento pochi dí poi, per defetto del castellano che vi era drento, el quale el duca aveva scelto per piú fedele, acquistorono el castelletto; e cosí tutto lo stato di Milano venne interamente in mano del re, eccetto Cremona e la Ghiaradadda, le quali, secondo le convenzioni, furono de' viniziani, benché e' cremonesi, non ostante che el campo de' viniziani fussi intorno alle mura stessino molti dí duri e mandassino imbasciadori al re che gli volessi accettare. Ma el re, con tutto che ne fussi stimolato molto da' milanesi, non vi volle acconsentire né mancare della osservanzia della fede, e loro sanza colpo di spada acquistorono uno stato di entrata ducati centocinquantamila lo anno, e che era el terzo del ducato di Milano, benché in quel tempo medesimo avessino grandissimi danni dal turco, che tolse loro Modone, Lepanto, Corone, luoghi importantissimi. E cosí facilmente si perdé lo stato di Milano e divisesi in mano degli inimici sua..... La quale cosa benché dolessi a tutti quegli a chi dispiaceva Italia squarciarsi e venire al tutto in mano di barbari e da altra banda e' viniziani ogni dí diventare maggiori, nondimeno ognuno d'accordo confessò che e' modi e portamenti di quello principe l'avessino meritato. Perché se bene e' fu signore di grande ingegno e valente uomo, e cosí mancassi di crudeltà e di molti vizi che sogliono avere e' tiranni, e potessi per molte considerazioni essere chiamato uomo virtuoso, pure queste virtú furono oscurate e coperte da molti vizi; perché e' fu disonesto nel peccato della soddomia, e come molti dissono, ancora da vecchio non meno paziente che agente; fu avaro, vario, mutabile e di poco animo; ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la quale, per essere arbitro di Italia, lo costrinse a fare passare el re Carlo ed empiere Italia di barbari; e poi sendo tornato el re Carlo in Francia ed essendo tempo da riunire Italia, a acconsentire anzi confortare e' viniziani pigliassino la guardia di Pisa, acciò che la guerra e perturbazione di altri aprissi la via a qualche suo ghiribizzo, le quali cose per giusto giudicio di Dio, ritornorono, benché con danno e ruina di altri, finalmente sopra el capo suo. Spacciato lo stato di Milano, la città nostra rimase molto ambigua ed in aria, perché, avanti che le genti del re scendessino in Italia, sendo richiesti dal re capitolare seco contro al duca di Milano, l'avevano sempre recusato, allegando non poterlo fare perché el duca guasterebbe loro la impresa di Pisa, pure strignendoli, si gli era secretamente promesso di non gli essere contro, con speranza che espedite le cose di Pisa, si procederebbe piú là. Venute di poi le gente sua in Italia, strignendo ogni di piú lui la declarazione, la città se ne risolve tanto adagio, che lui acquistò prima Milano che se ne facessi conclusione alcuna, nondimeno gli oratori nostri feciono seco in Lione una bozza di appuntamento con condizione assai ragionevole, con riservo che fra tanti giorni avessi a essere approvato dalla città. Nel qual tempo sendo già venuto el re in Italia e parendogli; per essere le condizione sua migliore, da potere trarre da noi piú somma di danari, o perché gli fussi fatte sinistre relazione di noi che ci intendessimo col duca di Milano, stimulato ancora da' viniziani inimicissimi nostri e da messer Gian Iacopo da Triulzi al quale e' pisani aveano offerto el dominio di Pisa, e lui ne ricercava el consenso del re, mutò le condizione di quello si era ragionato in Francia, in modo che innanzi si facessi conclusione, furono le difficultà molte ed e' trattati lunghi; pure finalmente si fece conclusione, intervenendovi per la città con libera commissione gli oratori vecchi ed e' nuovi che erano stati mandati a congratularsi: messer Francesco Gualterotti, Lorenzo Lenzi ed Alamanno Salviati. Di che fu lo effetto che noi fumo finalmente accettati da lui in lega, e si obligò a mandare le gente sue a recuperare e restituirci Pisa e le cose nostre, eccetto Serezzana, ed e converso la città si obligò pagare a lui quella quantità di danari di che eravamo debitori al duca Lodovico, che ce ne aveva serviti in prestanza, che furono circa a fiorini venticinquemila, dargli un certo sussidio di uomini d'arme e di fanterie, in caso gli fussi molestato lo stato di Milano; e cosí per la impresa disegnava fare del reame di Napoli, servirlo di quattrocento uomini di arme e cinquemila svizzeri pagati per tre mesi, o in cambio di quegli svizzeri dargli ducati cinquantamila, tôrre a instanzia di San Piero in Vincola per nostro capitano el prefetto di Sinigaglia suo fratello. E si stipulò el contratto, e per molte parole e segni sue si fece allora giudicio fussi bene disposto inverso la città; e cosí stato poco a Milano, si ritornò di Francia, dove lo seguitorono per conto della città messer Francesco Gualterotti e Lorenzo Lenzi. Ne' medesimi tempi sendo gonfaloniere di giustizia per novembre e dicembre Giovan Batista Ridolfi, uomo che per conto della casa, di essere riputato prudentissimo, e per molte qualità era stimato assai si propose in consiglio grande una provisione di danari, la quale non si vincendo ed essendo ita a partito molte volte, Giovan Batista non potendo soportare che una provisione sí necessaria non si vincessi rittosi disse che se gli animi de' cittadini erano volere abandonare la città, che quegli eccelsi signori non lo patirebbono e, quando non avessino altro rimedio, sosterrebbono le paghe del Monte de' tre quattro e sette per cento. La quale parola benché fussi detta con animo libero ed affezionato alla città, nondimeno dispiacque tanto a chi la udí, che ricimentandosi subito la provisione, gli scemò el favore in tanta somma che non fu piú possibile vincerla. Il che ho voluto dire, perché chi ha a governare la città si ricordi che chi non può sforzare e' popoli, bisogna che proceda con loro con dolcezza e pazienzia; e come si viene all'aspro, cominciono a sdegnare ed intraversarsi, in modo che non si dispongono piú a fare nulla. In questo tempo Cesare Borgia, chiamato el Valentino per avere in Francia uno stato di quello titolo, con le gente di papa Alessandro suo padre ne venne allo acquisto dello stato di Imola e Furlí, ed el re, secondo le convenzioni fatte con loro quando ottenne la dispensa, gli serví di trecento o quattrocento lancie di piú condotte, sotto el governo di monsignore di Allegri, con tutto che per noi si facessi grande instanzia che prima mandassi a espedire la impresa di Pisa, ed el re vi fussi inclinato; ma lo vinse la importunità del papa. La quale cosa vedendo quella madonna, donna di grandissimo animo e molto virile, mandatone a Firenze e' figliuoli, benché grandi, con tutto el mobile suo, si preparò gagliardamente alla difesa, ma sendo abbandonata da tutti, perché nessuno ardiva opporsi a chi aveva el segno e favore di Francia, finalmente ribellandosi e' popoli, e lei sendo rinchiusa ed assediata nella ròcca di Furlí, el Valentino, per male guardia per trattato di quegli che erano drento, ebbe la ròcca, dove presa madonna Caterina la mandò a Roma; e cosí insignoritosi di quello stato, fondò el principio suo e cominciò, per essere in sulle arme e co' danari e forze della Chiesa, a essere temuto. Circa a questi tempi ancora, sendo venuto el tempo della prima paga s'aveva a fare a' viniziani de' ducati quindicimila per conto del lodo del duca di Ferrara e non essendo fatta, e' viniziani feciono rapresaglia delle robe nostre che erano in sul territorio loro; la quale cosa non fu di danno, perché a' piú de' mercatanti fiorentini che vi erano, non fu tocco nulla per privilegi avevano della civiltà, e gli altri, sendone stati avvertiti, avevano assentate le cose loro, in forma che non se ne patí niente, e nondimeno, come si intese a Firenze, vi fu deputato imbasciadore per giustificare le cose nostre messer Guidantonio Vespucci, e di poi, parendo che questa gita fussi invano, mutato el consiglio in meglio, non fu mandato. Nel medesimo anno, essendo gonfaloniere di giustizia per gennaio e febraio messer Francesco Pepi, ed avendo la città bisogno di danari, doppo molte dispute si propose finalmente una gravezza ingiusta e disonesta ed in grandissimo danno di coloro che avevano entrata di possessione. Erasi doppo el 94 posta, per uno magistrato deputato a ciò, una decima universale a tutti e' beni de' secolari, ed erasi usata qualche anno, ponendone secondo e' casi che occorrevano, una, dua o tre per volta. ma perché questa decima gittava poco, chi era trovatore di gravezze nuove ordinò in detto tempo che vi si facessi su una scala in su quegli che pagavano di decima da cinque ducati in su, e di cinque ducati in cinque si multiplicassi, in modo che quando si poneva una decima chi aveva di entrata cinquanta ducati gli toccava a pagare cinque ducati solo, chi n'aveva trecento, gliene sarebbe tocco da ottanta o cento; in modo che dove quello pagava uno decimo della entrata sua, questo altro ne pagava uno quarto o uno terzo, e chiamavasi decima scalata. Di modo che ponendosi l'anno tre o quattro di queste decime, chi aveva di entrata ducati cinquanta pagava un terzo o un quarto della entrata sua; chi n'aveva trecento pagava tutta la entrata sua; e multiplicandosi proporzionabilmente, chi aveva di entrata cinquecento o seicento ducati, pagava l'anno una volta e mezzo o dua la entrata sua. Questo modo cosí proposto, benché fussi ingiustissimo e di danno al publico, perché gli è utilità della città mantenere le ricchezze, pure pensando ognuno alle commodità sua, aveva favore assai; principalmente tutti e' poveri, avendo a avere una gravezza, volevano piú tosto questa che una altra, perché la gli offendeva poco, tutti coloro che erano ricchi di danari la favorivano, perché la non gli percoteva; restavano solo quegli avevano molte possessioni, e' quali erano pochi; e se alcuno altro, se ne ritraeva per la disonestà della cosa. Messasi a partito in consiglio e non si vincendo le prime volte vi parlò su Luigi Scarlatti che era di collegio, molto vivamente, mostrando che egli era ragionevole che chi aveva piú ricchezze sentissi piú e' carichi della città, soggiugnendo che se e' si dolevano che questa gravezza gli impoverissi, che e' gli scemassino le spese, e se non potevano tenere cavalli e servi, facessino come lui che andava in villa a piè e si serviva da sè; e con queste ed altre simili parole si riscaldò in modo che el parlare suo di dispiacere e di disonestà avanzò la provisione. La quale si vinse con carico grande della signoria apresso agli uomini da bene, e tanto piú quanto sendo stato messo innanzi questo modo alla signoria passata, Giovan Batista Ridolfi, che era gonfaloniere benché non fussi ricco di possessione, l'aveva sempre ostinatamente ricusata, in modo che a tempo suo non si apiccò mai. Ritornato, come di sopra è detto, el re in Francia, lasciato bene guardato el castelletto e gente assai alle stanze nello stato nuovamente acquistato, e' milanesi che sommamente avevono desiderata la ruina del duca Lodovico, avevano mutato volontà, e con tutto che e' modi de' franzesi non fussino stati disonesti in verso loro e non gli avessino oppressati ed in effetto non si potessino dolere della signoria loro, nondimeno sendo di natura e sangui diversi, ed inoltre non si potendo assettare a mancare di quegli piaceri ed ornamenti dava la corte, ne erano tanto infastiditi che non gli potevano comportare; e però molti gentiluomini stimolorono segretamente el duca che era nella Magna, che e' volessi ritornare, mostrandogli la via essere facile a riacquistare lo stato suo. E però lui, seguitando e' loro conforti, ragunato buono esercito, accompagnato da Ascanio e gli altri che l'avevano seguitato, ne venne alla volta di Milano, e non trovando contradizione alcuna, riebbe pacificamente, da el castelletto in fuora tutto quello tenevano e' franzesi di suo. E parendogli essere certo che e' franzesi ritornerebbono con grosso esercito in Italia, si volse a tutti quegli rimedi che e' poteva pensare importassino la salute sua: condusse assai svizzeri e lanzinech, in modo che fece uno potente esercito mandò subito a Vinegia a pregargli volessino essere seco, promettendo loro quietanza di Cremona e Ghiaradadda, ed anche qualche altro vantaggio; scrisse a Firenze congratulandosi come con amici e richiedendo in tanto suo bisogno la restituzione di quegli danari aveva prestati loro, fece le medesime opere col pontefice; ed ogni cosa invano perché né el papa, né e' viniziani, né e' fiorentini vollono in modo alcuno scostarsi dal re. Fece ogni sforzo di ottenere el castelletto, ma difendendosi e' franzesi gagliardamente ed avendo abondanzia d'ogni cosa, non lo ottenne. Ma come la nuova di questa ribellione fu in Francia, si messono con somma velocità in ordine le gente da ritornare alla ricuperazione, e passorono e' monti con gran prestezza; nel quale tempo la città osservando le convenzione aveva col re, gli dette certa somma di danari in scambio degli uomini d'arme e fanterie di che era pe' capitoli obligata a servirlo per difesa della ducea di Milano. Da altra banda e' franzesi che erano in Romagna agli aiuti del Valentino, stretti insieme si ritrassono per tutto lo stato di Milano in Novara, donde che el duca parendogli non potere reggere tanta piena e bisognare tentare la fortuna, raccozzato tutto lo esercito suo, ne venne a Mortara alle frontiere de' franzesi, con animo di fare fatto di arme. Ma quegli svizzeri erano nel campo suo, tenuto pratica con svizzeri erano a' soldi del re, quando fu el tempo di apiccarsi si tirorono da parte in forma che, abandonato dalle fanterie, fu con poca fatica rotto, e lui miserabilmente preso, ed insieme messer Galeazzo da Sanseverino; monsignore Ascanio fuggendo, fu in sulle terre de' viniziani preso da Bartolomeo d'Albiano loro condottiere e menatone prigione a Vinegia. E' milanesi, udita la nuova, non avendo riparo alcuno, capitolorono, salvo l'avere e le persone, con patto di pagare al re in certi tempi ducati trecentomila, di che el re rimesse loro poi buona parte. El quale accordo dispiacque tanto a svizzeri, a chi era stato promesso che Milano andrebbe a sacco, che, rubate, le artiglierie del re, si tirorono da canto in luogo sicuro, e fu necessario, per accordargli, dare loro, credo, ducati centomila che s'erano di presente avuti da' milanesi; e cosí Milano tornò nuovamente in mano del re, ed el duca ne fu menato prigione in Francia. E poco poi lo seguitò monsignore Ascanio, perché e' viniziani richiestine dal re, benché male volentieri, pure per paura che avevano di lui gliene dettono, e per la medesima paura roppono e' salvocondotti a tutti e' gentiluomini milanesi che si erono fuggiti in sul loro, e gli dettono prigioni al re. E cosí gli Sforzeschi perderono interamente lo stato, sendo presi el duca ed Ascanio, e Caterina madonna d'lmola cacciata di signoria, ed inoltre un piccolo figliuoletto di Giovanni Galeazzo menatone in Francia e quivi fatto abate di una grossa badia, rimasene solo Giovanni signore di Pesero che poco poi perdé lo stato, ed Ermes fratello minore di Giovanni Galeazzo, uomo di poco sentimento, ed e' figliuoli del duca Lodovico, e' quali erano nella Magna in corte di Massimiliano; e cosí si notò che tre grandi casa di Ragona, Sforzeschi e Medici, che avevano acquistato potenzia in Italia, averla ancora perduta quasi in uno medesimo tempo. XX GUERRA DI PISA. DISORDINI A PISTOIA. IL VALENTINO CONQUISTA FAENZA (1500). 1500. Cominciò di poi l'anno 1500 con grandissima speranza di reintegrarsi delle cose nostre. Erasi la città molto rallegrata della vittoria del re, perché, sendo lui espedito, pareva potessi attendere a mandarci le gente alla impresa di Pisa, come era obligato pe' capitoli fatti a Milano; e tanto piú si credeva lo dovessi fare, quanto piú doppo la perdita di Milano eravamo stati constanti seco, e pagatogli quegli aiuti a che eravamo tenuti, e lui aveva continuamente promesso che riavendo Milano, riconoscerebbe la fede e fatiche nostre, e si presupponeva che, mandandoci le gente, la riputazione e forze loro fussino tali che assolutamente ci avessino a insignorire delle cose nostre. Fu adunche per publica commessione richiesto dagli oratori nostri ricordatagli la integrità ed affezione della città, di volerci osservare le promesse; ed inoltre Lorenzo Lenzi, uno degli oratori, uomo vòlto al bene ma poco prudente, lo richiese sanza averne commessione, di Siena e Lucca, a che rispondendo el re: «se io ve lo dessi, che daresti voi a me?» rispose in modo appiccò la pratica di danari. Della quale cosa ebbe a Firenze carico grandissimo, parendo che questa offerta potessi essere cagione di fare pensare al re in che modo potessi cavare della città tanta somma di danari, sanza acquistarne nondimeno Siena o Lucca; e fu riscritto agli oratori che tenessino pratica delle cose nostre e non pensassino a quelle d'altri. El re adunche, richiesto della osservanzia de' capitoli, rispose essere parato; e si dette ordine che uno esercito grosso di uomini d'arme franzesi e fanterie di svizzeri e guasconi partissino a uno tempo diputato alla volta di Pisa, e fu dato loro per capitano monsignore di Beumonte, el quale, per averci al tempo del re Carlo restituito Livorno, era riputato amico e confidato alla città. Ed essendosi data a queste genti una paga del mese di maggio, si dondolò tutto el mese di che erano pagati innanzi partissino; perché avendo messer Giovanni Bentivogli per paura di questo esercito capitolato col re di pagargli in certi tempi ducati quarantamila, ed interim dargli buona sicurtà e cosí e' signori della Mirandola, Coreggio e Carpi non volle Roano che si trovava a Milano e apresso a lui Piero Soderini, comandare a dette gente cavalcassino se prima non aveva ricevuto quelle sicurtà, e cosí consumorono tutto maggio in Lombardia a' propositi del re, benché pagati da noi. E però, non si potendo muovere sanza dare una altra paga, si fece una pratica grande di cittadini di quello era a fare, perché molti, insospettiti di questo indugio e dubitando non fussino inganni, giudicavano che e' fussi meglio rispiarmare e' danari e non tentare una impresa che sarebbe di spesa grandissima e di poi riuscirebbe vana. Finalmente vincendo al modo usato la cupidità di Pisa, si diterminò seguitare e mandossi loro una altra paga, la quale giunta, si rassegnarono dette genti in Parmigiana, dove si trovò piú di millecinquecento fanti oltre al numero disegnato, e' quali bisognò pagare, ed avuta la paga si partirono per venirne a Pisa per la via di Pontriemoli; vennono di poi a Pietrasanta, e mandorono in Lucca a chiedere fussi consegnata loro, protestando altrimenti di trattargli come inimici e rubelli del re. Sopra la quale dimanda, benché in Lucca fussi tumulto grande, parendo agli uomini savi e da bene per fuggire maggiore male di concederla, e la multitudine di negarla, pure alla fine consegnorono loro e la terra e la fortezza. Vennonne di poi all'intorno di Pisa, dove erano già giunti Giovan Batista Ridolfi e Luca di Antonio degli Albizzi elèttivi commessari generali, e vi si accamporono del mese di giugno, sendo la opinione d'ognuno confermata per la riputazione aveva e per le gagliardissime parole avevano usate, che l'avessino in pochi dí a inghiottire. La quale opinione fu assai ingannata dagli effetti, di che fu principalmente cagione la disubbidienzia ed e' disordini loro, accompagnata nondimeno da qualche nostro difetto d'avere scarsamente e con poco ordine proveduto a munizioni e vettovaglie. Perché consumando e straziando naturalmente quella gente quantità assai di vettovaglie, e non ve ne sendo in quegli primi giorni che vennono in sul terreno nostro, molta abondanzia, cominciorono le fanterie a rubare quelle che venivano ed a disordinare el campo. Alle quali cose non ponendo el debito rimedio el capitano, benché desideroso di vincere la impresa ma per non essere atto a farsi stimare ed ubbidire come si richiedeva benché sul principio che si ridussono a campo a Pisa si portassino piú moderatamente, in forma che feciono gagliarda fazione circa al battere el muro della terra con le artiglierie e dare una battaglia fiera, pure per ogni poco di vettovaglia che mancava ritornando a' primi modi multiplicorono tanto e' disordini, che non solo rubavano e mettevano a sacco le vettovaglie che venivano in campo, ma etiam cominciorono a fare ogni dí varie dimande disoneste e porre nuove taglie, delle quali non sendo contenti, gridavano e minacciavano el commessario nostro, che vi era rimasto solo Luca degli Albizzi, perché Giovan Batista, dicendo essere malato, si era tornato a Firenze. E finalmente el dí che si dava la paga a' svizzeri, e' guasconi, non sendo venuto ancora el tempo della paga loro a otto o dieci giorni, gridando che la paga non s'aveva a dare in uno medesimo campo a diversi tempi, si levorono da campo e presono la via di Lucca; né mai, benché fussino mandati a richiamare, vollono tornare indrieto, in forma che el campo diminuito di fanterie, fu constretto a levarsi quasi come rotto, con grandissima diminuzione della riputazione loro, la quale era grandissima per avere insino a quello dí ottenuta ogni impresa che avevano fatta. E nel partire, una compagnia di svizzeri, venuta nuovamente in campo da per loro come venturieri, come uomini bestiali e sanza ragione prese Luca degli Albizzi nostro commessario chiedendo una paga, in forma che fu constretto per uscire delle loro mani promettere loro milletrecento ducati per una paga; e' quali, come fu libero da loro, gli mandò loro di quegli si trovava del commune. Udita a Firenze questa partita loro, si fece giudicio nella multitudine che questo fussi stato inganno fatto per ordine del re, in modo che nello universale se ne sparlava sí bruttamente, quanto fussi possibile; da altra parte el re, dolendosi assai di questo disordine e parendogli metterci di onore grossamente, desiderava fermare almeno le genti di arme in sul nostro per fare a' pisani una guerra guerreabile, insino a tanto che noi fussimo a ordine di danari ed altre cose necessarie a potere rifare la impresa. La quale cosa essendogli negata, parte per la impossibilità della città, parte per el sospetto nato negli animi del popolo, si cominciò a alterare forte con noi, dicendo che questi disordini erano nati per non si essere provisto di vettovaglie e munizioni come si doveva, o perché cosí credessi per suggestione di quegli capitani che erono stati nella impresa, o pure perché, non ostante sapessi el vero, volessi salvare l'onore delle sue genti el piú poteva. Alterossi ancora assai perché non avendo noi, come è di costume de' svizzeri, voluto pagare loro la paga del ritorno, perché ci pareva che e' portamenti loro la avessino male meritata e perché gli uomini savi non potevano disporre el popolo a questi pagamenti e' quali non si potevano sanza porre nuovi danari fare, cominciorono a gonfiare gli animi. Di che el re si sdegnò assai, e rivocate le gente, si riserbò Pietrasanta e pochi mesi poi la rendé a' lucchesi, avutone però buona somma di danari; e cosí disposti male gli animi tra el re e noi, la città rimase seco di mala condizione, ed el timore fu causa non si rompessi seco apertamente, ma mala volontà e poca fede vi era quanto fussi possibile. Poi che e' franzesi furono levati da campo da Pisa e partiti ultimamente de' terreni nostri e noi da altro canto spogliati di gente e riputazione e disordinati di danari, perché el popolo stracco di tante spese e disperato di ogni buono successo, non voleva vincere alcuna provisione di danari, e' pisani cominciorono a scorrere el contado di Pisa, per la qual cosa chi era a guardia di Librafatta e del bastione della Ventura, bastione fortissimo, avendo carestia di vettovaglie, e cosí di qualche munizione, ne dettono piú volte aviso a Firenze; ed erano e' mancamenti loro sí piccoli, che con dugento o trecento ducati si potevano riparare. Ma la signoria, che ne era gonfaloniere di giustizia Piero Gualterotti, uomo da poco nelle cose dello stato, e de' signori tra gli altri Filippo Buondelmonti, Piero Adimari, Piero Panciatichi e Piero di Niccolò Ardinghelli, non vi providono, e vollono più tosto alcuni di loro rimborsarsi di certa somma di danari che avevono prestati al commune, che soccorrere quegli luoghi acquistati e fatti con grandissima spesa e perdita di tempo. In forma che andandovi e' pisani a campo, quegli di drento mancando loro vettovaglie ed altre cose necessarie a difesa, si arrenderono, ed e' pisani avuta questa vittoria, si riserborono Librafatta ed el bastione disfeciono e rovinorono insino a' fondamenti. E cosí disordinandosi lo stato nostro successe a tempo de' medesimi signori un altro maggiore inconveniente. È la città di Pistoia divisa antichissimamente in due parti: Panciatichi e Cancellieri, e' quali sendo famiglie nobilissime avevono infetta e macchiato delle loro divisione tutta la città ed el contado in modo che tra loro ed e' seguaci erano state piú volte uccisione grandissime e cacciate ora dell'una parte ora dell'altra, in forma che questi odi ed acerbità erano doppo el corso di molti anni e di molte offese diventati in loro sí naturali, che eziandio poi che perderono la loro libertà e vennono sotto la iurisdizione fiorentina, si continuorono non ostante che, avendo perduto la amministrazione della città, fussi in parte cessata la materia per la quale gli uomini sogliono contendere. Ed avendo nelle loro quistione a ricorrere a Firenze, avevano operato in modo che tutti gli uomini della città che maneggiavano lo stato erano, continuandosi ancora ne' descendenti, battezzati fautori chi di una parte, chi di una altra; e nondimeno con una moderazione, che e' si ingegnavano che queste quistioni procedessino piú tosto con favori, che con arme ed uccisione. Doppo el 94 vi era quella medesima rabbia, e piú ne' sequaci ed aderenti ancora che ne' capi, perché l'una e l'altra famiglia, sendo per le antiche sedizione delle città di Italia fatti de' Grandi, non potevano secondo le legge di Pistoia participare degli ufici e preeminenzie loro ed inoltre e' Cancellieri, venuti in povertà, erano in bassezza e di poco credito e qualità. E' Panciatichi ancora, benché non fussino sí poveri, nondimeno non erano in quella ricchezza né in quello numero di uomini e potenzia che solevano essere, il che era proceduto da queste parti, nelle quali l'una e l'altra casa aveva sempre portato adosso tutti e' carichi e le spese, e non participato di quegli pochi utili che vi erano, e pel contrario e' partigiani trovatisi piú a participare la utilità che e' pesi; in modo che sendo loro cresciuti, erano in tanto seguito che sostenevano el pondo della parte, e vedutosi per gli altri che v'avevano fatto bene, ognuno per acquistare cresceva tutto dí queste quistione. E benché e' non fussino in piú odio fra loro che e' solessino essere innanzi al 94, nondimeno, per essere la città nostra diminuita di forze e di riputazione vi si cominciorono a esercitare piú vivamente; in forma che multiplicando d'uno inconveniente in uno altro, vi si era tenuti molti anni quasi fermamente commessari che si ingegnassino di pacificargli e non gli lasciare disordinare. Ed in ultimo, avendo l'una parte e l'altra piú volte fattisi ingiuria e venuti in uccisione, la conclusione fu che a tempo di questa signoria, e' Cancellieri avendo avute fanterie del bolognese, donde sempre avevano tratto favore, per essere prima Rinuccio e poi Chiarito, pistolesi di quella parte, a' servigi di messer Giovanni Bentivogli, assaltorono con arme la parte panciatica, e non vi si potendo riparare pe' rettori e commessari vi erono, gli cacciorono di Pistoia ed arsono tutte le casa de' capi di quella parte. Ebbene la signoria grandissimo carico, perché intendendo le cose disordinarsi non vi feciono e' provedimenti bisognava e lasciorono scorrere e fare effetti di natura che furono per importare, come piú chiaramente si dirà, la ribellione di Pistoia; in modo che uscirono di magistrato con grandissimo carico, gridando molti popolanotti, che si voleva seguitare lo esemplo de' passati e non fare de' signori di casa di famiglia, e questo per essere stato gonfaloniere Piero Gualterotti e de' signori Filippo Buondelmonti, Piero Adimari e Piero Panciatichi, tutti di famiglia. E' Panciatichi cacciati ne vennono miserabilmente a Firenze, dove consultandosi le cose loro, era gran disparere tra' cittadini, e molto si riscaldavano e' fautori dell'una parte e dell'altra. Gli amici de' Panciatichi erono in minore numero ed anche andavano lentamente e ne erano quasi capi Piero Soderini, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati, e' quali non si scoprivano molto e procedevano con rispetto; ma lo universale e la multitudine del popolo era volta in beneficio loro, mossi, come è usanza de' popoli, dalla compassione. Allegavasi per costoro molte ragione: el debito della città superiore, che è di tenere e' sudditi in piú quiete sia possibile ed in modo che e' possino usare e godere le cose loro, né essere molestati quando si portano bene; e se pure errano, avergli a punire e' superiori, non permettere che e' sudditi sieno giudici e castigatori l'uno dell'altro. Aggiugnevasi che e' Cancellieri non solo avevano errato in fare tanto eccesso, ma eziandio sprezzato tutti e' comandamenti e bandi de' nostri uficiali e commessari e contro a mille proibizione ed in sugli occhi loro avere per spazio di piú dí continuato ardere le casa e guastare Pistoia, e però essere necessario per sicurtà dello stato farne tale dimostrazione, che sia esemplo a tutti gli altri sudditi che e' non abbino ardire muoversi contro alla voluntà della città, in ultimo essere da considerare bene che sendo stati e' delitti loro grandissimi, e conoscendo eglino quanto abbino offeso la città, non si fiderebbono mai anzi alla prima occasione si ribellerebbono, e la disubidienzia loro mostrava questo animo, e però essere necessario prevenire ed assicurarsene in modo col restituire e' Panciatichi alla patria ed alle facultà, che piú non s'avessi da dubitarne. Avevano e' Cancellieri moltissimi fautori: una parte naturalmente; una parte di quegli erano stati inimici de' Medici, e' quali odiavano e' Panciatichi perché Lorenzo e la casa de' Medici gli aveva sempre favoriti; una parte di quegli erano stati inimici de' Vitelli perché una sorella di Paolo e di Vitellozzo era maritata a uno figliuolo di Niccolaio Braciolini, uno de' capi panciatichi, e per questo rispetto e Vitelli avevano sempre dato favore a quella parte. Eranne capi messel Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai messer Francesco Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Guglielmo de' Pazzi, e' Nerli, Lorenzo di Pierfrancesco, Luca d'Antonio degli Albizzi, Iacopo Pandolfini, de' quali, Giovan Batista Ridolfi se ne portò sempre costumatissimamente messer Guido e Bernardo Rucellai se ne scopersono in modo che n'ebbono grandissimo carico, e fu dal popolo imputato a loro in gran parte questo disordine. Ingegnavansi di giustificare le cose fatte da' Cancellieri essere state per difetto e colpa de' Panciatichi, e che loro avevano dato principio a questo movimento, e però giustamente essere tornato loro in capo scusavano la disubbidienzia, la quale non si era usata con animo deliberato, né contro al pubblico e segni o iurisdizione della città nostra, ma in sulla furia e contro a' loro inimici; mostravano che sendo e' Panciatichi stati favoriti da' Medici e Vitelli nostri rubelli erano amici degli inimici nostri, e però essere da vezzeggiare e' Cancellieri acciò che non lasciassino gli inimici nostri alterarci lo stato di Pistoia. Conchiudevano che quando e' fussi l'utile della città procedere contro a' Cancellieri, che si voleva considerare se si poteva fare, essere Pistoia nelle mani loro, noi trovarci sanza arme, sanza forze sanza riputazione e sanza danari; e però essere pericolo che, veduto l'animo nostro, non prevenissimo e si ribellassino; consigliare loro che si cercassi colle ragione, co' conforti e modi buoni posare queste quistione, rapacificargli insieme e fare che d'accordo e' Cancellieri gli rimettessino in Pistoia. Consumavasi con queste quistione el tempo, né si faceva risoluzione e quelle si facevano, per essere la città debole e sanza timone, non si eseguivano; in forma che in ultimo e' Panciatichi, disperati avere a tornare col braccio della città, si attesono a fare forti nel contado dove avevano gran parte, e vi si fece assai disordini ed uccisioni come di sotto si dirà, con grandissima vergogna e vituperio della città. Ed allora si conobbe quanto sarebbe stato utile non si lasciare vincere alla ira e ritenere la gente di Francia alle stanze perché e' pisani non arebbono preso el bastione e Librafatta, ed e' pistolesi, per paura di quelle forze e riputazione, non arebbono tanto disordinato. In questo tempo sendo entrata la signoria nuova per settembre ed ottobre, che ne fu gonfaloniere Niccolò Zati, si rifece el magistrato de' dieci el quale era vacato piú di uno anno, e benché molte signorie avessino tentato rifargli, nondimeno non si era mai potuto ottenere pure ora, considerato quanto importava alla città che non vi fussi uno magistrato di uomini prudenti e' quali vegghiassino continuamente le cose publiche e durassino parecchi mesi, fu piú facile a condurvi lo universale. Ma perché el nome de' dieci di balía era in tanto odio e quella autorità sí amplissima dispiaceva tanto, che el popolo non vi arebbe mai acconsentito, fu necessario, poi che altrimenti non si poteva, creare una provisione che e' si facessino e' dieci ne' modi usati eccetto che, dove prima si toglievano quegli delle piú fave, ora si traessino a sorte di quegli avessino vinto el partito per la metà delle fave ed una piú, e colla autorità che davano le legge loro; eccetto che e' non potessino fare pace, triegua o lega, fare condotte di cavalli, né fare commessari per piú tempo che di otto dí, le quali cose si intendessino riservate al consiglio degli ottanta. E cosí vinta questa provisione e limitata la balía, si feciono e' dieci, che ne furono el gonfaloniere, messer Francesco Gualterotti, Piero Soderini, Giuliano Salviati, Giovacchino Guasconi ed altri. Creossi poi la signoria sequente, che ne fu gonfaloniere Giovan Batista Bartolini, el quale ebbe piú favore che messer Antonio Malegonnelle, uomo dottissimo e di grande riputazione, perché allora la grazia di Giovan Batista era tale che avanzava di fave tutti gli altri cittadini della città, in modo che, sendo andato Antonio del Vigna, uno de' dieci, capitano o vero podestà di Pistoia, fu fatto in poco tempo, e credo gli esercitassi a uno tratto, gonfaloniere di giustizia, de' dieci ed uficiale di Monte, che si feciono sanza carico di prestare al commune e per le piú fave, in modo che si dette quello uficio non a' piú ricchi, ma a chi aveva piú credito e benivolenzia col popolo. A tempo di questa signoria, el Valentino ne venne a campo a Faenza, della quale era signore Astore Manfredi, piccolo fanciullo e sotto la protezione de' viniziani; ma perché el Valentino aveva non solo el braccio del papa, ma ancora el favore del re di Francia, e' viniziani, preponendo l'utile allo onesto, rinunziarono la protezione e non gli vollono dare aiuto, in modo che sendo quella città abbandonata da ognuno, Valentino vi venne a campo. Ma sendo quegli di drento ostinatissimi a difendere el signore loro, feciono una gagliarda resistenzia, in forma che concorrendovi le neve ed e' tempi aspri, che era nel cuore del verno, fu el Valentino constretto levarsene di campo, avendo prima e con le artiglierie e con battaglie tentato ogni cosa per averla. Successe a questa signoria gonfaloniere di giustizia per gennaio e febraio Piero di Simone Carnesecchi, uomo bonario, ma di poca esperienzia e giudicio nelle cose dello stato; a tempo del quale, trovandosi la città sanza danari, sanza forze e soldati, ed el popolo in modo strano ed ostinato a non prestare fede a' suoi cittadini, che non voleva fare provisione alcuna, si trovava la città in gran disordine: da una banda el contado di Pisa in pericolo grande ed esposto a essere tutto di corso da' pisani, da altra le cose di Pistoia in modo infiammate ed infistolite, che si dubitava che una parte non si gittassi in collo al Valentino, massime quegli di drento. A' quali inconvenienti non potendo riparare la signoria, chiamò con animo grande una pratica di circa quaranta cittadini de' principali, e ragunatigli insieme, propose loro in che termini si trovassi la città, e che loro, per la affezione portavano alla patria, volevano consiglio in che modo s'avessi a riparare, disposti a seguitare tutto que[llo] fussi consigliato dalla pratica. E fu la proposta loro di natura, che si comprese che e' concorrebbono ancora, quando cosí paressi a quegli cittadini, a levare via el consiglio grande. Cominciossi adunche a consultare quello fussi da fare, e si trovorono le opinioni varie: a alcuni pareva che si mutassi lo stato del popolo e creassisi una balia di cittadini che avessino autorità quanto tutto el popolo di riformare e disporre delle cose della città; pareva a alcuni altri che e' non si toccassi el consiglio, ma si togliessino tutti e' cittadini che erano stati gonfalonieri di giustizia o commessari generali o imbasciadori a papi re e duchi, e' quali durassino a vita ed avessino quella autorità che aveva el consiglio degli ottanta con qualche amplificazione piú, come sarebbe che di questo numero s'avessino a creare e' dieci di balía e simili cose; altri giudicavano che el fare tanta alterazione sarebbe con troppa difficultà, scandolo e pericolo, e però, poi che e' non si poteva facilmente correggere tutti e' difetti che aveva el presente governo, che e' si correggessino quegli che erano piú facili al condurgli e piú nocivi alla città; e che fra l'altre cose, la tardità e difficultà del provedere a' danari era quella che era cagione di molti danni e disordini, conciosiaché o non si vincevano le provisione del danaro, o se si vincevano, si vincevano sí tardi e doppo el tempo che giugnevano a cosa fatta; in modo che quello che da principio si sarebbe schifato con mille ducati, non si poteva poi medicare con centomila; e perché la esperienzia tutto dí mostrava che queste provisione avevano piú fave nere che la metà, ma la difficultà era a condurle a dua terzi delle fave, però, che si facessi una provisione che, dove prima bisognava a vincersi nel consiglio una provisione di danari che avessi e' dua terzi delle fave, bastassi per l'avenire ne avessi la metà ed una píú. E cosí sendo di opinione diverse, stettono in pratica piú dí, e finalmente riscaldando e' dispareri e non si concordando, non feciono risoluzione alcuna e cominciorono quando uno e quando uno altro a non volere piú ragunarvisi; e fra gli altri Piero Soderini, sendo richiesto, non vi volle mai intervenire per parere amatore del governo presente ed acquistarne la benivolenzla del popolo; e cosí si scoperse che, benché a' primi cittadini dispiacessi questo modo di vivere e desiderassino si mutassi e si emendassi, nondimeno era in loro sí grande la varietà de' pareri e la disunione causata per diversi rispetti e la poca fede ed intelligenzia avevono l'uno coll'altro, che nelle cose di racconciare lo stato non se ne sarebbe mai accozzati dodici di uno parere medesimo. Cosa brutta che tra e' primi cittadini della città e' quali avevano e' medesimi interessi nelle cose e di ragione dovevano avere e' medesimi giudici, fussi, in quello che si può dire concerneva lo essere loro, sí poca fede, sí poca unione e sí poco animo. Fu di poi creato gonfaloniere di giustizia per marzo ed aprile Piero Soderini e postagli allato una debole signoria, in modo che ne era padrone e disponevane a suo modo; e fu el disegno suo vòlto a farsi uomo populare e tenere termini in questo magistrato d'averne a piacere alla multitudine; e però dove prima e' sua antecessori solevano, e cosí si era osservato continuamente doppo el 94, ragunare pratiche de' primi cittadini co' quali si consultavano le cose importanti dello stato, lui chiamò pratiche rade volte, ma le conferiva e consultava co' collegi, e' quali quasi tutti e quasi sempre erano uomini spicciolati e di poca qualità. Di qui nasceva dua effetti a suo proposito: l'uno, che egli ne acquistava grazia nel popolo, sendo tenuto amatore del consiglio, e che e' non si intendessi co' cittadini che erano a sospetto allo stato; l'altro, che sendo e' sua compagni ed e' collegi uomini deboli e di poco intendimento, si rapportavano in tutto al parere suo, e cosí lui era signore ed arbitro delle deliberazioni s'avevano a fare. Seguitonne uno effetto pessimo per la città, perché e collegi, avezzisi a suo tempo a intendere tutti e' segreti della città e deliberare tutte le cose importanti, vi vollono poi a tempo e successori perseverare drento, ed in modo dare giudicio di tutte le cose di momento, che questa usanza pessima introdotta da lui fu, come i sotto si dirà, ne' casi di Arezzo quasi cagione di rovinare la città. XXI LE CONQUISTE DEL VALENTINO IN ROMAGNA. LUCREZIA BORGIA. RIFORME IN FIRENZE (1500-1501). 1501. Seguitò lo anno 1501, sendo ancora gonfaloniere di giustizia Piero Soderini, nel quale tempo el Valentino, fatto già, doppo l'acquisto di Imola e Furlí, signore di Rimino e di Pesero, e con poca difficultà, perché quegli signori Pandolfo Malatesta, e Giovanni Sforza, inteso lo sforzo suo e non avendo riparo, non lo aspettorono ritornò a campo a Faenza; e benché e' faventini sostenessino da principio ostinatamente lo impeto suo, pure di poi a ultimo stracchi e non avendo speranza di soccorso, gli arrenderono la città, pattuita prima la salute e liberazione di Astore loro signore. La qual cosa non osservò, perché lo menò seco prigione, ed usatolo, come si disse, libidinosamente, perché era fanciullo bellissimo, lo fece in ultimo amazzare, mostrando In uno tempo medesimo perfidia, lussuria e crudeltà grande. E cosí el Valentino acquistata Faenza e fatto signore di tanti stati di Romagna, venne in riputazione grande, e massime perché aveva un buono esercito ed era signore valente e molto liberale ed amato da' soldati ed aveva a' soldi sua Giampaolo Baglioni, Vitellozzo Vitelli, Paolo Orsini e quasi tutta la milizia di Italia; in modo che la città nostra non si trovando con ordine di forze e di danari, e con la piaga di Pisa e di Pistoia, e drento con poco ordine e governo, né avendo intelligenzia e dependenzia alcuna da Francia, cominciò a temerne assai, massime per essere a' soldi sua e' Vitelli e gli Orsini inimici della nostra città. Espugnata che ebbe el Valentino Faenza, ne venne alla volta di Bologna per fare pruova di mutare quello stato ed insignorirsene per la Chiesa, ma vedendo che e' Bentivogli erano drento bene provisti e che la impresa sarebbe lunga e difficile, fatto certo accordo con loro e tocca buona somma di danari, si partí. E non essendo ancora uscito del bolognese, messer Giovanni fece amazzare messer Agamennone figliuolo di messer Galeazzo Mariscotti con certi altri sua fratelli, dicendo avevano tenuta pratica di dare al Valentino Bologna, o perché in fatto fussi vero o pure perché sotto questo colore volessi levarsegli dinanzi, parendogli che messer Agamennone fussi uomo di ingegno ed ambizioso, e che per nobilità e per molti conti avessi séguito e riputazione grande in Bologna. Partito el Valentino di Bologna, se ne venne nel mese di maggio, sendo gonfaloniere di giustizia Lorenzo di Lotto Salviati, in su' terreni nostri, e per la via di Valdimarina ne venne a Campi, avendo lasciato Piero de' Medici a Luiano in bolognese ed avendo con seco Vitellozzo e gli Orsini. Dette questa cosa alterazione assai nella città, perché el popolo fece giudicio che e' fussi venuto con ordine de' cittadini principali, e' quali con questo mezzo volessino mutare lo stato, ed accrebbesi questo sospetto, perché essendo entrato Valentino colle gente in Valdimarina che è luogo stretto, fu opinione del volgo che se si fussi mandate le gente si potevano, sarebbe stato rotto, ma che chi l'aveva fatto venire, fussi stato operatore della salvazione sua. Per le quali cose inveleniti gli animi, e sparlandosi publicamente di molti, massime di Bernardo Rucellai di Lorenzo di Pierfrancesco, di Benedetto de' Nerli, di Alfonso Strozzi e simili, fu pericolo che la moltitudine non corressi col fuoco a casa e' cittadini piú nominati; ma seguitando poco poi l'accordo con Valentino, si fermorono le cose, perché come Valentino fu giunto e férmosi a Campi, faccendo e' sua molti danni ne' luoghi circumvicini, gli fu mandati piú oratori, fra gli altri el vescovo de' Pazzi, Benedetto de' Nerli, Piero Soderini ed Alamanno Salviati, e' quali finalmente feciono accordo con lui, e cosí se ne stipulò el contratto: che e' si partissi de' terreni nostri sanza fare piú danno o lesione alcuna; fussi condotto per nostro capitano generale per tre anni, con certo numero d'uomini di arme e con condotta di ducati trentamila l'anno, lasciassisi Cerbone cancelliere de' Vitelli, a instanzia di Vitellozzo. E cosí convenuto, si partí accompagnato da Piero Soderini, Luigi dalla Stufa ed Alessandro Acciaiuoli, e' quali usassino seco l'uficio di imbasciadori ed attendessino come commessari a fare provedere pe' luoghi donde aveva a passare, acciò che e' non seguissi disordine; e benché si usassi tutte le diligenzie, nondimeno e' sua feciono molti danni pe' terreni nostri. Questa venuta del Valentino potette essere causata da se proprio perché stimassi, veduti e' disordini della città, averne a migliorare condizione, o disegnando la condotta o qualche altro acquisto; ma lui disse da poi molte volte cogli uomini nostri in sua giustificazione che quando partí del bolognese, la intenzione sua era andarsene per Romagna e non toccare e' terreni nostri, ma che sendone richiesto instantissimamente da Vitellozzo e gli Orsini, non potette loro negarlo; ma che poi, vedendosi in sul nostro, volle pigliare quello vantaggio potette avere. Da altro canto Vitellozzo e gli Orsini, parlando a Campi separatamente cogli imbasciadori nostri che erano iti al duca Valentino, mostrorono con parole e gesti efficaci che Vitellozzo non pretendeva avere ricevuta ingiuria alcuna dalla città, ma da pochi cittadini, de' quali quando si pigliassi qualche onesto modo che vi fussi drento lo onore suo, sanza lesione però di chi l'aveva offeso, che e' vorrebbe essere buono figliuolo e servidore della città, e cosí gli Orsini perché e' conoscevano molto bene quanto questa amicizia potessi essere utile per l'una parte e per l'altra. Le quali offerte loro non furono accettate, perché la brigata non se ne fidava, e dubitavasi non l'avessino fatto per mettere qualche disunione e scandolo. Quel che si fussi la cagione di questa venuta, la fu di gran terrore a' cittadini savi per piú cagione: l'una per il sospetto che prese el popolo a torto che e' cittadini vi tenessino mano, el quale multiplicò molto nella mente degli uomini e con tanta infamia de' primi, che a casa Piero Soderini furono dipinti ceppi e forche; l'altra, perché la città si trovava male condizionata col re, ed in modo che non molti giorni innanzi, non si gli faccendo e' pagamenti che s'avevano a fare per virtú de' capitoli fatti a Milano secondo e' debiti tempi aveva molto svillaneggiato di parole Pierfrancesco Tosinghi nostro imbasciadore, insino a dirgli che non voleva che egli stessi in corte perché non vi voleva imbasciadori degli inimici suoi; e però dubitorono e' piú savi che questa mossa di Valentino non avessi origine da lui, che ci volessi battere con questo bastone. E per levarsi da dosso tanto affanno, acconsentirono a una condotta violenta, e che non si poteva osservare per la somma del danaro, e perché la città non si sarebbe potuta fidare di lui; e cosí feciono provisione di danari al re, in modo che lui addolcito comandò al Valentino che non ci molestassi. Partitosi el Valentino, ne venne in quello di Siena e con ordine di Pandolfo Petrucci suo intrinseco amico, voltò le gente a Piombino, ne cacciò el signore e si insegnorí di quello luogo con gran dispiacere della città che si doleva che ne' luoghi vicini multiplicassino tanto le forze sue. Sopravenne quasi nel medesimo tempo a Italia nuovo accidente, perché el re di Francia, desideroso recuperare el reame di Napoli e veduto el re Federico tenere pratiche grande con Ferrando re di Spagna, per non avere a combattere a un tratto con lui e con Spagna, aveva segretamente fatto accordo con Spagna di dividere insieme quello regno per metà; e di poi mandò le gente sue nel reame, le quali passorono pe' terreni nostri poco di poi che el duca Valentino si era partito. Da altra parte el re di Spagna, sendo ancora segreto questo accordo fatto con Francia, mandò in Calavria una armata grossa con buono esercito, fattone capitano Consalvi Ferrando uomo valentissimo, dimostrando al re Federico farlo per suo aiuto; ma come e' franzesi entrorono nel reame, si scoperse in loro favore. El re Federigo, vedutosi tanta piena adosso, aveva fatto disegno di tenere Capova e messovi drento gran numero di fanterie ed ancora cavalli assai ed el conte Rinuccio da Marciano condotto pochi mesi innanzi a' soldi sua; ma e' fu tanto l'impeto e la gagliardia de' franzesi, che alla prima battaglia, e credo el primo dí poi che ebbono piantato le artiglierie, la espugnorono e vi feciono drento grandissima uccisione e crudeltà, e di soldati, fra' quali fu morto el conte Rinuccio, e di terrazzani, ché in su quella furia non perdonorono a sesso né a età alcuna. La quale cosa intesa che ebbe el re Federigo, abbandonato Napoli, si fuggí in Ischia, e pochi dí poi capitolò co' capitani del re dare loro Ischia e le fortezze del reame che erano in mano sua, e lui andarsene in Francia, dove avessi a essergli assegnato dal re uno stato di entrata di trentamila scudi l'anno; e cosí fatto questo accordo, si fece secondo e' patti la divisione tra Francia e Spagna, nella quale a Spagna toccò Calavria e credo lo Abruzzi, a Francia toccò Napoli, Capua, Caeta, l'Aquila ed el resto del reame. Nel medesimo anno e del mese di settembre o di ottobre, papa Alessandro maritò madonna Lucrezia sua figliuola bastarda a don Alfonso primogenito di Ercole duca di Ferrara; el quale parentado fu per la parte del duca disonorevole, per essere lei bastarda e di casa privata, ed inoltre avere avuti dua mariti; uno el signore Giovanni di Pesero, dal quale fu menata, ma di poi el papa, fatto provare che gli era impotente, lo disfece, l'altro un bastardo di casa di Ragona, el quale fu di notte morto in Roma dal duca Valentino; e di poi perché era ferma opinione che el papa suo padre e Valentino suo fratello avessino avuto a fare con lei. E cosí pel contrario essere la casa da Esti nobilissima ed usa a parentadi grandi, perché la donna del duca Ercole ' era stata figliuola del re Ferrando, e la prima donna di don Alfonso, che era morta sanza figliuoli, era stata figliuola del duca Galeazzo; e nondimeno fu tanta la instanzia che ne fece el re di Francia per satisfare al papa, tanta la dote, sí grande la sicurtà se ne cavò, perché al duca gli parve con questo parentado fermare lo stato suo, che e' si stimò piú l'utile che l'onore; e cosí le cose del papa procedevano con grandissimo favore di fortune. Ne' medesimi tempi si trattava accordo tra el re di Francia da una parte e Massimiano e Filippo arciduca di Borgogna da altra parte, la qual cosa desiderandosi assai da Francia, venne el cardinale di Roano, che assolutamente governava el re a Milano, e di quivi ne andò nella Magna a aboccarsi collo imperadore. Dove, doppo trattato di qualche dí, si conchiuse con molti patti segreti che pretendevano a acconciare a modo loro le cose di Italia, lega ed intelligenzia tra quegli principi, e publicamente si maritò a uno piccolo figlioletto dello arciduca una piccola fanciullina figliuola del re di Francia, promettendogli per dote lo stato di Milano; le quali convenzione, come di sotto si dirà, non ebbono effetto alcuno. Fatta che ebbe monsignore di Roano questa conclusione, ne venne a Milano, dove gli fu mandato imbasciadori dalla città messer Antonio Malegonnelle e Benedetto de' Nerli. La cagione fu perché el re pretendeva che non avendo noi fattigli certi pagamenti a' debiti tempi ed inoltre non gli avendo pagati per la impresa del reame ducati cinquantamila in luogo de' fanti, secondo la forma de' capitoli fatti a Milano, essere rotti quegli capitoli, e lui non essere piú obligato a alcuna nostra protezione. E se bene la città si potessi assai giustificare, e massime perché a cinquantamila ducati non era obligate se non doppo la recuperazione di Pisa e le altre cose nostre, nondimeno essendo lui piú potente, ed avendo nelle nostre differenzie a essere giudice e parte, non accettava alcuna nostra giustificazione, mostrando apertamente essere male disposto contro a noi, e però la paura s'aveva di lui ed el desiderio che e' non avessi a malignare, era una delle cagioni che inclinava e' cittadini a volersi accordare seco. Ma la potissima era che noi ci trovavamo sanza soldati e sanza forze e sanza dependenzia di potentato alcuno che ci potessi difendere, ed e converso si vedeva essere in sull'arme e potentissimo el duca Valentino signore di Romagna e di Piombino, ambizioso ed inimico nostro e che aveva occasione di nuocerci per non avere noi osservatagli quella condotta che si era fatta per necessità, e con lui in condotte ed intelligenzia stretta e' Vitelli, gli Orsini, Giampaolo Baglioni, lo stato di Siena e tutta quella fazione. Aggiugnevasi lo essere fuora e' Medici e' quali intendendo la male disposizione del papa e del re ed e' disordini nostri, tenevano strette pratiche con l'uno e con l'altro, promettendo somme grandi di danari se fussino restituiti in casa, ed a questi effetti si trovava Giuliano in Francia. Le quali cose conosciute molto innanzi da savi cittadini, erano state cagione che loro avevano un pezzo innanzi desiderato che si facessi di nuovo qualche appuntamento col re; ma la multitudine che era stracca dello spendere ed inoltre male disposta e contenta del re, non conoscendo da se medesima e' pericoli e non prestando fede a altri, non ne aveva mai voluto udire nulla; pure ora allargandosi e multiplicando tutto dí e' pericoli nostri, conscendeva piú facilmente. E perché si sapeva quanto monsignore di Roano poteva nel re, e che, acconcio lui, era acconcio ogni cosa, però vi fu mandati a trattare seco a Milano e' sopradetti imbasciadori, e' quali non feciono conclusione, perché Roano con varie cagioni differí tanto, che ebbe a tornare in Francia, dove lo seguitorono, oratori nuovi per la città, monsignore de' Soderini e Luca d'Antonio degli Albizzi, e' quali ebbono un maneggio molto difficile per la ingordigia che era in Francia e le contradizione che avavamo di Italia. In modo che dove si credette facessino in prima giunta apuntamento, furono da Lione rimessi a Bles, a Bles dondolati con varie scuse, tanto che vi consumorono in vano circa a otto mesi sanza avere mai una buona parola, anzi ributtati sempre con modi villani dal re, dal Roano e da tutta la corte, e fatto in presenzia loro carezze e date lunghe audienze a Giuliano de' Medici, el quale prometteva loro danari assai, ed aveva per la via di Roma facultà di dare loro sicurtà di banchi. In forma che si ritrasse che la pratica nostra si mandava de industria a lungo e che la intenzione del re non era capitolare con noi, anzi lasciarci correre adosso qualche piena, a fine che o noi stretti dalla necessità ci gli cacciassimo sotto con qualche suo grande vantaggio, o veramente che fussimo forzati rimettere e' Medici in casa, sperando in ogni tempo potersi piú valere di loro che del presente stato; il che si vergognava fare colle arme e forze sue, non avendo nessuna giusta causa rispetto a portamenti nostri e la fede osservata colla casa sua. Stavane la città molto sospesa ed in ambiguità grande e sanza speranza di alcuno buono effetto, ma successe che, raffreddando lo accordo di Massimiano col re, lui mandò in Italia alcuni imbasciadori, fra' quali fu Ermes fratello del duca Giovan Galeazzo. Fermoronsi costoro in Firenze piú dí e quivi feciono una capitolazione colla città, che in caso che Massimiano passassi in Italia per la corona dello imperio, la città pel debito aveva collo imperio, fussi tenuta a sovvenirlo di trentamila ducati in certi tempi. Prese el re per questa stanza degli imbasciadori e poi per la capitolazione qualche sospetto, che se e' ci stranava troppo noi non ci alienassimo in tutto da lui e gittassimoci in collo a Masimiano, col quale, come è detto di sopra, cominciava a ingrossare; in forma che o per questa o per altre cagione, fece fuora di ogni opinione lo apuntamento con noi. Lo effetto del quale fu che noi fussimo obligati per tre anni dargli ogni anno ducati quarantamila; e lui per questo tempo si obligò alla protezione nostra contro a qualunque ci offendessi, e di mandare a' bisogni, quando lo richiedessimo, per difesa nostra quattrocento lancie. E benché questa somma di danari fussi grave alla città che era stracca per tante spese, nondimeno fu riputata buona nuova, parendo che rispetto alla riputazione e potenzia del re, né el Valentino, né e' Vitelli, né alcuno potentato di Italia ci dovessi molestare. Fatto questo appuntamento, ed essendo cessato el sospetto di guerre esterne, e non si pensando ancora alle cose di Pisa per la stagione dello anno che non era ancora da fare imprese, si volse el pensiero a due cose importanti della città: l'una, perché el comune aveva in queste guerre accattato moltissimi danari da' suoi cittadini, e però si trovava in molto debito e disagio perché se n'aveva a pagare loro gli interessi, pigliare qualche modo che in uno spazio di tempo si scaricassi questo debito, in forma che vi fussi drento la salvezza de' cittadini con piú commodità del commune che fussi possibile, l'altra perché e' podestà e capitani che venivano a rendere ragione nella città, menavano seco uomini imperiti ed ignoranti, e' quali o tenevano le lite immortale o le decidevano non in quel modo sarebbe stato giusto, pigliare forma che e' ci venissi a giudicare uomini valenti e buoni, acciò che la giustizia, che è uno de' membri principali della città, si amministrassi rettamente. Ed alla prima parte, doppo lunghe consulte, si prese uno disegno secondo el quale el comune veniva a scaricarsi in sei anni di tutto el debito de' danari prestati, ma per le avversità e spese che seguitorono nella città non si poté osservare; all'altra si ordinò che si eleggessi uno consiglio di giustizia che dovessi cominciare a novembre prossimo 1502, al quale si deputassino cinque dottori forestieri, uomini valenti, eletti da' signori e collegi, con salario di ducati cinquecento per uno, e' quali dovessino stare tre anni, ed avessino tutti insieme a giudicare le cause civili; e dalle sentenzie loro non si potessi appellare se non a loro medesimi. E perché gli uomini da bene piú facilmente ci venissino sendo aggiunto l'onore allo utile, si ordinò che sempre uno di loro fussi podestà, durando ciascuno nella podesteria per sei mesi; il che benché fussi fatto con ragione, nondimeno ha disonorato lo ufficio della podesteria, perché questi dottori sono stati eletti uomini di qualità che molti uomini nobili che solevano appetire questo uficio per onorarsene, ora non lo desiderano. E questo modo di giudicare che si chiamò consiglio di giustizia o vero Ruota dura ancora che siàno a dí 23 di febraio 1508, benché si sia fatta qualche variazione nello ordine del procedere, nel numero de' giudici e del salario e nondimeno non ha fatto el frutto che si sperava e che doveva, perché la malignità e la ignoranzia nostra è stata tale, che e' sono stati eletti quasi sempre uomini non idonei, e di poi entrati in uficio sono stati guasti, in modo che sono riusciti cattivi, e noi dapocamente e cattivamente gli abbiamo soportati. XXII RIVOLTA DI VALDICHIANA E D'AREZZO. RICONQUISTA DI PISTOIA (1502). 1502. Successe lo anno 1502, anno di grandissimi movimenti e variazione per la città nostra; nel principio del quale parendo a' cittadini di essere per lo apuntamento fatto col re, sicuri da potere essere molestati, volsono gli animi alle cose di Pisa, alle quali, poi che e' franzesi vi furono a campo, si era atteso poco; e consultandosi quello fussi da fare, si conchiuse che e non fussi di andarvi a campo perché la spesa sarebbe grande, e sí grande che la città esausta e piena di molti carichi la potrebbe male comportare; di poi la impresa sarebbe difficile, perché noi non avevamo a soldo uomini di qualità, né ci era in Italia chi condurre se non e' Vitelli e gli Orsini riputati inimici nostri, ed el marchese di Mantova che non si poteva tôrre perché se ne sarebbe dispiaciuto al re di Francia suo inimico, eraci poche altre arme di qualità, e quelle erano obligate a' viniziani ed al re di Spagna, come el conte di Pitigliano, signore Bartolommeo d'Alviano ed e' Colonnesi; e però non si poteva fare uno esercito potente da andare a campo a Pisa, e quando si potessi fare, che e' pisani erano sí ostinati e valenti nelle arme, e la città loro sí munita e piena di artiglierie e cose necessarie al difendersi, che non se ne poteva sperare facilmente vittoria, e massime che arebbono qualche rinfrescamento di fanti o dal Valentino o da' viniziani o da' nostri vicini, il che era facile a fare a ogni potentato benché piccolo, perché era spesa che aveva a durare pochi dí. Queste ragione cosí saviamente considerate e confermate colla esperienzia di molti anni che aveva dimostro quale frutto si fussi fatto delle provisioni gagliarde, feciono volgere gli animi de' cittadini a pensare che e' sarebbe bene dare loro el guasto al grano e di poi recuperare Librafatta e tenere cavalli quivi e negli altri luoghi oportuni del contado per proibire che in Pisa non entrassi vettovaglia per terra. E di poi fatto questo, si potrebbe col soldare qualche legno tenere chiusa la via di mare, e cosí temporeggiando ingegnarsi di consumargli in uno anno o in due colla fame, al quale male non potrebbe resistere né la fortezza di Pisa, né la valentia degli uomini che vi erano drento; e gli altri potentati di Italia non vi potrebbono cosí di facile riparare, perché sarebbe cosa di grande spesa e disagio avere continuamente a mettere drento in Pisa e tenerla provista di vettovaglie; ed e contrario noi potremo fare queste cose con poca spesa; allegando che se cosí si fussi fatto dal 94 in qua e non atteso alle espedizione grosse, noi ci troverremo in piú danari assai, ed e' Pisani sarebbono tanto stati consumati ed attenuati, che Pisa sarebbe qualche anni innanzi stata nostra. Fatta questa conclusione, perché non vegghiava uficio di dieci, perché el popolo invelenito nella venuta di Valentino contro a' primi cittadini, non aveva voluti poi creare, la signoria commesse a parecchi cittadini che attendessino a questa espedizione, e mentre che con gran caldezza si attendeva a questo ordine e' pisani contro alla espettazione di ognuno presono furtivamente Vicopisano, per tristizia di alcuni fanti che vi erano drento, o per dapocaggine o cattività di Puccio Pucci che vi era castellano, el quale n'ebbe bando di rubello. Ma riscaldandosi per questa perdita piú gli animi degli uomini, fu subito aviato giú messer Ercole Bentivogli governatore delle nostre gente, ed eletto per commessario generale Antonio Giacomini, el quale per essere stato già soldato del signore Ruberto da Sanseverino ed essere uomo vivo ed in sull'arme aveva gran riputazione nel popolo di essere valente uomo nella guerra, ed inoltre fede, perché era tenuto amatore del popolo e di questo consiglio, e che sanza alcuno rispetto si opporrebbe a' cittadini grandi. E' pisani, intesi gli apparati nostri, avendo richiesto di aiuto ed offerto la città a' viniziani, al Valentino ed a tutti e' potentati di Italia, e non trovato sussidio di gente d'arme e da stare alla campagna, avuto, credo, qualche danaio da' lucchesi, condussono el Fracasso che si stava a Sacchetto in quello di Mantova sanza danari ed aviamento. El quale messosi presto in ordine, ne venne con pochi cavalli alla volta di Pisa, e passando sotto Barga, fu assaltato da quegli uomini che avevano avuto da Firenze notizia della sua venuta, e per essere in luoghi stretti dove non si poteva adoperare cavalli, e con minore numero assai di gente, non si poté troppo difendere, anzi volto in fuga fu seguitato da quegli uomini, in modo che sendo già uscito del nostro, fu preso da' nostri in su' terreni del duca di Ferrara e ne venne preso a Firenze; dove come e' fu la nuova, e' collegi, in mano di chi era allora la republica, gridavano che si gli dovessi tagliare el capo; cosa sanza ragione, che uno soldato che andava a servire chi gli dava danari avessi a essere punito nella persona. Dettono in questo mezzo le gente nostre el guasto, non però per tutto, perché non si poterono accostare in Barbericina ed in certi luoghi sotto Pisa, e di poi ne vennono a campo a Vicopisano, dove sendo accampati, successe uno accidente grandissimo che fece voltare gli uomini a altri pensieri di maggiore importanza, del quale acciò che meglio si intenda la alterazione descriverò in che termini si trovassi la città. L'avere apuntato con Francia, e di qui el parere di essere assicurato del Valentino, Vitelli, Orsini e degli altri inimici nostri, e di poi una speranza se non molto propinqua, almeno non molto rimota, delle cose di Pisa, aveva assai rallegrati e confortati e' cittadini, in modo che e' Monti erano cresciuti di pregio; ed appressandosi di poi nel mese di giugno la festa di san Giovanni, si era fatte, faceva ed ordinava feste assai, in modo che e' parevano ritornati quegli tempi lieti che erano innanzi al 94; quando dallo oratore nostro di Francia, che vi era Luca degli Albizzi, perché monsignore di Volterra era in viaggio che ritornava in Italia, vennono avisi di avere ritratto che non ostante la protezione del re l'animo degli inimici nostri era di manometterci, e se volessino intendere la minuta, vedessino di porre le mani adosso a uno ser Pepo cancelliere di Pandolfo Petrucci, el quale di Francia dove aveva cerca licenzia dal re e non ottenuta di farci questo assalto, si ritornava a Siena, ed a chi era noto ogni cosa. Avuto questo aviso, fu subito mandato commessario a Arezzo ed in quelle circumstanzie, dove si dubitava rispetto alla vicinità de' Vitelli, Guglielmo de' Pazzi, uomo leggiere e di poco governo e cosí tenuto universalmente nella città: ma perché lui come era eletto accettava ed era presto al cavalcare, ed e' cittadini prudenti e di riputazione fuggivano pe' disordini della città queste cure, fu deputato lui, e piú facilmente, perché messer Cosimo suo figliuolo era vescovo di Arezzo. E poco poi, dato buono ordine, fu preso ser Pepo a Firenzuola, e condotto a Firenze fu esaminato a parole, e non si ritraendo nulla non si procedé piú oltre, perché Pandolfo, intesa la nuova, aveva velocissimamente scritto a Firenze che ciò che fussi fatto di offesa a ser Pepo, lui lo rimetterebbe, e moltiplicatamente, nella persona di molti cittadini che si trovavano al Bagno a San Filippo in quello di Siena, e che subito erano stati sostenuti da lui. Per la qual cosa, avendosi rispetto a quegli privati, ser Pepo fu licenziato e lasciatone andare a Siena, non si sendo intesi e' maligni umori che erano in Arezzo, e' quali di subito scoppiorono. Avevano alcuni de' primi aretini tenuto pratica con Vitellozzo di ribellarsi dalla città, la quale cosa, trovandosi Guglielmo a Anghiari, gli fu particolarmente notificata da uno Aurelio da Castello inimico di Vitellozzo, di che lui, ritornato in Arezzo per provedere ed empiere la cittadella di fanti per assicurarsi della terra, ne conferí col capitano, e sepponla sí bene governare, che innanzi fussino forti si publicò. Gli aretini, vedendosi scoperti, presono le arme, e preso Guglielmo ed Alessandro Galilei che vi era capitano e Piero Marignolli podestà, gridorono «libertà» e si ribellorono. Udito el romore, el vescovo che era in Arezzo fuggí nella cittadella, e cosí alcuni uficiali fiorentini che vi erano, e Bernardino Tondinelli ed alcuni altri aretini affezionati alla città. Dèttonne e' ribelli subito aviso a Vitellazzo, el quale dolendosi che la cosa era scoperta troppo presto ed innanzi al dí disegnato, in modo che lui non era in ordine, ne venne con pochi cavalli in Arezzo, dove per parecchi dí furono sí pochi provedimenti e poche forze, che è manifesto che se vi si mandavano le gente nostre, non avevano opposizione a entrare in cittadella e di quivi facilissimamente recuperare la terra; ma non si fece, perché cosí fussi a qualche buono fine ordinazione di Dio, o perché la fortune volessi ancora giuoco de' fatti nostri, e farci con nostro danno tenere pazzi e da pochi. Venne la nuova di questa ribellione in Firenze a di... di giugno a mezzanotte; e di tratto la signoria, che ne era gonfaloniere Francesco d'Antonio di Taddeo, mandò pe' collegi e pe' principali cittadini della città; e proposto el caso e dimandati e' pareri, alla pratica pareva che importando Arezzo quanto faceva, non s'avessi rispetto alle cose di Pisa, né alla vittoria si sperava di dí in di dí Vicopisano dove erano a campo le gente nostre, ma si mandassino subito a Arezzo innanzi che la cittadella si perdessi o e' nimici vi ingrossassino piú. E' collegi, come fanno gli uomini da pochi ed ignoranti, insospettiti cominciorono a credere che questa nuova di Arezzo non fussi vera, anzi cosa finta da' primi cittadini, e' quali volessino per questo modo indiretto impedire lo acquisto di Vicopisano, e la fondavano in sul credere che per avere occasione di mutare el governo, desiderassino che la città stessi in affanni continui e Pisa non si riavessi. E però consigliorono che le gente non si levassino di quello di Pisa anzi si seguitassi la impresa di Vico e l'altre fazione vi s'avevano a fare; ed in questa opinione concorrevano ancora alcuni de' signori, e massime Giovan Batista de' Nobili ed uno Batistino Puccini artefice, uomo ardito, caparbio, e che aveva piú lingua che persona, ed inimico capitale de' cittadini principali. E fu necessario seguitare el loro parere, perché, da poi che Piero Soderini era stato gonfaloniere, avevano, avezzi da lui, presa tanta licenzia ed autorità, che volevano intendere tutte le cose publiche, e che le si deliberassino a modo loro e cosí si perdè la occasione di ricuperare Arezzo facilmente e con poca spesa, per cagione, come è detto, de' collegi, e si vedde non per ognuno, ma pe' piú savi, quanto fussi stato lo errore di Piero Soderini in avere per ambizione messo adosso a loro tutto el pondo della città. Sopravennono di poi gli avisi come Vitellozzo era in Arezzo e che la ribellione era chiara, a' quali non prestavano fede e' collegi ed el popolo accecati in questa pazzia; pure risonando da ogni banda questo romore, mandorono Simone Banchi, che era di collegio, in verso Arezzo, a intendere se Vitellozzo vi era o vi era stato. El quale tornato riferí assolutamente essere falso, e che, se bene gli aretini avevono prese le arme e ribellatisi, non vi era entrato forestiere alcuno; e però e' collegi si confermavano in opinione che e' non fussi necessario per la ricuperazione di Arezzo levare la gente di quello di Pisa, ma che e' bastassino e' contadini ed uomini del paese, a' quali si era ne' primi dí mandati commessari per levargli e mettergli insieme. Non facevano cosí gli inimici nostri, anzi sollecitavano con ogni industria di non perdere una tanta occasione, perché Vitellozzo, come fu giunto in Arezzo, parendogli che le cose fussino in termini che se le genti nostre che erano in quello di Pisa vi venivano, non vi fussi rimedio, statovi poche ore e confortati gli uomini con speranza di soccorso e lasciatovi messer Iulio suo fratello bastardo e vescovo di Castello, se ne partí o per paura o per sollecitare e' provvedimenti; e pochi dí poi, inteso non vi essere venuto soccorso alcuno, vi ritornò con buono numero di cavalli, e doppo lui non molto, el signor Paolo Orsini e Fabio suo figliuolo, e con loro Piero de' Medici ed alcuni uomini di arme di Giampaolo Baglioni. Le quali cose intese a Firenze, si conobbe chiaramente che la ribellione di Arezzo era vera e che bisognava provedervi con ogni forza e però si scrisse al commessario in quello di Pisa, che subito aviassi le gente nostre in verso Arezzo, e cosí si levò el campo da Vicopisano, dove se fussino stati piú uno dí o dua lo ottenevano. Trattossi ancora creare e' dieci nuovi, e benché e' collegi repugnassino un poco, pure finalmente, conosciuto in quanto pericolo fussi lo stato nostro si conchiuse, e furono eletti da cominciare subito el magistrato, Piero Soderini, Piero Guicciardini, Niccolò Zati, Giuliano Salviati, Filippo Carducci, Antonio Giacomini, Pierfrancesco Tosinghi...
Erasi scritto in Francia a Luca d'Antonio degli Albizzi che vi era solo oratore, el caso di Arezzo, e come sendovi venuti prima e' Vitelli e poi gli Orsini, e qualche gente di Giampaolo, soldati del duca Valentino, si cognosceva questo essere ordine del papa e duca Valentino; aggiuntavi una intelligenzia di Vitelli, Orsini, Baglioni e di Pandolfo Petrucci, non meno inimici della maestà sua che della città; e che e' non arebbono fatto questa impresa per fermarsi in noi soli sapendo che offendendo noi si offendeva la maestà del re che ci aveva in protezione; ma che el disegno loro era, fatto questo principio ed accresciutene le forze loro, cavare la maestà sua di Italia; pregassilo adunche instantemente volessi, e per osservanzia della fede sua e perché si trattava dello interesse suo proprio, commettere a monsignore di Ciamonte, suo luogotenente a Milano, che ci mandassi secondo l'apuntamento fatto le quattrocento lancie, e quando` non bastassino, piú numero perché nella offesa nostra era la offesa sua. Trovorono questi avisi el re che veniva alla volta di Lione, e risentitosi mirabilmente, disse che cognosceva la malignità di chi ci offendeva, e che potento caccierebbono ancora lui di Italia; e che voleva riparare a' nostri pericoli non solo colle quattrocento lancie ma ancora con tutto lo sforzo e potenzia sua, e venire subito personalmente in Italia. E scrisse a Ciamonte espedissi con ogni prestezza le gente di arme che erano nello stato di Milano alla volta di Toscana, e perché le non passavano la somma di dugento lancie, dette ordine mandare nuove gente in Lombardia; scrisse allo oratore suo che era a Roma, che con ogni instanzia dimostrassi al papa quanto questo insulto gli dispiaceva, e lo confortassi a volere levare le gente de' terreni nostri, altrimenti lo tratterebbe da inimico; mandò un suo araldo in Toscana con lettere a Vitellozzo, a Pandolfo, a Giampaolo, agli Orsini, a comandare loro che ci restituissino le cose nostre ed uscissino del nostro: se non, che gli perseguiterebbe come inimici capitali, disse allo oratore avisassi a Firenze la sua ottima disposizione e gli apparati pronti, e soggiugnessi guardassino bene el guscio della città propria perché, quando bene perdessino tutto el resto del dominio, lui lo renderebbe loro. In questo mezzo si soldò a Firenze molti condottieri, de' quali nessuno accettò, eccetto Morgante Baglioni cugino di Giampaolo; ma sendogli proibito dal papa e Valentino, differí piú dí, pure finalmente per osservare la fede, come uomo franco, si metteva in ordine e voleva venire in ogni modo; ma Giampaolo, veduto che e' si faceva innanzi e dubitando che per questa condotta non acquistassi lo appoggio nostro, lo fece occultamente avvelenare. Erano intanto le gente nostre venute in Valdarno, e perché gli inimici erano sí ingrossati in Arezzo che avevano molto vantaggio di numero e di buoni capi, non vollono per paura andare piú innanzi; in modo che quegli della cittadella di Arezzo, che avevano insino allora fatta buona resistenzia e portatisi virilmente con somma laude del vescovo de' Pazzi che vi era drento abandonati da speranza di soccorso e non avendo piú che mangiare, furono constretti a arrendersi, salve le persone di tutti eccetto che di nove, e' quali avessino a rimanere prigioni di Vitellozzo a sua elezione. Scelse adunche el vescovo e tutti e' fiorentini vi erano, e Bernardino Tondinelli a chi voleva male, perché era stato cancelliere del conte Renuccio loro emolo, el quale fu pochi dí poi morto da Bernardino Camarani suo genero crudelissimamente, insieme con tutti e' sua figliuoli che si trovavano in Arezzo. Era in questo mezzo ito a Siena con licenzia della signoria, chiamato da Pandolfo Petrucci, ser Antonio Guidotti da Colle, uomo pratico nelle cose dello stato, ed assai intrinseco con Pandolfo per essersi trovato a tutti e' maneggi che si erano fatti nelle cose di Siena; e ritornato a Firenze, riferí come Pandolfo, conoscendo che e' successi del Valentino ed ogni acquisto che egli facessi in Toscana sarebbe in fine la ruina sua come degli altri, desiderava posare questo fuoco e riconciliare Vitellozzo colla città e fare una intelligenzia di tutti questi stati di Toscana. Inteso questo, vi fu mandato subito occultamente oratore messer Francesco Gualterotti, datogli commessione di praticare uno accordo, nel quale avessi a intervenire eziandio Vitellozzo con una condotta e titolo onesto, pure che lo effetto fussi che e' non parlassi de' Medici, non si parlassi per satisfare a Vitellozzo di offesa di alcuno cittadino, non di cosa che fussi contro alla maestà del re di Francia, e che si riavessino tutte le cose perdute in questo assalto. Stette messere Francesco in una villa intorno a Siena parecchi dí e finalmente se ne tornò sanza conclusione, o perché cosí fussi da principio el disegno per addormentarci ne' provedimenti, o pure perché e' successi di Vitellozzo, di che ora si dirà, gli facessino mutare pensiero. Perché come Vitellozzo ebbe avuto la cittadella, si volse a Cortona e subito l'ebbe per accordo, e cosí la rocca, per viltà del castellano; cosí acquistò in uno momento el Borgo a San Sepolcro, Anghiari, Castiglione Aretino, la Pieve a San Stefano, el Monte a San Sovino e ciò che noi tenavamo in questa provincia. La quale celerità nacque perché gli uomini delle terre, veduto non avere soccorso alcuno, si davano per non perdere le loro ricolte, mossi ancora piú facilmente perché gli pigliavano in nome di Piero e del cardinale de' Medici, e cosí pareva loro che e, si trattassi non di ribellarsi ed alienarsi dal dominio fiorentino, ma di darsi a' nostri medesimi e di avere a vivere sotto e' fiorentini, ma governati piú tosto da uno stato che da uno altro, benché ancora vi fussi alcuni che lo facessino per affezione avessino a Vitellozzo. E cosí e' castellani che erano nelle fortezze, alcuni per viltà, alcuni per amare Piero de' Medici, si dettono, non ostante che le fortezze fussino di sito fortissime, e dato che male proviste pe' disordini dalla città, si sarebbono pure potute tenere qualche tempo. E cosí ogni cosa era da Arezzo in fuora che usava el nome della libertà, sotto Piero de' Medici in nome, ma in fatto nelle mani di Vitellozzo, che le teneva o a stanza di Piero de' Medici o per farne la voluntà di Valentino, o come piú tosto si stimò per farne uno stato per sé. E benché questo acquisto fussi grandissimo e presto, nondimeno fu molto maggiore la occasione se ne perdé; perché messer Ercole Bentivogli ed e' soldati nostri erano in modo impauriti, e nella città era tanta viltà per questa ferita sí súbita, aggiunto massime che non vi era danari, non ordine, non buono governo, non forze, non concordia, non fede, che se, subito preso Arezzo, fussino col nome e favore de' Medici venuti alla volta della città, egli è certo che e' soldati nostri non gli arebbono aspettati, e si crede che in Firenze si sarebbe fatta qualche mutazione e rientrato Piero de' Medici; e cosí loro arebbono potuto disporre non solo di Valdichiana, ma di tutto el dominio nostro a loro modo. Ma quello Dio che ci ha piú volte aiutato nelle estremità, non volle lasciare perire la città e però Vitellozzo, o diffidandosi che la impresa di Firenze avessi sí presto a riuscire, o vinto dalla cupidità di acquistare el Borgo e la Valdichiana e farsene uno stato, se n'andò a quella volta; in modo che di poi la città per e' caldi avisi di Francia e le provisione del re, a che prima si era prestata poca fede, riprese animo. Avevano e' dieci, intesa la commessione che el re dava a Ciamonte subito per piú riputazione e piú espedizione presta, mandato in Lombardia a levare quelle gente Piero Soderini, el quale vi trovò poche gente e sí poco ordine che la esecuzione si ritardò molti dí, in tanto che e' venissi di Francia nuovi avisi e provedimenti; in modo che stando la città sospesa ed ambigua della volontà del re, che fu in quello tempo che Vitellozzo era ito alla volta del Borgo, avendosi a creare la nuova signoria per luglio ed agosto, el popolo, dubitando che e' primi cittadini non volessino mutare lo stato, non ne fece alcuno gonfaloniere, ma elesse Giovan Batista Giovanni uomo di poca qualità e riputazione e da poco; ma come volle la sorte della città fece una signoria ottima, che ne furono capi Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò Morelli. Entrò la nuova signoria in calendi di luglio e trovò la città in tanti disordini e pericoli, che forse non erano tanti quando el re di Francia venne in Firenze perché se bene allora si trattava di condizione intollerabile, nondimeno concernevano piú tosto le facultà de' cittadini e la ritornata di Piero con la ribellione di quegli che l'avevano cacciato, che la perdita della libertà e diminuzione di quello dominio ci era restato; qui, perduto Arezzo e quasi tutto lo stato nostro, si vedeva ridotta in termini la città, che, se el re non riparava, bisognava cedere alle condizioni che volessino gli avversari, le quali si mostravano sí dure, che per meno male si sarebbe desiderata la ritornata di Piero, perché si dubitava non avere a pigliare el giogo del papa e Valentino, e le esecuzione di Francia erano sí tarde, che poca fede vi s'aveva drento. Entrata adunche la nuova signoria, cominciorono a migliorare le condizioni della città; in che s'ha a presupporre che, sendo el gonfaloniere uomo da poco e di poca qualità, ne erano capi Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò di Girolamo Morelli, e con questi aveva Alamanno tanta fede ed autorità, che si può dire lui governassi ogni cosa, e ciò che nacque di bene, nascessi prima per virtú ed opera sue e poi de' compagni. Costoro adunque, vòlti a difendere la libertà e lo imperio con franco animo, ed essendo el fondamento principale el fare danari, el primo dí che entrorono, comandorono a' capitani di parte guelfa vendessino certe mulina, e perché e' bisognava el partito de' loro collegi, de' quali la maggiore parte non era in Firenze, mandorono a dire a' capitani che cassassino gli assenti e traessino gli scambi; e cosí ubbidito e ragunati e' collegi, non si vincendo la provisione, comandorono loro non uscissino di quivi insino a tanto l'avessino vinta, in modo che e' furono necessitati al venderle, ed in pochi dí si venderono e vennesene in sul danaio. Posesi intanto un certo accatto a' cittadini piú ricchi, e perché molti non pagavano, la signoria comandò loro pagassino sotto pena di rapresentarsi al bargello, e cosí si riscosse la somma intera, non avendo e' signori alcuno rispetto a' parenti ed amici loro. E cosí riscaldavano con ogni vivacità le provisione della città, la quale ebbe sorte avere in quello tempo, si può dire per capo suo, uno simile a Alamanno, che era di natura viva libera e calda, e che aiutava el bene sanza rispetto alcuno, e da piacergli piú e' rimedi vivi e forti che altrimenti, come allora richiedevano e' bisogni publici, ne' quali era pericolosa ogni dilazione in modo che se el timone fussi stato in mano di qualche uomo che fussi proceduto adagio e con rispetti, ancora che fussi stato uomo prudente era pericolo che la città non gli perissi sotto. Intanto ci furono avisi di Francia, come el re ne veniva a dirittura in Italia con animo prontissimo di salvare noi ed abattere gli avversari e molto male disposto in verso el papa e Valentino; e già le gente franzese erano arrivate in su' terreni nostri ed adiritte a Montevarchi, dove el campo nostro faceva capo. Per la venuta delle quali, sendo gente bellissime, era molto alleviata la città, con tutto che ci fussi una difficultà grandissima di avere a provedere a vettovaglie, delle quali e' franzesi logorano e straziano assai, e se ve ne fussi stato mancamento, era pericolo che, sendo uomini bestiali ed impazienti, non si disordinassi ogni cosa, pure con una voluntà ardente si vincevano tutte le difficultà. Era intanto el re venuto in Asti, e quivi trovati nuovi oratori nostri messer Francesco Gualterotti e Luigi dalla Stufa, co' quali si congiunse a visitare el re Piero Soderini, e raccolto allegramente dalla maestà sue e discorrendo e' fatti nostri, gli parve necessario aggiugnere alle sue gente che erano in Toscana quattro o cinquemila svizzeri, de' quali voleva che la città ne pagassi tremila; e perché e' dubitava che el papa e Valentino insieme con Vitelli, Orsini e quella fazione, non facessino resistenzia, e cosí le quattrocento lancie non fussino abastanza, dette ordine di inviare con altre quattrocento lancie monsignore dalla Tramoglia capitano famosissimo, affermando che quando questo non bastassi, lui seguiterebbe personalmente con ogni suo sforzo, perché la intenzione sue era restituirci quello ci avevano tolto e' communi inimici e di poi distruggergli. E fatta questa risoluzione, mandò subito uno suo uomo a levare e' svizzeri, e volle che Luca degli Albizzi venissi a Firenze in sulle poste a portare di bocca questa conclusione e confortare al pagamento de' tremila svizzeri, a che la città acconsentí. El duca Valentino era in questo tempo a' confini di Urbino, ed avendo fatto certo accordo con quello principe lo assaltò furtivamente in modo che non si guardando, in spazio di pochissimi dí gli tolse tutto quello ducato, ed el duca fuggitosi con gran pericolo, se ne andò a Vinegia. E benché el Valentino desiderassi la nostra distruzione, la quale in fatto si procurava co' soldati e forze sue, e però avessi voluto congiugnere el resto del suo esercito con Vitellozzo, nondimeno sapendo quanto el re si era risentito di questo insulto e la venuta sua gagliarda in Italia, si fermò e fece intendere a Firenze che mandandogli uno uomo si poserebbono per aventura queste cose, ed al medesimo effetto el papa richiese si mandassi a sé, in modo che a Roma fu subito mandato messer Francesco Pepi, ed al Valentino monsignore de' Soderini. Furono le pratiche diverse perché el papa prometteva la restituzione di tutto, se si gli lasciava el Borgo a San Sepolcro per essere di ragione terra di Chiesa; el duca prometteva la restituzione intera, se gli fussi osservata la condotta sua e se a Firenze si introducessi uno stato nuovo, ristretto in pochi cittadini, con chi lui si potessi fidare e consultare le cose occorrenti. Ma non si consentendo nulla di queste dimande, massime intesosi chiaramente l'animo buono del re, el vescovo fu revocato da Urbino ed el Pepe fu lasciato a Roma, ristrettagli però la commessione del praticare. Giunti e' franzesi a Montevarchi, Vitellozzo si ritirò verso Arezzo, e benché prima avessi detto che verrebbe co' franzesi a giornata, o almeno ritiratosi in Arezzo farebbe una difesa memorabile, pure poi considerando che el papa e Valentino gli mancavano sotto ed anche per satisfare al re si gli volterebbono contro, e che tutto lo sforzo del re verrebbe adosso a lui, mancatogli l'animo deliberò accordarsi, e tenuta stretta pratica co' capitani franzesi, che erano monsignore di Lancre e monsignore Imbalt, conchiuse con loro contro alla voluntà della città; in forma che lo effetto era che noi recuperavamo tutte le cose nostre eccetto Arezzo che rimaneva libera. Di che sendosi caldamente dato aviso agli imbasciadori erano in corte, el re scrisse a' suoi capitani che questo accordo non andassi innanzi e che voleva che Arezzo ed ogni cosa ritornassi; e però fu constretto in ultimo Vitellozzo accordare con loro, mettendo in loro mano, a stanza del re, Arezzo e tutte le terre aveva prese; e cosí, partitosi lui, gli Orsini ed e' Medici, e' capitani franzesi presono ogni cosa in nome del re, el quale sopratenne la restituzione insino a tanto che e' si pagassino e' tremila svizzeri; la quale parte accordata, mandò monsignore di Milone a Firenze con ordine del potere restituire e di operare intorno a ciò quanto gli fussi commesso dalla città. Venne Milone a Firenze, e bisognò, innanzi che gli andassi a Arezzo, accordare monsignore di Ravel, nipote di Roano che era creditore della ragione de' Medici di ottomila ducati; la quale cosa perché si espedissi, Alamanno Salviati obligò alla osservanza di questo accordo la sua proprietà; e cosí ne andò Milone alla volta di Arezzo e con lui furono deputati commessari a ricevere le terre, Piero Soderini e Luca d'Antonio degli Albizzi, e' quali presono pacificamente la possessione di Arezzo e di tutte le terre perdute. Le quali trovorono essere state vote da Vitellozzo di tutte le artiglierie e tutti gli aretini che erano stati capi contro alla città essersi fuggiti in gran numero, a' quali fu dato bando di rubello, e cosí si posò in tutto questo movimento con grande spesa, pericolo e travaglio, dove se non fussi stata la pazzia de' collegi, si sarebbe fermo con poca fatica e disagio, e sanza averne a avere obligo con persona. Erasi nella venuta del re in Italia conceputa speranza che volendo lui mandare monsignore della Tramoia e disfare gli inimici sua, che noi, assicurati da ogni banda ed avendo lo appoggio di questo esercito, facilmente recupereremo Pisa, el quale disegno mancò, perché el duca Valentino come e' vedde el re venuto in Italia, e che a visitarlo vi era concorso, oltre agli oratori nostri, gli oratori viniziani, e personalmente el duca Ferrara e marchese di Mantova, el cardinale Sanseverino, a chi fu rilasciato el Fracassa suo fratello, e di piú lo Orsino che era ito a dolersi de' tristi modi del pontefice e finalmente che tutta Italia faceva capo a lui, inteso ancora quanto el re fussi male disposto e come e' mandava in Toscana monsignore della Tramoia e tante gente di arme e fanterie, sbigottito assai, né vedendo altro rimedio, ne venne in poste a Milano a giustificarsi col re; in modo che e' si riconciliò seco cogli effetti che di sotto si diranno, e cosí rimanemo certi che per quello anno non si attenderebbe alle cose di Pisa. Trovavasi addosso a tempo di questa signoria la città una altra peste di grandissimo pericolo e di vituperio, cioè le cose di Pistoia, le quali erano tutto dí piggiorate ed incancherite, perché poi che e' Panciatichi furono cacciati di Pistoia, attendendo e' Cancellieri a perseguitargli nel contado si levò su dalla parte panciatica un contadino giovane chiamato Franco, el quale era di persona gagliardissimo e di buono cervello e di natura quieta e che volentieri attendeva a fare e' fatti sua. Costui in difendere la villa sua da' Cancellieri che gli assaltorono, si portò si bene e con forze e cervello, che cominciando a acquistare riputazione, non solo fu fatto capo degli uomini vicini a sé, ma in brieve tempo di tutta la parte panciatica; in modo che lui ne era interamente signore e ne disponeva a arbitrio suo, e con questo seguito si affrontò due volte in battaglia grossa co' Cancellieri e gli roppe, faccendone occisione di piú di dugento per volta. Questi successi de' Panciatichi furono utili alla città, perché furono uno freno a' Cancellieri di non potere malignare, la quale cosa, se fussino stati liberi, arebbono fatto, perché parendo loro avere offeso e disubbidita la città, cominciavano a non fidarsene. Nondimeno le cose erano in cattivi termini, perché l'una parte e l'altra stava malissimo contenta: e' Panciatichi, se bene si erano difesi nel contado, nondimeno non erano sí superiori potessino ritornare nella terra; e' Cancellieri, se bene tenevano e' Panciatichi fuora, non potendo usare e godere la maggiore parte del contado, erano in grande angustie; in modo che l'una parte e l'altra arebbe preso partito co' principi forestieri, e ribellatisi e fatto a ogni male giuoco; e cosí la città al presente non si valeva di Pistoia e conosceva che sanza dubio si ribellerebbono. Per la qual cosa la signoria, faccendone massime instanzia e riscaldandovisi su Alamanno Salviati, deliberò assicurarsene, e poi che e' non giovavano gli unguenti ed impiastri, usare a ultimo el ferro ed el fuoco. Alla quale cosa non concorrendo e' dieci di balía e mostrando alla signoria che pericoli erano in questa via, Alamanno avuta licenzia da' compagni di dire quello che gli paressi, gli punse forte, mostrando che quella era la intenzione della signoria, e quando non la eseguissino, che la signoria notificherebbe a tutto el popolo come loro erano quegli che non volevano che Pistoia si recuperassi, per la qual cosa loro, ristrettisi, attesono a eseguire vivamente quello ordine. Comandossi adunche a moltissimi capi dell'una parte e dell'altra, che fra uno certo termine comparissino a Firenze, con animo che, se non ubbidivano, di procedere piú oltre. Stettono tutti ambigui. e finalmente per meno male, temendo per avere la città le gente franzese in Toscana, comparirono tutti el dí determinato, eccetti pochi che si fuggirono ed ebbono bando di rubello; e volle la sorte che e' venissino innanzi alla signoria el dí medesimo o el dí allato che comparirono gli imbasciadori aretini mandati doppo la recuperazione. E cosí la città si riassicurò di Pistoia, e si rimesse drento la parte panciatica e fecesi in spazio di piú mesi molti ordini, quali al presente non è necessario raccontare. Successe in questi tempi uno caso che fu per fare un poco di scompiglio nella città, e se fussi seguito arebbe impedito gli ordini che si feciono: questo è che poi che e' furono creati e' dieci non si conferivano piú, come si soleva, tutti gli avisi a' collegi; e però avendosi un dí a vincere un partito fra e' collegi e non si vincendo, un collegio de' Peri, per l'arte minore, disse che ne era cagione perché non si conferiva loro le cose occorrente. Il che sendo rapporto alla signoria. Alessandro Acciaiuoli, che era Proposto, propose tra e' signori che e fussi casso, e subito si vinse; di che e' collegi sdegnorono assai e volevano appellassi al consiglio e loro parlare in suo favore; il che seguendo si sarebbono in modo alienati dalla signoria, che mai piú concorrevano a bene nessuno; ma confortati da savi cittadini che le condizione della città non pativano queste quistioni, finalmente si posorono, e quello che era stato casso non appellò. XXIII RIFORME DELLA COSTITUZIONE FIORENTINA. IMPRESE DEL VALENTINO. PIERO SODERINI GONFALONIERE A VITA (1502). Assettati con somma laude e felicità questi disordini che apartenevano alla conservazione dello imperio e della quiete di fuora, la signoria volse gli animi a riordinare le cose e lo stato della città, per la disordinazione del quale nascevano tutti gli altri disordini e confusione, che erano di natura che perseverandosi in essi, ciascuno dubitava avere a vedere el fine ed ultimo esterminio della città. In che s'ha a intendere che e' sarebbe difficile immaginarsi una città tanto conquassata e male regolata quanto era la nostra, e tutto el male procedeva per non vi essere uno o piú uomini particulari che vegghiassino fermamente le cose publiche e che avessino tale autorità che, consigliato quello fussi utile a fare, potessino di poi essere instrumenti a condurlo a esecuzione, anzi mutandosi di due mesi in due mesi le signorie, e di tre e quattro in tre e quattro e' collegi, ognuno per la brevità del tempo che aveva a essere in magistrato, procedeva con rispetto e trattava le cose publiche come cose di altri e poco apartenente a sé. Aggiugnevasi che e' signori ed e' collegi, per e' lunghi divieti che danno le legge della città alla casa ed alla propria persona dall'una volta all'altra, non possono essere el piú delle volte se non uomini deboli e di poca qualità ed esperienzia degli stati; in modo che se e' non prestano fede a' cittadini savi ed esperti, anzi vogliono procedere di loro capo ed autorità, come interveniva allora perché avevano sospetto che e' primi cittadini non volessino mutare lo stato, impossibile è che la città non vadia in perdizione. Concorrevaci tutti e' disordini che fanno e' numeri grandi, quando hanno innanzi le cose non punto digestite, la lunghezza al deliberare, tanto che spesso vengono tardi; el non tenere secreto nulla, che è causa di molti mali. Da questi difetti nasceva che non pensando nessuno di continuo alla città, si viveva al buio degli andamenti e moti di Italia; non si cognoscevano e' mali nostri prima che fussino venuti; non era alcuno che avisassi di nulla, perché ogni cosa subito si publicava, e' principi e potentati di fuora non tenevano intelligenzia o amicizia alcuna colla città, per non avere con chi confidare, né di chi si valere, e' danari andando per molte mani, e per molte spezialità, e sanza diligenzia di chi gli amministrava, erano prima spesi che fussino posti e si penava el piú delle volte tanto a conoscere e' mali nostri e di poi a fare provisione di danari, che e' giugnevano tardi, in modo che e' si gittavano via sanza frutto, e quello che si sarebbe prima potuto fare con cento ducati non si faceva poi con centomila. Nasceva da questo che, bisognando ogni dí porre provisione di danari e provisione grosse, la brigata doppo el corso di molti anni era sí stracca che non voleva vincere piú provisione, in modo che non avendo danari, ogni dí la signoria sosteneva e' cittadini piú ricchi in palagio e gli faceva per forza prestare al commune, e nondimeno non se ne cavava tale provedimento che e' non fussino constretti a ultimo lasciare trascorrere ogni cosa, stare sanza soldati, tenere sanza guardia e munizione alcuna le terre e le fortezze nostre. E però e' savi cittadini e di riputazione, vedute queste cattive cagione, né vi potendo riparare perché subito si gridava che volevano mutare el governo stavano male contenti e disperati e si erano in tutto alienati dallo stato; ed erano el piú di loro la maggior parte a specchio, né volevano esercitare commessarie o legazione se non per forza e quando non potevano fare altro, perché sendo necessario pe' nostri disordini che di ogni cosa seguitassi cattivo effetto, non volevano avere addosso el carico e grido del popolo sanza loro colpa. Di qui procedeva che uno Piero Corsini, uno Guglielmo de' Pazzi erano tutto dí mandati commessari, perché, non volendo andare gli uomini savi e di riputazione, bisognava ricorrere a quegli che andavano volentieri; cosí andorono in Francia imbasciadori uno Giovacchino Guasconi, uno Luigi dalla Stufa e simili che non accadde nominare, perché uno messer Guidantonio Vespucci, uno Giovan Batista Ridolfi, uno Bernardo Rucellai, uno Piero Guicciardini non andavano se non quando non potevano fare altro. Di qui nasceva che la città non solo non aveva riputazione cogli altri potentati di Italia, ma né ancora co' sua propri sudditi; come si vedde nelle cose di Pistoia dove non sarebbono e' pistolesi tanto trascorsi, se avessino temuta o stimata la città. Aggiugnevasi a questi mali cosí publici che non sendo nella città nessuno che avessi perpetua autorità, e quegli che erano in magistrato, per essere a tempo, procedendo con timore e con rispetti era introdotta una licenzia sí publica e grande, che e' pareva quasi a ognuno, massime che fussi di stirpe punto nobile, lecito di fare quello che e' volessi. Cosí chi si trovava ne' magistrati, se avessi nelle cose che vi si trattavano una spezialtà ed una voglia o onesta o disonesta bisognava che ne fussi satisfatto e contento. Questi modi dispiacevano tanto a' cittadini savi e che solevano avere autorità, che erano quasi stracchi del vivere, perché e' vedevano la città rovinare ed andarne alla 'ngiú cento miglia per ora vedevano essere spogliati di ogni riputazione e potere; il che doleva loro e per rispetto proprio e perché in effetto quando gli uomini di qualità non hanno, io non dico la tirannide, ma quello grado che si conviene loro, la città ne patisce. Aggiugnevasi che ogni volta che nasceva qualche scompiglio, el popolo pigliava sospetto di loro e portava pericolo che non corressi loro a casa, in modo che ogni dí pareva loro, essere in sul tavoliere, e però sommamente desideravano che el governo presente si mutassi o almeno si riformassi, in modo che la città fussi bene governata, loro recuperassino parte del grado loro, ed in quello che avevano si potessino vivere e godere sicuramente. Era el medesimo appetito in quegli che si erano scoperti inimici di Piero de' Medici, perché per e' disordini della città avevano a stare in continuo sospetto che e' Medici non tornassino, e cosí riputavano avere a sbaraglio lo essere loro. Cosí gli uomini ricchi e che non attendevano allo stato, dolendosi di essere ogni dí sostenuti e taglieggiati a servire di danari el commune, desideravano uno vivere nel quale, governassi chi si volessi, non fussino molestati nelle loro facultà. Allo universale della città, che erano gli uomini di casa basse e che conoscevano che negli stati stretti le casa loro non arebbono condizione, erano gli uomini di buone case, ma che avevano consorti di piú autorità e qualità di loro e però vedevano che in uno vivere stretto rimarrebbono adrieto; a tutti costoro, che erano in fatto molto maggiore numero, piaceva molto el governo, nel quale si faceva poca distinzione da uomo a uomo presente e da casa a casa; e con tutto intendessino vi era qualche difetto, pure ne erano tanto gelosi e tanto dubio avevano che non fussi loro tolto, che come si ragionava di mutare ed emendare nulla, vi si opponevano. Ma di poi, stracchi dalle grande e spesse gravezze che si ponevano, da non rendere el Monte le paghe a' cittadini, ed in ultimo mossi da questi casi di Arezzo e da tanto pericolo che si era portato, che si toccava con mano essere causato da' disordini nostri, cominciorono a conoscere sí chiaramente che, non si pigliando migliore forma, la città si aviava al fine suo, che e' diventorono facili a acconsentire che si pigliassi qualche modo di riformare el governo, pure che lo effetto fussi che el consiglio non si levassi, né lo stato si ristrignessi in pochi cittadini. Trovando adunche la signoria la materia bene disposta ed essendovi caldi, massime Alamanno Salviati, cominciorono a trattare e consultare quello che fussi da fare, e finalmente discorrendo si risolverono che e' non fussi da ragionare di fare squittini, di dare balía a' cittadini e cosí di levare el consiglio, per piú cagioni: prima, perché come lo stato si ristrignessi in pochi, nascerebbe, come si era veduto ne' Venti ed in molti altri tempi, divisioni e sette fra loro, in modo che lo effetto sarebbe che quando si fussino prima bene percossi, bisognerebbe fare uno capo ed in fine ridursi a uno tiranno; di poi, che quando fussi bene utile el fare cosí el popolo ne era tanto alieno che mai vi si condurrebbe; e però non essere bene di ragionare né di attendere allo impossibile, ma pensare un modo che, mantenendosi el consiglio, si resecassino quanto piú si poteva e' mali della città e loro; e' quali erano in somma, che le cose grave ed importante si trattavano per mano di chi non le intendeva; e' cittadini savi e di qualità non avevano grado né reputazione conveniente; nella città si amministrava pe' magistrati nostri poca giustizia e ragione, massime nel criminale. Occorreva a questo uno modo: creare a vita uno magistrato di venti, quaranta, sessanta, ottanta o cento cittadini, e' quali creassino e' commessari ed imbasciadori, come facevano allora gli ottanta e non avessino autorità di creare altri ufici e magistrati per non tôrre la autorità al consiglio; vincessino le provisione di danari, massime per finale conclusione, e cosí non avessino di poi a ire in consiglio; di loro si creassino e' dieci; con loro si trattassino e consultassino le cose importante dello stato, come si fa a Vinegia co' pregati. Di questo nascerebbe che, stando loro continuamente, la città arebbe chi vegghiassi le cose sue; sendo e' piú savi della città, sarebbono bene intese e consultate, prevederebbono di danari a' tempi e quando bisognassi, arebbono sempre buona notizia delle cose che andassino a torno, perché loro vi attenderebbono, sarebbonne di continuo avisati perché nessuno temerebbe essere scoperto da loro, ed e' potentati di Italia non fuggirebbono el tenere pratica con loro, perché arebbono di chi si fidare e con chi si valere. Cosí arebbono bene governate le cose publiche, e' cittadini savi e di qualità ritornerebbono in grado e riputazione conveniente; ed essendo nella città uomini che arebbono qualche autorità e riverenzia, si reprimerebbe la licenzia di molti, ed e' magistrati nelle cose criminali farebbono piú el debito loro, e se non lo facessino, non mancherebbe trovare de' modi che provedessino a questa parte. Questa conclusione piaceva assai, ma si dubitava che el popolo per el grande sospetto che aveva che non si mutassi lo stato, come e' vedessi ordinare deputazione di cittadini non vi concorrerebbe, e però si risolverono che egli era meglio fare uno gonfaloniere di giustizia che fussi o in perpetuo o per uno lungo tempo, di tre anni o cinque per due cagioni: l'una perché quando bene si facessi quella deputazione di cittadini di che è detto di sopra, nondimeno non pareva che avessi la sua perfezione se non vi fussi uno gonfaloniere almeno per lungo tempo; e di poi feciono giudicio che essendo eletto uno gonfaloniere savio e da bene, che avendo fede col popolo sarebbe poi el vero mezzo a condurre facilmente quello o altro disegno, di che lo effetto fussi che le cose di importanza si governassino per mano de' primi cittadini della città, e che gli uomini di conto avessino quella autorità che meritamente si conveniva loro. E non pensorono che se la sorte dava loro uno gonfaloniere ambizioso, che e' non vorrebbe in compagnia uomini di riputazione, perché non gli potrebbe disporre e maneggiare a suo modo, e cosí che essendo eletto libero non vorrebbe legarsi da se medesimo; e però che prima si doveva fare gli ordini, poi l'uomo che vi aveva a vivere sotto, non prima l'uomo sciolto, che stesse a lui se s'aveva a ordinare e legare, o no. Fatta adunche questa risoluzione nella signoria e di poi persuasola destramente a' collegi, si cominciò a praticare e' modi e la autorità sua co' cittadini piú savi e si conchiuse che la autorità sua fussi quella medesima che solevano avere pel passato e' gonfalonieri di giustizia, non accresciuta né diminuita in alcune parte, eccetto che e' potessi proporre e trovarsi a rendere el partito in tutti e' magistrati della città nelle cause criminali. Questo fu fatto perché, trattandosi di uno delitto di uno uomo nobile, se e' magistrati per rispetto vi andassino a rilento, lui la potessi proporre, e colla autorità e presenzia sua muovergli a osservanzia delle leggi. Venne di poi in consulta quale fussi meglio, o farlo a vita o per tempo lungo di qualche anno; a molti non pareva da farlo a vita, perché si potessi qualche volta mutare e dare parte a altri; di poi se e' riuscissi uomo non sufficiente o per ignoranzia o per malizia, che e' finirebbe qualche volta, e la città non l'arebbe adosso in perpetuo, inoltre lo stare uno tempo lungo, bastare a fare quegli effetti buoni che si cercavano per la creazione sua, perché la città arebbe chi vegghierebbe le cose publiche ed uno timone fermo e che potrebbe introdurre gli ordini buoni; inoltre, che ricordandosi di essere a tempo, non gli parrebbe avere tanta licenzia, quanta se fussi perpetuo, e piú consentirebbe a ridurre e' cittadini al governo in compagnia sua, che se fussi a vita. A molti, fra' quali era Giovan Batista Ridolfi, pareva el contrario; assegnavanne massime due ragione: l'una, che sendo fatto a vita, arebbe el maggiore grado che potessi desiderare nella città e però che l'animo suo si quieterebbe e contenterebbe, e potrebbe sanza rispetto alcuno pensare al bene della città, dove, se fussi a tempo, non poserebbe forse cosí l'animo, ma penserebbe come vi si potesse perpetuare, o con favore della moltitudine o con qualche via estraordinaria; il che non potrebbe essere se non con danno ed alterazione grande della città; di poi, che sendo in perpetuo, potrebbe piú vivamente fare osservare la giustizia e punire e' delitti, perché avendo a stare sempre in quello magistrato, non arebbe rispetto e paura di persona, dove sendo a tempo, si ricorderebbe avere a tornare un dí cittadino privato, e non vi sarebbe gagliardo, anzi procederebbe con quegli riguardi che facevano gli altri magistrati della città, e cosí verrebbe a mancare la osservanza della giustizia, che era uno di quegli effetti principali pel quale si introduceva questo nuovo modo. Deliberossi finalmente non lo fare in perpetuo, ma per tempo lungo di tre anni; e cosí sendo ferma la provisione e tirandosi innanzi, Piero degli Alberti, Bernardo da Diacceto ed alcuni simili cominciorono a gridare che gli era meglio farlo a vita e tanto intorbidorono, che quella provisione non si vinse, mossi perché e' non piaceva loro farlo in modo alcuno e si persuasono che el popolo non concorrerebbe mai a farlo a vita. La signoria adunche che ci era calda, massime Alamanno, alterata in su questa contradizione, ordinò la provisione di farla a vita, e vi si aggiunse avessi a avere cinquant'anni; non potessi avere magistrato alcuno della città; e' sue figliuoli non potessino essere de' tre maggiori; fratelli e figliuoli di fratelli non potessino essere de' signori, non potessino né lui né sua figliuoli fare trafico ed esercizio alcuno, il che si fece acciò che ne' conti del dare ed avere non avessino a soprafare altri; avessi di salario ducati milledugento l'anno; potessi essere, portandosi male, privato del magistrato da' signori e collegi, dieci capitani di parte guelfa ed otto, congregati insieme pe' tre quarti delle fave e' quali potessino essere chiamati a petizione di qualunque de' signori potessi essere eletto ognuno che fussi inabile per conto di divieto o di specchio. E fu presa sí larga questa parte, che e' si interpretò che etiam quegli che vanno per le minore arte potessino essere eletti, il che si fece o per inavvertenza o perché la arte minore ci concorressi piú volentieri. El modo del crearlo fussi questo: chiamassisi el consiglio grande, nel quale potessino intervenire per dí tutti quegli avevano el beneficio non ostante fussino a specchio, il che si fece acciò che chi fussi eletto fussi con consenso piú universale del popolo, ognuno che fussi in consiglio avessi autorità di nominare chi gli pareva e quegli tutti nominati andassino a partito, e tutti quegli che vincevano el partito per la metà delle fave e una piú, o uno o piú che fussino, andassino un'altra volta a partito, e quello o quegli che vincevano, andassino questa seconda volta a partito, e tutti quegli che vincevano, riandassino poi a partito la terza volta; e di quegli che vincevano questa terza volta, si pigliassi chi vinceva per la metà delle fave e una piú, ed avessi piú fave che gli altri che fussino iti a partito la terza volta, se altri vi era ito; e questo tale fussi gonfaloniere di giustizia a vita. Presesi questo modo perché la elezione non si sarebbe mai vinto si fussi cavata del popolo; e però ordinorono questi vagli, acciò che avessi piú maturità che fussi possibile. Aggiunsesi che la elezione si facessi a tempo della signoria futura, acciò che el popolo potessi meglio pensare e risolversi a chi fussi a proposito, e che chi fussi eletto, fussi publicato quando la signoria che aveva a entrare di novembre, e pigliassi el magistrato in calendi di novembre prossimo futuro. Aggiunsesi in questa provisione un altro capitolo, che dove gli ottanta si traevano a sorte di quegli che avevano vinto el partito ora se ne pigliassi pochi piú di cento che avessino vinto per le piú fave, e di quegli si traessino gli ottanta, dando la rata a' quartieri. Il che fu fatto acciò che in quello consiglio si trovassino uomini piú scelti perché, come è detto di sopra, quando in quello consiglio intervenissino tutti gli uomini savi e di qualità, sarebbe utilissimo alla città. Ordinata e ferma questa provisione, e vinta fra' signori e collegi si misse negli ottanta, dove si dubitò avessi assai difficultà, perché si credeva che molti cittadini che pretendevano d'avere a essere gonfalonieri di giustizia se si creassi per dua mesi, non vi concorrerebbono per non si privare di quella degnità. Aggiugnevasi che Bernardo Rucellai publicamente la disfavoriva, e la cagione si diceva perché e' vedeva volgersi el favore a Piero Soderini, del quale lui era particulare inimico; nondimeno sendo riscaldata dalla signoria e da' collegi, si vinse con poca fatica la seconda volta che ebbono gli ottanta. Chiamossi di poi el consiglio grande, ed avendovi parlato in favore chi era deputato pe' collegi, e di poi Piero Guicciardini ed Iacopo Salviati ed altri uomini da bene, si accostò el primo dí a poche fave; in modo che l'altro dí facilmente si condusse alla sua perfezione. Acquistòvi, fra gli altri che la favorirono, gran laude Piero di Niccolò Ardinghelli, giovane di trentuno o trentadue anni, che era de' dodici el quale, avendovi per conto de' compagni parlato su piú volte, satisfece tanto a ognuno, che pochi dí poi fu creato dagli ottanta commessario a Castiglione Aretino, e si fece una via da dovere avere tanto stato quanto uomo da Firenze, se non se l'avessi poi tolto da se medesimo. Vinta questa provisione e dato principio alla riordinazione della città, uscí la signoria, la quale avendo trovata la città in somma confusione, smembrato Arezzo con tutta quella provincia, Pistoia quasi perduta e ribellata, aveva rassicurata la città di Pistoia, recuperato Arezzo e ciò che si era perso in quella rivoluzione, ed in ultimo vinta la provisione di riformare lo stato, lasciato ognuno in somma allegrezza e speranza; e però uscí meritamente con somma commendazione, sendo però ogni buona opera attribuita a Alamanno Salviati, Alessandro Acciaiuoli e Niccolò Morelli, e sopra tutto a Alamanno, in modo che e' tre quarti di quella gloria furono sua. Successe in luogo loro gonfaloniere di giustizia Niccolò di Matteo Sacchetti, a tempo del quale la città richiese el re che per sicurtà nostra ci concedessi che le sue gente che erano venute in Toscana, o almeno una parte di quelle sotto monsignore di Lancre, rimanessino alle stanze in sul nostro. Rispose el re che era contento vi stessino qualche tempo, ma perché potrebbe essere che n'arebbe bisogno per sé, le voleva potere rivocare a ogni sua posta, non avendo rispetto se ci lasciassi provisti o no. Acconsentillo da principio la città; di poi non se ne sapendo bene risolvere, tutte le gente si partirono e tornorono in Lombardia, di che la città venne a entrare in nuovi pensieri, perché el re, sendo riconciliato con Valentino, prese la volta di Francia; ed el Valentino contro alla opinione di molti che credevano che lo dovessi menare seco in Francia e quivi ritenerlo onestamente, accompagnatolo insino in Asti, se ne ritornò in Romagna agli stati sua. Donde la città trovandosi sanza arme, cominciò a avere gran paura di lui, e benché si intendessi che el re gli aveva alla partita raccomandato lo stato nostro, nondimeno si dubitava che, avendo una occasione di offenderci, non la usassi, avuto poco rispetto al re, col quale, secondo la natura de' franzesi, si truova doppo el fatto facilmente rimedio, e lui ne aveva veduta la esperienzia, sendosi sí intrinsecamente riconciliato seco, non ostante che el re si fussi persuaso che ciò ch'egli aveva fatto, fussi stato per cavarlo di Italia, e massime che nella recuperazione di Arezzo e delle altre cose nostre, el papa ed e' Vitelli e gli Orsini avevano publicamente detto che come el re fussi partito di Italia, ci farebbe uno altro assalto, el quale sarebbe di natura che non sarebbono e' franzesi ogni volta a tempo a liberarci. Ed essendo adunche in questa ambiguità, sopravenne uno accidente, el quale per qualche poco di tempo ci assicurò; el quale perché si intenda meglio, bisogna ripetere la origine sua da' fondamenti. Benché gli Orsini, Vitelli, Baglioni e Pandolfo Petrucci fussino o soldati o aderenti ed in una intelligenzia col papa e col duca Valentino, nondimeno la unione piú stretta e quasi una fazione era tra Vitelli, Orsini Baglioni e Pandolfo, e' quali per molti rispetti e per correre una medesima fortuna, erano di una volontà medesima. Costoro conoscendo la ambizione del duca Valentino e lo appetito suo infinito del dominare, el quale prima si estendeva ne' luoghi piú vicini ed in quegli dove aveva qualche titolo e colore di ragione, in fatto n'avevano sospetto e ne temevano, massime considerando che Perugia e Città di Castello apartenevano di ragione alla Chiesa, e cosí una parte degli stati degli Orsini, e l'altra, essere in su' terreni di Roma, e cosí, spacciati loro, accadere di Siena. E però doppo lo acquisto di Faenza avevono avuto caro che e' non gli fussi riuscita la impresa di Bologna, e perché non pareva da loro essere cosí gagliardi contro al papa ed alla Chiesa, massime avendo lo appoggio di Francia, arebbono desiderato rimettere Piero de' Medici in Firenze, parendo che colle forze di quello stato si sarebbono assicurati. Da altra banda el Valentino secretamente gli aveva in odio e desiderava la ruina loro, parte perché intendendo questi umori n'aveva preso sospetto, parte per ambizione e desiderio di insignorirsi di quegli stati; e però fu opinione di qualcuno, che se bene da un canto gli piacessi che noi avessimo perduto, o perché sperassi acquistare qualcuna delle terre nostre, o perché credessi che noi per difenderci fussimo forzati pigliare accordo seco con qualche suo grande vantaggio, da altro gli dispiacessi, dubitando che o Vitellozzo non acquistassi per sé qualcuna di quelle nostre terre, o e' Medici ritornassino in Firenze. Ma di poi venendone el re in Italia, lui e prima per lettere e di poi a bocca col re, per sua giustificazione sempre disse che lui non aveva saputo nulla di questo insulto, ma che era stata opera di Vitellozzo ed Orsini sanza sua participazione: di che nacque che comandando el re a Vitellozzo che venissi a Milano, lui impaurito non vi volle mai andare, allegando per scusa lo essere ammalato, e però el re si sdegnò molto forte contro a Vitellozzo e cominciollo a riputare suo capitale inimico. Arebbe avuto el re, per lo ordinario, desiderio che Vitellozzo e gli Orsini perissino, perché riputava essere utile a conservazione del suo stato che la milizia di Italia si spegnessi, e però, aggiuntoci questo odio particulare, vi era su molto infiammato; da altro canto, se bene si era adirato col papa e Valentino, non se ne fidava molto, pure per essersi inimicato come di sotto si dirà, nel reame cogli spagnuoli, pensava, riconciliandosi seco, potersene valere in quella provincia; e cosí da altro canto che se fussi suo inimico, gli potrebbe nuocere nelle cose del reame, e si farebbe forse una unione fra 'l papa, re di Spagna e viniziani, che lo metterebbe in assai pericoli. Per questo, sendone massime persuaso da monsignore di Roano, con chi el papa si manteneva assai faccendolo legato di là da' monti, ed esaltando e' sua nipoti alle dignità ecclesiastiche, si contrasse uno accordo ed una unione tra loro, lo effetto della quale fu che el re permetteva al Valentino insignorirsi di Bologna, di Perugia e di Città di Castello e lui gli prometteva nel reame tutti e' favori possibili. E però sendo tornato Valentino in Romagna e preparandosi alla impresa di Bologna, sentito che ebbono questo Vitellozzo e gli Orsini e quella fazione perché non avevano ancora notizia quello che si fussi designato degli stati loro, considerando che se el Valentino pigliava Bologna, arebbono tutti a stare a sua discrezione, si ristrinsono insieme e deliberorono fare forza di opprimere la grandezza del Valentino, innanzi che crescessi piú. Furono in questa intelligenzia messer Giovanni Bentivogli, pel pericolo ed interesse suo e perché era parente nuovamente degli Orsini, Pandolfo Petrucci, Giampaolo Baglioni, gli Orsini, Vitellozzo Liverotto da Fermo ed el duca Guido di Urbino al quale si obligorono rendergli e conservargli lo stato suo. E cosí accendendosi uno principio di nuovo fuoco, la città diminuí assai la paura del Valentino, e cosí di Vitellozzo e degli altri. Nel quale tempo, secondo la provisione fatta di agosto, si venne alla creazione del gonfaloniere a vita, e ragunato el consiglio grande dove intervenne piú che duemila persone e fatte le nominazione, nelle quale nominò ognuno che volle nominare, andorono a partito e' nominati che furono piú di dugento; e lo effetto fu che nella prima squittinazione vinsono solo tre, che furono messer Antonio Malegonnelle, Giovacchino Guasconi e Piero Soderini, e riandati a partito la seconda volta, non vinse se non Piero Soderini, el quale riandando solo la terza volta, vinse el partito; in modo che, benché el publico non scoprissi chi era fatto, nondimeno necessariamente si manifestò, poi che la seconda e terza volta andò lui solo e cosí rimase fatto gonfaloniere di giustizia a vita Piero di messer Tommaso Soderini, che a pena aveva cinquant'anni non ancora finiti. Le cagione perché lui fu in tanto magistrato preposto a tutti gli altri furono molte: era di casa buona e nondimeno non piena di molti uomini, né copiosa di molti parenti, era ricco e sanza figliuoli, era riputato cittadino savio e valente, era tenuto amatore del popolo e di questo consiglio, aveva buona lingua. Aggiugnevasi che si era dal 94 in qua affaticato assai nelle cose della città, e dove gli altri cittadini reputati come lui avevano fuggite le brighe e le commessione, lui solo l'aveva sempre accettate, e tante volte esercitate quante era stato eletto, e però n'aveva acquistato opinione di essere buono cittadino ed amatore delle cose publiche; ed inoltre la multitudine, veduto adoperarlo piú che gli altri e non pensando che la cagione era perché e' simili a lui fuggivano gli ufici, credeva procedessi perché e' fussi piú valente uomo che gli altri. Aggiunsesi el favore datogli da Alamanno ed Iacopo Salviati, e' quali, avendo amici e parenti assai e trovandosi in somma grazia e credito del popolo, né essendo per la età ancora capaci di quello magistrato, messono ogni loro forza che fussi eletto Piero Soderini, mossi non per avere parentado ed amicizia intrinseca con lui, ma perché riputorono che la creazione sua dovessi essere a beneficio della città; e fu di tanta efficacia questo aiuto, che in ogni modo gli accrebbe el quarto del favore. Fu eletto, sendo assente ed ancora commessario a Arezzo insieme con Antonio Giacomini perché Luca d'Antonio degli Albizzi era morto in quegli giorni, in luogo di chi fu poi eletto Alamanno Salviati; ed avuta la nuova della elezione, ne venne in Casentino, pochi dí poi venne in Firenze standosi sempre in casa insino al dí che e' fussi publicato. In questo tempo gli Orsini, Vitelli e gli altri aderenti, fatta una dieta alla Magione in quello di... e quivi conchiusa e publicata la loro nuova lega ed intelligenzia, ne vennono nello stato di Urbino, el quale recuperorono con poca fatica, e renderonlo al signore vecchio. Sbigottí assai el papa e Valentino di questo assalto; e pure voltisi a' rimedi avisorono subito in Francia, chiedendo aiuto, feciono quanti soldati a cavallo ed a piede potevano, e richiesono istantissimamente la città di collegarsi insieme, per potersi valere di quella in tanto bisogno. Cosí da altra parte e' collegati feciono per mezzo di Pandolfo Petrucci molte richieste, offerendo qualche commodità circa a Pisa la quale cosa per intendere meglio, fu mandato occultamente a Siena ser Antonio da Colle, ed in effetto non avendo loro facultà di farlo la città si risolvé di stare neutrale insino a tanto che e' si intendessi chiaramente la voluntà del re di Francia. E perché e' si credeva che e' sarebbe inclinato a favorire Valentino, per ritenerselo intanto con qualche dimostrazione, vi fu mandato da' dieci a lui che era in Imola, Niccolò Machiavelli cancelliere de' dieci, ed a Roma fu mandato ser Alessandro Bracci, uomo esercitato in queste cose, per dare pasto al papa insino a tanto che vi andassi messer Giovan Vettorio Soderini che vi era deputato oratore. Nel medesimo tempo la città, vedendosi spogliata di arme, condusse per capitano generale el marchese di Mantova, el quale, el dí che fu fatta la condotta, si trovava in Milano che ne andava a dirittura in Francia; ma perché el marchese si era di nuovo riconciliato col re, del quale era stato lungamente inimico, el re non si fidava interamente di lui, e però gli dispiacque questa condotta, parendogli che el mettere in mano al marchese le forze della città nostra gli potessi in qualche accidente nuocere assai. Disse adunche lui e Roano a Luigi dalla Stufa, che vi era oratore solo, perché el Gualterotto non aveva passati e' monti, che el desiderio loro era, questa condotta non andassi innanzi, e nondimeno che e, si facessi con tale destrezza che el marchese non si accorgessi della cagione; e però fu necessario introdurre molte cavillazioni per impedirla, tanto che lo effetto fu che la condotta non ebbe luogo; e pure el marchese cognobbe che e' non era stato per difetto nostro, ma per opera del re. Entrò di poi in calendi di novembre el nuovo gonfaloniere di giustizia, nel quale furono due cose nuove e singulari: l'una, essere creato a vita, l'altra, essere creato diciotto mesi poi che era stato una altra volta: conciosiaché secondo le legge ordinarie della città bisognassi dall'una volta alla altra stare almeno tre anni. Successene di poi una altra non meno nuova, che mentre che e' sedeva in magistrato, furono de' signori e collegi alcuni de' sua consorti Soderini, conciosiaché innanzi a lui non solo fussi proibito el trovarsi insieme de' tre maggiori due di una casa medesima, ma ancora quando era de' signori uno di una casa, da poi che era uscito avevono e' sua consorti divieto uno anno a potere essere de' signori, e sei mesi de' collegi. Entrò con grandissima grazia e riputazione e con universale speranza della città che non solo a tempo suo le cose avessino a essere prospere, ma ancora s'avessi per opera sue a riformare ed introdurre un vivere sí buono e santo, che la città n'avessi lungamente a godere, la quale si trovava in molte onde e pensieri. Erasi quanto al governo di drento fatto uno principio buono, di avere creato uno gonfaloniere a vita; ma come a una nave non baste uno buono nocchiere se non sono bene ordinati gli altri instrumenti che la conducono, cosí non bastava al buono essere della città l'avere provisto di uno gonfaloniere a vita che facessi in questo corpo quasi lo uficio di nocchiere, se non si ordinavano le altre parte che si richieggono a una republica che voglia conservarsi libera e fuggire gli estremi della tirannide e della licenzia. E come non può essere chiamato buono nocchiere in una nave quello che non provede a introdurre gli instrumenti di che sopra è detto necessari, cosí in questa città non poteva essere chiamato buono gonfaloniere a vita quello che non provedeva gli altri ordini necessari e riparava agli inconvenienti detti di sopra. Quanto alle cose di fuora, la città si trovava due piaghe proprie: una le cose di Pisa, le quali se non si posavano ed in forma che Pisa fussi mostra, non ci potevamo posare noi; l'altra e' Medici, che benché paressino molto deboli e con pochi amici e sanza parte nella città, nondimeno se bene da loro propri non pareva ci potessino offendere e perturbare, pure per la potenzia avuta nella città e nel contado nostro, erano uno instrumento col quale e' potentati inimici nostri ci potevano piú facilmente bastonare. Aveva la città di poi qualche altro male piú accidentale e meno proprio: la inimicizia con Vitellozzo, el quale era uomo sí inquieto e di tale riputazione co' soldati ed appoggiato in modo da quella fazione Orsini, Pandolfo e Baglioni, che e' bisognava fare conto che, non si reconciliando o non si spegnendo, avessi a tenere la città in continui sospetti ed affanni; la potenzia ed ambizione del papa e duca Valentino, che era da temere assai rispetto alle forze grandissime della Chiesa e la vicinità degli stati di Romagna con noi; lo essere el Valentino uomo valente ed in sulle arme, e tanto piú quanto per le cose di Pisa la città nostra era debole e conquassata; questi erano e' mali che piú si vedevano e palpavano per ognuno. Aggiugnevasi lo stato grande de' viniziani e' quali se bene allora non offendevano né cercavano di offendere la città, pure s'aveva a considerare che erano sí grandi, che perdendo o per morte o per altro caso el re di Francia el domino di Milano e del reame Italia tutta rimaneva in preda ed a loro discrezione. E dato che questo male fussi sí grande che la città da sé non vi potessi riparare, pure aveva a pensare di fare lo sforzo suo, e con lo incitare contro a loro el re di Francia, e con tenere le mani in sulle cose di Romagna, se mai per morte del papa o per altro accidente si alterassino. Eraci da stimare assai le cose di Francia, colle quali la città pareva in buoni termini, e che el re e monsignore di Roano, in chi era el pondo d'ogni cosa, ci fussi affezionato; pure s'aveva a presupporre che la avarizia, la leggerezza loro ed el rispetto che hanno a se medesimi era tanto, che di loro s'aveva a cavare piú briga, piú spesa sanza comparazione che utile. Trovavansi in questi termini le cose nostre e perché piú si mescolavano allora e' signori collegati ed el Valentino che altra cosa di Italia, però gli animi ed e' pensieri di tutti erano vòlti a quelle. El subito acquisto dello stato di Urbino, e la riputazione che aveva massime Vitellozzo, avevano tanto sbigottito el Valentino, che si trovava in Imola, ed e' sudditi sua, che è opinione che se subito fussino andati alla volta di Romagna, arebbono fatto in quello stato qualche grande sdrucito, e forse riportatane una assoluta ed intera vittoria ma lo indugio loro fu tanto, o perché e' fussi lungo lo accozzare insieme le forze di tante persone, dove sempre nasce mille difficultà o perché e' fussino tenuti in pratiche di accordo, che el Valentino ebbe tempo prima fortificare le fortezze e terre sua, di poi soldare cavalli e fanterie in somma da potersi difendere e di poi aspettare a bell'agio l'aiuto di Francia, el quale veniva in suo favore molto gagliardo perché el re subito scrisse a monsignore di Ciamonte, che era a Milano, che spignessi in Romagna tutte le sue gente, e fece intendere che non mancherebbe di tutti quegli aiuti che potessi. Per la qual cosa e' viniziani, di chi si era dubitato, feciono intendere al papa e Valentino, che erano parati servirlo di tutte quelle gente che avevano ed e' fiorentini al tutto si confermorono o di fare accordo col papa o di starsi neutrali. Di che sbigottiti assai e' collegati, cominciorono a tenere pratiche di accordo; e finalmente gli Orsini, Vitelli e quella fazione si convennono restituire Urbino al Valentino, tornare a' soldi sua, e che delle cose di Bologna e di messer Giovanni si facessi uno compromesso. El quale capitolo perché fu sanza saputa di messer Giovanni, lui sdegnatosi fece da parte un altro accordo con Valentino, l'effetto del quale fu che el Valentino non molestassi quello stato e fussine servito per tempo di piú anni di certa somma di danari e di uomini d'arme e cosí el Valentino, benché si trovassi forte in sulla campagna e di sua gente e de' franzesi che erano arrivati in Romagna, fu contento a lasciare stare Bologna, o perché cosí fussi el parere del re di Francia, di che messer Giovanni era in protezione, o perché volessi, come di poi mostrò lo effetto, essere piú espedito a attendere a altro. Né molto poi, sendosi simulatamente riconciliato co' collegati, ne vennono colle loro gente Vitellozzo, Paolo Orsini, Liverotto da Fermo ed el duca di Gravina, che era di casa Orsina, a trovarlo a Sinigaglia, dove lui industriosamente aveva esercito piú potente di loro e sanza loro saputa, perché aveva condotto un gran numero di lancie spezzate, e cosí avendo condotti pochi cavalli per volta, non si era inteso né saputo quanto numero avessi fatto. Pose adunche loro le mani adosso e fece subito strangolare miserabilmente, con un modo però nuovo e crudele di morte, Vitellozzo e Liverotto, e pochi dí poi el signore Paolo ed el duca di Gravina; ed in quello dí medesimo el papa fece sostenere in palazzo el cardinale Orsino e messer Rinaldo Orsini arcivescovo di Firenze e messer Iacopo da Santa Croce, gentiluomo romano e de' primi capi di parte Orsina, de' quali fece subito morire el cardinale; gli altri dua, avendogli sostenuti qualche tempo, lasciò. Cosí finí el dí suo Vitellozzo, e quelle arme che erano preposte a tutte le arme italiane, in che è da notare che messer Niccolò suo padre ebbe quattro figliuoli legittimi, Giovanni, Camillo, Pagolo e Vitellozzo, e' quali tutti nella milizia feciono tale profitto che furono ne' tempi loro riputati de' primi soldati di Italia, in modo che si faceva giudicio che avessi per la virtú di questi quattro fratelli a essere una casa di grandissima potenzia ed autorità. Ma come volle la sorte, questi principi sí felicissimi ebbono fini piú infelici: Giovanni innanzi al 94, sendo soldato di Innocenzio, fu nella Marca, nella guerra di Osimo morto da una artiglieria; Camillo sendo nel reame a soldo del re Carlo, fu, nella espugnazione di uno castello, morto da uno sasso gittato dalle mura, a Paolo fu tagliato el capo, Vitellozzo fu strangolato; ed in effetto tutti e quattro, sendo ancora giovani, perirono di morte violenta. Di Liverotto s'ha a intendere che e' fu da Fermo, di nobile casa; ed essendo valente soldato ed in riputazione per essere cognato di Vitellozzo, e favorito da parte Orsina, venne in disegno di occupare lo stato di Fermo, e vedendo che bisognava la forza, ordinò che uno dí determinato molti soldati sua confidati spicciolati e sotto nome di altre faccende, fussino in Fermo; el quale dí, essendovi lui, convitò in casa sua messer Giovanni Frangiani suo zio, uomo di grande autorità, con parecchi altri cittadini principali di Fermo, e doppo el convito, avendogli con parecchi sua compagni crudelmente amazzati, corse la terra in suo nome, essendo impauriti tutti e' cittadini, e non avendo alcuno ardire di parlare. Ma come volle la giustizia divina, avendo fatto questo eccesso l'anno 1501 el dí di san Stefano, fu nel sequente anno, el dí medesimo di san Stefano, fatto nel sopra detto modo morire dal duca Valentino. Morti che furono crudelmente costoro, el duca si voltò collo esercito suo verso Città di Castello, dove si trovava messer Iulio vescovo di Castello e fratello bastardo di Vitellozzo, ed alcuni garzoni figliuoli di Giovanni, Camillo e di Pagolo, e' quali intesa la venuta sua, essendo sanza forze e sanza speranze, si fuggirono; di che lui acquistata quella terra, andò subito alla vòlta di Perugia, nella quale entrò sanza resistenzia, perché Giampaolo, non avendo rimedio, se ne fuggí. Vòlto di poi verso Siena, sotto nome di volerne cacciare Pandolfo suo inimico, in fatto per fare pruova se potessi insignorirsene, poi che e' vedde e' sanesi ostinati a difendersi, per virtú del quale rimanendo Siena come si era, Pandolfo s'ebbe a partire ed andossene a Pisa, e nondimeno rimasono nel governo gli aderenti ed amici sua, in modo che si poteva dire lo tenessino fuora mal volentieri, ma per fuggire la guerra del Valentino, accordandosi ancora lui a questo partito. Andossene di poi in terra di Roma allo acquisto degli Orsini, dove in brieve tempo occupò ogni cosa, eccetto alcune terre di Gian Giordano. Aveva in questo mezzo la città per mezzo di messer Giovan Vettorio Soderini oratore nostro a Roma, trattato accordo col pontefice; e per questa cagione essendo stato eletto oratore al duca Valentino Piero Guicciardini ed avendo rifiutato, vi fu mandato Iacopo Salviati, a tempo che ancora era a' confini nostri e non si era ritirato in quello di Roma. E finalmente lo effetto fu che doppo molte pratiche, sendo quasi fermi ed appuntati e' capitoli, non se ne fece conclusione alcuna, ora rimanendo dal papa che voleva condizioni disoneste, ora da noi che volavamo intendere l'animo del re di Francia. XXIV RIVALITÀ TRA SPAGNA E FRANCIA IN ITALIA. ELEZIONE DI GlULIO (1503). 1503. Seguitò lo anno 1503, nel quale si détte mutazione grandissima alle cose di Italia. Sul principio di questo anno la città desiderosa di armarsi, e di qualche arme franzese per piú riputazione, tolse a soldo per conforto del re e di Roano e per mezzo degli oratori nostri che erano in Francia, monsignore de' Soderini ed Alessandro di Francesco Nasi, uno capitano franzese chiamato Baglí di Cane, uomo valente e di buona riputazione nel mestiere delle arme. Fu la condotta sua cento lancie franzese, delle quali cinquanta ne pagava la città, cinquanta ne erano accommodate dal re; e fecesi, perché si credette che per conto de' franzesi, el papa e Valentino avessino a avere piú rispetto a offenderci; e cosí si temporeggiavano le cose di Italia, quando nel reame nacque uno accidente di momento grandissimo. Era fra e' franzesi e spagnuoli nata differenzia nel regno per conto della dogana di Puglia, la quale non si potendo acconciare colle parole, si venne alle arme, dove trovandosi e' franzesi piú forti e superiori di numero, occuporono quasi tutta la Calavria; ma poco di poi avendovi el re di Spagna mandato rinfrescamento di gente, e trovandovisi per lui Consalvo Ferrando; uomo valentissimo, si cominciorono a levare via e' vantaggi, e l'una parte e la altra essere piú del pari. In questo mezzo Filippo duca di Borgogna figliuolo di Massimiano re de' romani e genero del re di Spagna, venuto personalmente in Francia a aboccarsi col re, praticò e concluse accordo fra questi principi, per virtú del quale avendosi a levare le offese, e l'una parte e l'altra a posare le arme, e cosí avendo el re di Spagna a ratificare quello che era stato fatto dal genero di suo mandato, faccendosi per parte di quello re molte cavillazioni; lo effetto fu che Consalvi venne nel reame a giornata co' franzesi e gli ruppe vittoriosamente. E di poi seguitando la vittoria, acquistò in pochi dí Napoli con tutto el regno, ed espugnò con somma industria e laude quelle fortezze di Napoli che erano riputate inespugnabile; e cosí ogni cosa venne in sue mano, eccetto Gaeta, nella quale rifuggirono una parte delle gente franzese. Alterossi e risentissi mirabilmente el re di questa percossa e benché dalla parte di Spagna si facessino molte scuse ed introducessinsi nuove pratiche di accordo, veduto alfine che tutte erano parole, si risolvé a fare uno sforzo ed una impresa potentissima per recuperare lo stato e l'onore, e vendicare quella ingiuria che gli era stata fatta sotto la fede degli accordi. Era in questi tempi nata fra lui ed el papa indegnazione, la quale ebbe forse origine intrinseca, perché el re cominciava a non se ne fidare ed a temere della potenzia sua; ma le cagione che apparirono di fuora, furono che doppo la morte degli Orsini, el re scrisse al papa e Valentino, che in nessuno modo occupassino lo stato di Gian Giordano Orsino che era suo soldato, e benché loro, spacciato che ebbono lo stato degli altri Orsini, da Pitigliano in fuora, si accampassino a certe castella di Gian Giordano, el re se ne riscaldò tanto con lettere e con messi, e fecene tanta instanzia, che doppo molte querele del papa e Valentino, lo effetto fu che nacque uno accordo tra loro, per virtú del quale le terre che erano in quistione s'ebbono a dipositare in mano del re. Aggiunsesi di poi che el Valentino, el quale aveva a andare nel reame in aiuto de' franzesi, differí tanto con varie cagioni la andata, che e' seguitò el disordine detto di sopra, del quale el papa e lui si rallegrorono assai, giudicando che questa mutazione fussi a suo proposito. Per la qual cosa el re insospettito che non si accordassino con Ispagna, fece concetto che aparterebbe molto a sue sicurtà degli stati di Italia potersi valere di Toscana, e però disegnò di fare una unione di Firenze, Siena e Bologna. Ed a questo effetto avendone conferito colla città e fatto che la prestò favore a questa opera, fece ritornare Pandolfo Petrucci al governo di Siena, la quale cosa fu facile perché e' sanesi amici di Pandolfo, in mano de' quali era lo stato, come ebbono intesa la voluntà del re ed el favore che arebbono dalla città, posto da canto la paura del papa e Valentino, pacificamente e sanza alcuno tumulto lo rimessono in Siena. E lui prima promesse caldamente al re ed alla città, che come fussi tornato restituirebbe Montepulciano, di che non fece nulla, allegando massime non essere in potestà sua, perché el popolo non lo consentirebbe mai, e però bisognare aspettare qualche occasione, la quale come venisse, lui eseguirebbe volentieri; e cosí in questa cavillazione differí tanto, che e' si mutarono le condizione de' tempi. In questo tempo la città, ristretto lo esercito suo, si volse a dare el guasto a' pisani, e' quali, mandati oratori al papa e Valentino, ebbono da lui aiuto di qualche somma di danari e di fanterie, nondimeno el guasto si dette quasi per tutto, sendo commessario Antonio Giacomini che allora in quello mestiere avanzava di riputazione tutti gli altri cittadini. Ma perché e' non mancava chi tuttavia dessi soccorso, per via di mare, di vettovaglie a' pisani, non ne seguitava quegli effetti che si disegnavano; perché se bene ne seguitava qualche carestia e difficultà di vivere, pure la ostinazione loro era tanta, che e' s'aveva a presupporre che innanzi arebbono acconsentito ogni cosa che ritornare sotto la divozione della città, e però che non la difficultà, non la carestia, ma la necessità e la forza sola gli aveva a condurre. Riebbesi, credo, quello anno, e fu el sequente, Vicopisano e Librafatta, e presesi quasi a caso la Verrucola, che sempre in questa guerra si era tenuta pe' pisani; dove si disegnò e cominciò a murare una belle fortezza. Creò in questo tempo el papa molti cardinali, fra' quali messer Francesco Soderini, vescovo di Volterra e fratello del gonfaloniere, uomo che per la età che era di circa a cinquant'anni, per essere stato lungo tempo in corte, per essere litterato e di gran cervello nelle cose del mondo ed assai costumato, secondo lo uso degli altri preti sí gli conveniva quello grado. Nondimeno non gliene dettono questi meriti, ma lo acquistò con qualche favore di Francia e della città, in nome; in fatto, lo comperò buona somma di danari sendo cosí allora la consuetudine del papa, ed el Soderino, uomo in molte cose virtuoso, pure, dove lo menava la avarizia e la ambizione, immoderatissimo e sanza rispetto, sanza fede e sanza conscienzia alcuna. Aveva in questo mezzo el re ordinato uno esercito potentissimo di piú che millecinquecento lancie franzese e quindicimila fanti, buona parte svizzeri; ed aviatolo in Italia, fattone capitano generale monsignore della Tramoia che era el piú riputato uomo nelle arme che avessi Francia, cosí richiesto el marchese di Mantova vi andassi personalmente, servito ancora di qualche numero di uomini d'arme da Ferrara, Bologna e Siena, e da noi del Baglí di Can colle sue cento lancie. E perché queste gente avessino meno riscontro, avendo esaminato che tre cose gli potevano tòrre la vittoria: uno potente soccorso che el re di Spagna mandassi nel reame, se e' viniziani favorissino quello re, se el papa e Valentino si accordassino con lui, aveva, per divertire el soccorso di Spagna, fatto uno altro esercito non meno potente di quello che veniva in Italia, e mandatolo in Linguadoch a rompere guerra agli spagnuoli, acciò che, constretti difendersi da quella banda, non potessino cosí attendere alle cose di Napoli; aveva mandato a Vinegia per intratenergli oratore messer Constantino Lascari greco, che già aveva letto greco in Firenze e di poi l'anno 94, andatosene in Francia, era favorito da Roano; aveva fatto strignere el papa dagli oratori sua che residevano a Roma, che manifestassi la sua intenzione. Dal quale però non si traeva se non risposte dubie ed ambigue, perché el papa e Valentino sagacissimamente considerando di avere acquistato con favore del re di Francia lo stato de' Colonnesi, Imola, Furli, Faenza, Rimino, Pesero e tanti stati in Romagna, el ducato di Urbino Camerino, Fermo e gran parte della Marca, Perugia, Piombino, gli stati degli Orsini e Città di Castello, e che col favore suo non poteva piú acquistare, perché cosí era la voluntà del re, e n'aveva fatto pruova prima nelle cose nostre di poi in Bologna, nello stato di Gian Giordano ed in Siena, e considerando ancora che se el re otteneva la impresa del reame, lui e tutta Italia rimaneva a sua discrezione, ed e converso che, accordandosi cogli spagnuoli, loro gli farebbono partiti larghi e favorirebbonlo a acquistare Siena, Bologna e dello stato nostro, si risolveva a non volere seguitare piú la amicizia del re di Francia; da altra parte considerando quanto grande e potente era questo esercito, e con quanti apparati veniva a questa impresa, e cosí certificandosi piú ogni dí e' viniziani, se bene desideravano che el re di Spagna avessi vittoria, pure si starebbono neutrali, o se pure favorissino el re di Spagna, sarebbono favori piccoli ed occulti, gli pareva entrare in troppo gran pericolo. Pure gli dava animo el vedere essere nel reame pel re di Spagna uno esercito assai potente, ed esserne capitano Consalvi Ferrante, uomo di grandissima virtú e riputazione, avere a soldo e' Colonnesi, aspettare di Spagna el quale di poi venne un grosso rinfrescamento, essere in pratica di condurre o di già avere condotto Bartolomeo d'Alviano Orsino, el quale, sendo riputato de' primi condottieri di Italia si era partito da' soldi de' viniziani, o per non essere di accordo delle convenzione, o perché loro sotto questo colore ne volessino accomodare sanza loro carico el re di Spagna; in modo che congiunto a queste forze da per sé grande l'esercito suo e del Valentino, gli pareva essere gran momento alla vittoria, in modo che, fatti questi discorsi, è opinione che in ultimo, vinto dalla ambizione che gli era ogni dí cresciuta collo imperio, si sarebbe alienato da Francia e seguitate le parte di Spagna; quando, fuora della espettazione di tutti, morí del mese di... quasi di subito. La cagione della sua morte si disse variamente; nondimeno la piú parte si accordò che e' fussi stato veleno, perché faccendo uno convito a uno giardino, dove disegnava avelenare alcuni cardinali per vendere poi gli ufici e benefíci loro, sendovi lui ed el Valentino giunti a buon'ora e innanzi vi arrivassino le vettovaglie, ed avendo per el caldo grande dimandato da bere, non vi essendo altro vino, fu dato loro, da chi non sapeva lo ordine, di quello dove era el veleno, el quale bevuto inavvertentemente fece questo effetto. E che questa sia la verità ne fa fede che lui morí o la notte medesima o el dí sequente, fanne fede che Valentino ed alcuni altri che vi si trovorono, caddono in mali lunghi e pericolosi e con segni di veleno, de' quali però non morirono, perché, per essere giovani, non fece sí subito lo effetto suo come nel papa che era vecchio e però ebbono tempo a curarsi. Cosí morí papa Alessandro in somma gloria e felicità, circa la qualità del quale s'ha a intendere che lui fu uomo valentissimo e di grande giudicio ed animo, come mostrorono e' modi sua e processi, ma come el principio del salire al papato fu brutto e vituperoso, avendo per danari comprato uno tanto grado, cosí furono e' sua governi non alieni da uno fondamento sí disonesto. Furono in lui ed abundantemente tutti e' vizi del corpo e dello animo, né si potette circa alla amministrazione della Chiesa pensare uno ordine sí cattivo che per lui non si mettessi a effetto: fu lussuriosissimo nell'uno e l'altro sesso, tenendo publicamente femine e garzoni, ma piú ancora nelle femine; e tanto passò el modo che fu publica opinione che egli usassi con madonna Lucrezia sua figliuola, alla quale portava uno tenerissimo e smisurato amore; fu avarissimo, non nel conservare el guadagnato, ma nello accumulare di nuovo, e dove vedde uno modo di potere trarre danari, non ebbe rispetto alcuno: vendevansi a tempo suo come allo incanto tutti e' benefici, le dispense, e' perdoni, e' vescovadi, e' cardinalati e tutte le dignità di corte, alle quali cose aveva deputati dua o tre sua confidati, uomini sagacissimi, che gli allogavano a chi piú ne dava. Fece morire di veleno molti cardinali e prelati, ancora confidatissimi sua, quali vedeva ricchi di benefíci ed intendeva avere numerato assai in casa, per usurpare la loro ricchezza. La crudeltà fu grande, perché per suo ordine furono morti molti violentemente; non minore la ingratitudine colla quale fu cagione rovinare gli Sforzeschi e Colonnesi che l'avevano favorito al papato. Non era in lui nessuna religione, nessuna osservanzia di fede: prometteva largamente ogni cosa, non osservava se non tanto quanto gli fussi utile, nessuna cura della giustizia, perché a tempo suo era Roma come una spelonca di ladroni e di assassini; fu infinita la ambizione, e la quale tanto cresceva quanto acquistava e faceva stato; e nondimeno, non trovando e' peccati sua condegna retribuzione nel mondo, fu insino allo ultimo dí felicissimo. Giovane e quasi fanciullo, avendo Calisto suo zio papa, fu creato da lui cardinale, e poi vicecancelliere; nella quale degnità perseverò insino al papato con grande entrata, riputazione e tranquillità. Fatto papa, fece Cesare, suo figliuolo bastardo e vescovo di Pampalona, cardinale, contra tutti gli ordini e decreti della Chiesa che proibiscono che uno bastardo non possi essere fatto cardinale eziandio con dispensa del papa, fatto provare con falsi testimoni che gli era legittimo. Fattolo di poi secolare e privatolo del cardinalato, e vòlto l'animo a fare stato, furono e' successi sua piú volte maggiori ch'e' disegni e cominciando da Roma, disfatti gli Orsini, Colonnesi e Savelli, e quegli baroni romani che solevano essere temuti dagli altri pontefici, fu piú assoluto signore di Roma che mai fussi stato papa alcuno; acquistò con somma facilità le signorie di Romagna, della Marca e del ducato, e fatto uno stato bellissimo e potentissimo, n'avevano e' fiorentini paura grande, e' viniziani sospetto, el re di Francia lo stimava. Ridotto insieme uno bello esercito, dimostrò quanto fussi grande la potenzia di uno pontefice, quando ha uno valente capitano e di chi si possa fidare; venne a ultimo in termini, che era tenuto la bilancia della guerra fra Francia e Spagna; fu insomma piú cattivo e piú felice che mai per molti secoli fussi forse stato papa alcuno. Morto Alessandro, si feciono nuovi concetti al papato e nuovi disegni de' pricipi; ma sopra tutto ci fece fondamento monsignore di Roana, el quale si dette a credere che trovandosi in collegio piú cardinali franzesi e molti italiani dependenti dal suo re, ed essendo in Italia uno potentissimo esercito franzese, avere a essere fatto papa, alla quale cosa aveva un pezzo innanzi aspirato. E considerando quanta riputazione e seguito soleva avere in collegio monsignore Ascanio, aveva molti mesi innanzi operato che el re a questo proposito l'aveva cavato di prigione e ritenutolo in corte onoratamente e però, sendo venute le nuove della morte di Alessandro, Ascanio, ristrettosi con lui e mostrando sommo desiderio della elezione sua, gli persuase che aggiunti gli amici e credito suo a quello favore che e' vi aveva per lo ordinario per conto del re, la via essere facile. In modo che con questa speranza Roano ne venne in Italia e menò seco monsignore Ascanio per trovarsi alla nuova elezione, avendolo fatto prima giurare che a ogni volontà e richiesta del re se ne ritornerebbe in Francia. E benché e' venissino non molto presto, nondimeno per aspettare e' cardinali assenti, si era a Roma date tante dilazioni che e' furono a tempo a entrare in conclave; e ne' medesimi giorni che e' passorono per Firenze, era passato molte gente franzese, ed el marchese di Mantova, e monsignore della Tramoia, a chi fu fatto grande onore e mandatogli incontro insino a Parma Alamanno Salviati. Giunti e' cardinali a Roma ed entrati in conclave in numero circa a trentotto, si venne allo scrutinio, nel quale doppo molte pratiche ed aggiramenti restorono vani e' pensieri di monsignore di Roano perché oltre alla opposizione che gli feciono gli spagnuoli che erano in numero circa undici, tutti quegli cardinali che erono sanza rispetto la contradissono in modo che e' si trovò sanza altro favore che de' cardinali franzesi e degli italiani sudditi del re, del Soderino e del Medici e pochi altri dependenti del re, che non erano tanti che forse ascendessino al terzo. E però sendo disperato di sé, fece instanzia fussi fatto el cardinale Santa Prassede, di nazione genovese, el quale per essere stato amico di Alessandro, aveva ancora grazia con molti cardinali spagnuoli, nondimeno opponendosi a questa intenzione, fra gli altri, monsignore Ascanio ed el cardinale de' Medici, la fine fu che doppo uno dibattito di circa dodici dí, fu creato papa Francesco Piccoluomini, cardinale di Siena, uomo vecchio e di buoni costumi e qualità, el quale in memoria di papa Pio secondo, suo zio, assunse el nome di Pio terzo. Fatta la elezione, e' franzesi che non erano ancora passati el Tevere, ne andorono alla vòlta del reame; ma perché monsignore della Tramoia, o per essere ammalato o per altra cagione, ritornò indrieto, la cura ed el pondo di tutto lo esercito rimase nelle mani del marchese di Mantova. Doppo la morte di Alesandro, el duca Valentino, sendo amalato, stette molti dí colle gente sue in Roma, e fu opinione volessi fare forza di creare un pontefice nuovo a suo modo, ma di poi, o sendo un poco alleggerito dal male o fatto altro disegno, usci di Roma colle gente per venirsene alla vòlta di Romagna, ma el male lo impedi tanto che e' fu necessario si fermassi verso Civita Castellana. Erano intanto e' Vitelli ritornati in Castello, Giampaolo in Perugia, el duca Guido da Montefeltro in Urbino, gli Orsini negli stati loro; in Piombino entrò gente e commessari in nome della città nostra, e' quali potendolo ritenere per noi, lo restituirono, di commessione publica, a quello signore. Solo gli stati di Romagna stavano fermi ne' quali certo, se fussi stato sano, si sarebbe conservato perché gli aveva messo a governo di quegli popoli, uomini che gli avevano governati con tanta giustizia ed integrità, che era sommamente amato da loro, aggiugnevasi che arebbono avuto favore da' fiorentini, e' quali dubitavano che e' viniziani non si insignorissino di qualcuno di quegli stati. Ma non potendo per la infermità venire in quella provincia, Pesero e Rimino richiamorono e' signori sua, Imola e Furli si dettono al pontefice, benché la ròcca fussi un pezzo tenuta in nome di uno castellano spagnuolo che vi era drento, che cercava darla con suo vantaggio. Restava Faenza nella quale tenevano pratiche e cogli uomini e col castellano e' viniziani; tenevanvi pratiche e' fiorentini, e' quali cercavano per alcuni vi erano rimasti de' Manfredi, non tanto per amore loro, quanto perché la non venissi in mano de' viniziani ed a questo effetto avevano mandato commessario a Castracaro Giovan Batista Ridolfi; ma finalmente era la cosa ridotta in termini, benché io per non essere stato in quegli tempi a Firenze non abbia notizia del particulare, che con poca spesa e' fiorentini facevano di quella città quello che volevano, e si conchiudeva pe' savi cittadini che si facessi a ogni modo per levare a' viniziani la oportunità di quella città, della quale si varrebbono assai per le altre cose di Romagna e per le cose nostre per essere in su' confini nostri e presso alla città a meno di trenta miglia. Non parve al gonfaloniere, o perché avessi rispetto alla Chiesa, o perché avessi, e sanza bisogno, paura di non entrare in nuova guerra co' viniziani, in modo che non se ne faccendo conclusioni, e' viniziani finalmente, comperata la ròcca dal castellano, la acquistorono per sé; e ne' medesimi dí avendo messo paura a Pandolfo Malatesta signore di Rimino, uomo da poco e leggiere, comperorono da lui Rimino, dandogli in ricompensa, oltre a certa somma di danari, Cittadella, castello in quello di Padova, e condotta. Era in questi tempi vacata di nuovo la Chiesa, perché el nuovo papa, sendo vecchio e male sano, circa a uno mese poi che fu eletto papa, morí; ed essendo nel crearlo, perché Roano si era tolto giú, stata concorrenzia fra monsignore di San Piero in Vincula, e Santa Prassede, fu a ultimo creato Santo Piero in Vincula, chiamato Giuliano, di nazione savonese, e nipote di Sisto, da chi era stato fatto cardinale, e nominato Iulio secondo. Risentissi mirabilmente di questa perdita di Faenza e di Rimino, ma invano, perché e' viniziani non l'avevono preso per rendergliene; in modo che sendo sdegnati gli animi, stettono piú di uno anno innanzi mandassino oratori a dargli la ubidienzia. Mandò la città a costui subito, a dare la ubidienzia, sei imbasciadori, che furono messer Cosimo de' Pazzi vescovo aretino, messer Guglielmo Capponi protonotario e maestro d'Altopascio, quale era riputato amico del papa, messer Antonio Malegonnelle, Francesco Girolami. Tommaso di Paolantonio Soderini e Matteo Strozzi, nella elezione de' quali, avoto rispetto che e' vi fussi qualche uomo di autorità si cercò che gli altri fussino uomini ricchi e da potere andare bene in ordine, come richiedeva una tale legazione. Costoro, data la obedienzia, renderono Citerna al papa, la quale, essendo terra de' Vitelli, era venuta in mano di Valentino e poi, doppo la morte di Alessandro, datasi a' fiorentini, ma perché la era di ragione ecclesiastica, el pontefice la rivolle, e la città, per non si adirare seco in una cosa di non molta importanza, e perché e' si concitassi tanto piú contro a' viniziani, facilmente lo acconsentí. Intanto e' Baglioni e gli Orsini erano iti alla volta di Valentino per amazzarlo, ma lui non avendo altro rimedio, sendo ancora ammalato si era ritirato in Roma, dove avendo operato co' cardinali Spagnuoli per San Piero in Vincola ed avuto promesse grandi da lui, venne nelle sue mani; dove, tenuto sanza effetto alcuno come prigione molti mesi, si fuggí a Napoli a Consalvi, dove sendo raccolto con buona cera, fu di poi imprigionato e mandato prigione in Spagna; e quivi stato in prigione piú d'uno anno, si fuggí occultamente ed andossene in Navarra da' sua parenti, dove fu preso in battaglia assaltato e morto. In questo mezzo erano e' franzesi entrati nel reame, e perché el marchese di Mantova amalato si era ritornato a Mantova, sotto el governo de' capi franzesi erano venuti in sul fiume del Garigliano, dove per la parte di Consalvo si era fatta resistenzia che non potessino passare. Quivi stettono molti dí, ne' quali non facendo profitto alcuno cominciorono, secondo che è la natura loro quando truovono riscontro a disordinarsi, a andarsene in qua ed in là per la quale cosa Consalvi uomo valentissimo, conosciuta la occasione, gli assaltò e dette una rotta grandissima. Fu in questo conflitto lodata assai la virtú degli italiani, massime de' Colonnesi e di Bartolomeo d'Albiano; de' franzesi una parte ne fuggí a Gaeta, fra quali Piero de' Medici, fuggendo, annegò nel Garigliano; e pochi dí poi e' franzesi che erano in Gaeta privati d'ogni speranza, patteggiata la salute loro, dettono Gaeta a Consalvo, in forma che tutto quello regno venne nelle mani del re di Spagna, e la riputazione di Consalvo, che era chiamato el gran capitano, cominciò a essere sí grande, che tutta Italia non diceva altro e n'aveva paura e riverenzia. Né fu migliore la fortuna del re di Francia di là da' monti, perché in Linguadoch a Salsa fu interamente rotto dagli spagnuoli lo esercito suo; per le quali cose essendo quello re assai sdegnato e conoscendo esserne state in gran parte cagione e' disordini degli uomini sua, deliberò volersi per lo innanzi trovare personalmente a tutte le imprese s'avessino a fare, le quali tutte insino a quello dí aveva amministrate per mano de' sue capitani; e cosí sendo molto sbattuta e debole la potenzia del re ed inviliti assai per Italia gli amici e dependenti sua, fu ferma opinione che se Consalvi si fussi fatto innanzi colle sue gente, arebbe co' danari medesimi degli italiani rivolto per tutta Italia lo stato de' franzesi. Ma lui, o non considerando questo partito o per qualche altro rispetto e fine incognito, acquistato che ebbe tutto el reame, eccetti quegli porti che erano in mano de' viniziani co' quali teneva buona amicizia, fermò le arme; in modo che poco poi tra Francia e Spagna si contrasse una triegua e si cominciò a praticare accordo, el quale, come di poi si dirà, ebbe effetto. XXV IMPRESA DI PISA (1504). 1504. Seguitò lo anno 1504, nel principio del quale si cominciorono a scoprire nuovi umori di cittadini nella città. Di sopra si è detto largamente che per cagione si creassi la provisione di fare el gonfaloniere a vita, e perché el popolo voltassi tanto grado in Piero Soderini e come in lui concorressi molti uomini da bene, massime Alamanno ed Iacopo Salviati; ora s'hanno a intendere gli effetti sua, e' quali non corrisposono in gran parte al disegno fatto. Principalmente lui, o perché considerassi che se e' metteva el governo delle cose importante nelle mani degli uomini da bene, che loro sendo savi e di autorità ne disporrebbono a modo loro e non seguiterebbono el suo parere se non quanto si conformassino insieme, ed e converso che gli uomini di meno cervello e qualità, nelle cose che avessino a trovarsi, si lascierebbono disporre e maneggiare da lui, e cosí mosso da ambizione, o pure avendo preso sospetto contra ragione, che se gli uomini da bene pigliavano forze, vorrebbono ristrignere uno stato e cacciare lui di quello grado che aveva acquistato per opera loro, o mosso da l'uno e l'altro e cosí da ambizione mescolata con sospetto, cominciò a non conferire ogni cosa colle pratiche, le quali quando si facevano era necessario vi intervenissino e' primi uomini della città, ed in quello che pure si conferiva, quando facevano qualche conclusione contraria al parere suo, non volere che si eseguissi, anzi ingegnarsi ed el piú delle volte mettere a effetto la voluntà sua. Alla quale cosa aveva la via facile, perché come e' fu creato, la multitudine, parendogli che, poi che in palagio era uno timone fermo, la città non potessi perire, creava quasi sempre de' signori uomini deboli e di qualità che si lasciavano menarne da lui in modo che tutta via, o tutti gli erano ossequenti e non gli mancavano sei fave. Di questa medesima sorte erano e' collegi, e la elezione de' dieci anche era cominciata a allargarsi; cosí gli ottanta, in forma che quello che e' non conduceva nelle pratiche, conferendolo con questi altri magistrati ed usando ora uno indiretto ora un altro, lo tirava el piú delle volte a suo proposito. Aggiugnevasi che quando lui entrò, avendo trovata la città in grandissime spese e gravezze e molto disordinata nella amministrazione del danaio, e le cose del Monte molto disordinate, si erano diminuite in forma le spese, che el Monte rendeva piú che l'usato, e le gravezze tutto dí scemavano. La quale cosa era proceduta in gran parte da diligenzia sua, perché lui avendo presa la cura del danaio ed amministrandola con somma diligenzia e con strema miseria, che gli era natural e et iam nelle sue cose private con tutto che fussi ricchissimo e sanza figliuoli, aveva limitato moltissime spese. Erane stato aiutato dalla sorte perché non avendo la città piú uno continuo sospetto del papa, Valentino, Vitelli, Orsini, erano cessate molte spese che bisognavano farsi, e cosí ridotta la città in tre cose che satisfacevano sommamente alla multitudine: essere gli ufici piú larghi che mai fussino, el Monte ogni dí migliorare di condizione e le gravezze scemare, era lodato universalmente el suo governo. Aggiugnevasi che alcuni uomini di autorità ed alcuni giovani che venivano in riputazione, si gli erano dati in anima ed in corpo, chi per ambizione, chi per valersi di lui, chi per uno rispetto e chi per uno altro, messer Francesco Gualterotti, el quale di poi se ne alienò e diventògli inimico, Bernardo Nasi, Antonio Canigiani, Niccolò Valori, Alessandro Acciaiuoli, Alessandro Nasi Francesco Pandolfini e simili; ma a quasi tutti gli altri uomini di qualità e vecchi e giovani dispiaceva el suo governo, giudicando che el volere governare le cose da se medesimo e di sua autorità facessi dua effetti cattivi: l'una che, come mostrò tutto dí lo effetto, e' pigliassi molti errori in danno del publico, l'altra ch'egli spacciassi e sotterrassi interamente gli uomini da bene. Aggiugnevasi che circa alla giustizia lui ne aveva tenuta cura nessuna, in modo che in questa parte, da poi che e' fu creato, la città non era medicata s nulla, anzi piú tosto piggiorata e trascorsa; nondimeno per ancora questo disparere stava coperto o si manifestava poco. Ma in questo anno si venne a aprire, perché Tommaso Soderini, nipote del gonfaloniere, maritò una sua piccola figlioletta a Pierfrancesco de' Medici, figliuolo di Lorenzo di Pierfrancesco che era morto l'anno dinanzi; e perché questo parentado non si trattò per mano de' parenti e degli uomini da bene, come ragionevolmente si debbono trattare gli altri parentadi, ma sfuggiascamente e per mano di notai, Giuliano Salviati che era parente di Pierfrancesco, el Alamanno ed Iacopo sdegnati, e cosí e' Medici instigati da costoro stracciorono la scritta e intorbidoronlo in modo, che quello parentado rimase in aria e sospeso. Erano e' Salviati sdegnati con lui, perché non piacevano loro e' sua governi e perché, sendo stati sua fautori ed operatori assai che e fussi condotto a tanto grado, pareva loro gli pagassi di ingratitudine e massime che pochi mesi innanzi, essendo ser Iacopo di Martino, loro amico intrinseco, cancelliere della mercatantía, l'aveva difatto e con sei fave de' signori casso di quello uficio. E la cagione fu per battere e' Salviati, parendogli che per avere sulla mercatantía uno instrumento come ser Iacopo (che era uomo d'assai ed esercitato in quello luogo, in modo che era di momento grande alle sentenzie che s'avevano a dare) molti cittadini che avevano a fare alla mercatantía fussino forzati a fare concorso a loro; e lui diceva in sua giustificazione che, conoscendo che si volevano fare capi della città, aveva voluto privargli di quella forza per beneficio publico. E cosí si cominciò a dividere la città: da una parte Piero Soderini gonfaloniere, da altra molti uomini di qualità, de quali si facevano piú vivi e' Salviati e di poi Giovan Batista Ridolfi e nondimeno, perché la moltitudine ed el consiglio grande non curava e non attendeva a queste cose, questa divisione faceva gli effetti sua piú tosto fra gli uomini di piú autorità e nelle pratiche e luoghi stretti, che altrove. In questo tempo si voltorono di nuovo gli animi alle cose di Pisa; e parendo che fussi bene seguitare nel dare guasto e strignerli colla fame, si condusse messer Ercole Bentivogli, Giampaolo Baglioni ed alcuni Colonnesi e Savelli, e fatto commessario Antonio Giacomini, si dette el guasto quasi interamente; di poi considerando che tutto dí erano mandati loro aiuti di vettovaglie per via di mare, si tolse a soldo... Albertinelli con alcune galee, e' quali stando intorno a Porto Pisano ed a Torre di Foce impedissino l'entrarvi vettovaglie. Le quali cose strinsono assai e' pisani, ma perché, non ostante le galee che erano in mare per noi, non poteva essere che qualche volta non vi entrassi vettovaglie, fu dato uno disegno al gonfaloniere che e' si poteva di sotto a Pisa volgere el letto di Arno, in forma che non passerebbe piú per Pisa, e farlo sboccare in Stagno; e cosí che rimanendo Pisa in secco, non vi entrerebbe piú vettovaglie per via di mare, e verrebbesi piú facilmente a consumare. Messesi questa cosa in pratica da' dieci cocittadini piú savi e finalmente non si acconsentendo, e parendo loro fussi piú tosto ghiribizzo che altro, lo effetto fu che, sendo el gonfaloniere di opinione che si facessi, la girò con tante pratiche e per tante vie, che se ne venne alla pruova; la quale con spesa di piú magliaia di ducati riuscí vana e come aveano giudicato e' cittadini savi. Fecesi di poi un altro errore molto maggiore; perché sendo persuaso al gonfaloniere che la disposizione de' cittadini pisani e de' contadini era sí cattiva che se fussino sicuri poterlo fare, ne uscirebbe tanto a uno a uno che Pisa rimarrebbe vota, fece contro la volontà de' cittadini primi e savi fare una legge, che tutti quegli pisani che uscissino di Pisa e venissino in sul nostro fra uno certo termine, sarebbono restituiti nelle robe loro, perdonati loro tutti e' delitti, rimessi tutti e' debiti publici. Vinta questa legge, e' pisani usorono bene la occasione, perché pochi se ne fuggirono sinceramente, ma cavorono via molti uomini disutili, di che nacque che avendo meno mangiatori, si sostennono; ché, come si intese poi per diverse vie, la carestia era tale, che se non avevano questa uscita, bisognava pigliassino partito. Nacquene ancora, che molti di quegli rimessi nelle facultà e beni loro vicini a Pisa, hanno, come è stata ferma opinione, sempre aiutato occultamente quegli di drento, e nondimeno, non se n'avendo vera notizia è stato necessario conservare la fede. A questi mali, nati per imprudenzia nostra, si aggiunse uno caso di fortuna, perché e' legni dello Albertinello per tempesta si ruppono, e cosí sendo aperta la via del mare, vi entrò per ordine de' genovesi, sanesi e lucchesi tanto grano che scamporono la fame. In questo verno el re di Francia si trovava in extremis, perché avendo avuto uno male lungo, e caduto, secondo el giudicio de' medici, in ritruopico, si stimava inrimediabile; e però lui non avendo figliuoli maschi, e veduto che el regno ricadeva a monsignore di Anguelem giovanetto, disfece el parentado della figliuola sua col figliuolo dello arciduca, e maritolla a Anguelem, el quale non si trovando in corte si partirono molti signori di corte a visitarlo come nuovo re, tanto si credeva per ognuno che el re fussi spacciato. E cosí in Italia essendo sollevati gli animi, monsignore Ascanio che si ritrovava in Roma, perché richiesto da Roan non era voluto tornare in Francia ed erasi fatto assolvere del giuramento da papa Pio, parendogli tempo a ricuperare lo stato di Milano ed avendo, come si credette, intelligenzia col papa e viniziani, e co' danari sua o di altri condotto Bartolomeo d'Albiano, e cosí favorito da Consalvi Ferrando e seguitandolo Pandolfo Petrucci e, come si vedde poi, Giampaolo Baglioni, disegnò con queste forze prima cavalcare in sul nostro e rimettere el cardinale e Giuliano de' Medici in Firenze, e cosí fatto uno stato a suo proposito e del quale si potessi valere, andarne alla volta di Milano, dove in sulla morte del re pareva la vittoria facilissima; el quale apparato presentandosi, aveva molto sollevato ed insospettito gli animi della città, tanto che ne venne l'anno seguente. XXVI LA POLITICA MALDESTRA DI PIERO SODERINI. LE MILIZIE CITTADINE. BERNARDO RUCELLAI (1505). 1505. L'anno 1505, fu in Firenze nel principio carestia grande, che el grano valse lo staio uno ducato, in modo si dubitò assai che e' poveri e 'l popolo non facessino tumulto; pure si manteneva la brigata, per essersi condotta buona quantità di grano a Livorno, che prevedendo la futura carestia si era fatto venire di Francia e di Pollonia. Ma accadde che le gente nostre, faccendo una scorreria, furono per loro disordine rotte al Ponte a Capelletto da' pisani molto inferiori di numero; per la quale cosa e' nimici, rimasti superiori alla campagna, impedivano la venuta del grano da Livorno; pure finalmente si prese tale ordine; che venendo qualche parte del grano ed apressandosi la ricolta, la carestia si sopportò. In detto tempo el re di Francia cominciato a migliorare, guarí fuora di speranza con tanta velocità, che in pochi dí fu fuora di pericolo; da altra parte, come sono vani e fallaci e' disegni degli uomini, monsignore Ascanio, essendo sanissimo, morí a Roma in dua o tre giorni, e dissesi di peste; e cosí el subito guarire del re e la improvisa morte di Ascanio ruppe un disegno ed ordito grande che si era fatto. Nondimeno Bartolomeo d'Albiano, non avendo faccende e trovandosi in sull'arme, continuava el mettersi in ordine, deliberato per ordine di Pandolfo e Giampaolo seguire la impresa contro a' fiorentini; e però trattandosi de' provvedimenti che s'avevono a fare, si condusse per capitano el marchese di Mantova, el quale venne a Firenze con animo di accettare, e nondimeno, quello che se ne fussi la cagione, non ebbe effetto. Aggiunsesi che Giampaolo, ritornatosi a Perugia si alienò da' soldi nostri; per la quale cosa la città, sendo sanza arme, condusse Marcantonio e Muzio Colonna, per opera del gonfaloniere el quale si confidava di loro perché erano inimici degli Orsini e perché cosí voleva el cardinale suo fratello, per avere in Roma l'appoggio loro e potere stare a petto al cardinale de' Medici parente e favorito degli Orsini. Erane stato tutto el verno grandissimo disparere, pignendola el gonfaloniere per satisfare al cardinale, che si diceva averlo loro promesso e cominciato di già a dare e' danari, ed opponendosi e' dieci de' quali erano capi Alamanno Salviati e Lanfredino Lanfredini; e però fu poi opinione che el gonfaloniere guastassi la condotta del marchese, acciò che la città fussi necessitata a condurre loro. E perché e' si dubitava che Consalvo non fussi fautore della impresa di Bartolomeo, vi mandorono e' dieci mandatario Ruberto di Donato Acciaiuoli, avendone però fatto conclusione con grandissima difficultà; perché el gonfaloniere vi si opponeva, e per avervi uno uomo suo intrinseco, vi voleva mandare Niccolò Machiavelli, cancelliere de' dieci, in chi si confidava assai. Mandossi ancora degli ottanta mandatario a Milano a monsignore di Ciamonte, Niccolò di Girolamo Morelli e si ritrasse da Napoli che Consalvo non era per volere aiutare Bartolomeo, ma che noi non molestassimo e' pisani, che erano in protezione del re suo. Tennesi ancora pratica con Giampaolo di ricondurlo, la quale non ebbe effetto, ma si tolse uno suo piccolo figliuolo con venti uomini d'arme a che lui acconsentí, parendogli che doppo la morte di Ascanio e' disegni contra noi fussino deboli, e la città lo fece volentieri, acciò che per questo rispetto Giampaolo si astenessi dal venirci contro. Bartolomeo intanto, messo in ordine, ne venne per la via di Siena al principio di agosto, e non volendo seguitarlo Giampaolo, allegando la scusa di essere el figliuolo a' soldi nostro, prese la volta di Pisa per la via di Maremma di Siena e poi di Volterra, e perché lo entrare suo in Pisa sarebbe stato danno grandissimo alle cose nostre, di chi era governatore messer Ercole Bentivogli e commessario Antonio Giacomini, si aviorono a quella volta; e finalmente sendo acchetate in luogo propinquo, e sendo pari d'uomini d'arme, benché e' nostri avanzassino di fanterie, si venne a giornata a dí... di agosto, dove doppo una lunga zuffa, gli inimici furono rotti e presine assai, e Bartolomeo d'Albiano ebbe la caccia; pure fuggendo scampò. Furono presi tutti e' carriaggi e bandiere sue, le quali si apiccorono nella sala del consiglio, sendo el gonfaloniere molto invanito di questa vittoria ed attribuendola a gloria sua. Avuta questa vittoria, messer Ercole ed Antonio Giacomini che erano allora in somma riputazione, scrivendone molto in publico ed in privato al gonfaloniere che si andassi a campo a Pisa, accennando avervi intelligenzia e promettendone una vittoria certa, el gonfaloniere vi era su molto caldo e procedevavi non come chi ha speranza o fede in una cosa, ma come chi ha certezza. E' cittadini savi e di autorità erano d'una altra opinione: presupponevano che, conoscendo quanta fussi la ostinazione de' pisani e quante volte avevano con arte tenute pratiche di accordi, s'aveva a fare fondamento in sulla forza sola, e tutte le altre essere cose vane e però essere da pensare come colla forza fussimo sufficienti, in che s'aveva a considerare quanto e' pisani erano uomini valenti ed esercitati e quanto la terra loro fussi piena ed abondante di artiglierie e cose necessarie a difendersi. E però bisognare tre cose alla vittoria di Pisa: una, uno valente capo, e questo non essere messer Ercole, tenuto uomo prudente e di grande giudicio a disegnare, ma di poco animo e male atto a mettere a esecuzione, e se bene aveva rotto Bartolomeo d'Albiano, che la sorte di uno dí non doveva avere tanta efficacia che scancellassi la opinione s'aveva di lui fondata in su e' sua processi di molti anni; la seconda uno esercito grosso, massime di buone e pratiche fanterie la quale cosa non era possibile, e per la difficultà che avevamo da fare danari e perché rispetto alla scarsità del tempo bisognava con prestezza esservi a campo; la terza, potervi stare a campo tanti dí che, se non el primo impeto, almeno la lunghezza gli domassi, e questo non si potere fare, sí per la stagione del tempo, che si guasterebbe ragionevolmente presto poi che el campo vi fussi giunto, quale non vi poteva essere prima che a' sei o otto dí di settembre, sí perché vi verrebbe aiuti da Consalvo co' quali poi si difenderebbono francamente. Essere meglio, in sulla riputazione della vittoria fresca, volgere le gente in quello di Siena, dove era entrata tanta paura e viltà, che scorsa e predata sanza riparo quella Maremma e presa Massa o qualche altra terra grossa in pegno di Montepulciano, facilmente si muterebbe lo stato di Siena; e di poi, voltisi in quello di Lucca, fare e' medesimi effetti e condurgli a qualche accordo, e cosí levati a' pisani questi sussidi che gli mantenevano vivi, posarsi per quello anno, piú tosto che temerariamente andandovi a campo, perdere una tanta occasione di vendicarsi ed acconciare le cose di Siena e Lucca, gittare via una somma grande di danari, provocarsi inimico Consalvo e perdere tutta quella gloria ed onore che si era acquistato nella rotta di Bartolomeo. Questi erano e' discorsi de' cittadini prudenti, e cosí, ragunati in una pratica de' dieci circa quaranta de' principali, quasi tutti d'accordo consultavano. Ma el gonfaloniere che aveva disposto altrimenti, sapendo quello che e' cittadini di autorità consulterebbono, avendo affermata la vittoria di Pisa, aveva subito fatto chiamare gli ottanta, e loro avevano vinto vi si andassi a campo; e cosí fattolo intendere agli uomini della pratica, loro, veduto el suo consultare essere vano, ed essere dileggiati dal gonfaloniere, se ne andorono a casa. L'altro dí poi, fatto chiamare el consiglio, propose se s'aveva andare a campo a Pisa, e si vinse, non vi sendo, in uno numero di piú che mille uomini altro che centosei fave bianche. Fatte adunche la deliberazione, si attese ad eseguire ed ordinare che a dí... di settembre fussino a campo. Intanto Consalvo, udito questo apparato, fatto chiamare Ruberto Acciaiuoli, si era molto doluto, dicendo questo essere contro alla fede datagli di non andare a campo a Pisa, e minacciando che vi manderebbe aiuto; a che replicandosi per Ruberto non avere notizia di questa promessa, lui chiamò in testimonio Prospero Colonna, el quale disse, el cardinale Soderino avergliene promesso per parte del gonfaloniere. Rispose Ruberto giustificando la città, che non era obligata per le promesse del gonfaloniere; ma non giovando nulla, Consalvi gli disse che voleva che ritornassi a Firenze e facessi imbasciada che tra otto dí sarebbono in Pisa le genti sue. Ritornato Ruberto, e riferendo al gonfaloniere, lui sorridendo rispose: «Ruberto, fra otto dí aréno noi acconcio e' casi nostri»; tanto era ostinato nella opinione sua. Intanto ordinandosi el campo messer Ercole Bentivogli chiese el titolo di capitano, el quale ottenne non per voluntà della città, ma perché non si partissi. Venne adunche el campo a Pisa a dí sei di settembre, e nello alloggiare fu morto el cavallo sotto a messer Ercole; ed a' dí otto la signoria fece venire in Firenze la tavola di Santa Maria Impruneta. Ma come la impresa fu presta e temeraria, cosí fu debole e vituperoso el successo, perché non si scoprendo in Pisa intelligenzia alcuna, el capitano e commessario sbigottirono assai, ché aveano in su questo disegno fondata la maggiore parte della speranza loro; e di poi avendo gittate colle artiglierie in terra parecchi braccia di muro, e volendo dare la bataglia, fu ne' nostri fanti tanta viltà e si poco ordine, che bruttamente ributtati non feciono effetto alcuno; e di poi, giugnendo in Pisa alcuni fanti spagnuoli mandati da Consalvi, fu necessario levarsi da campo, perduta ogni speranza, con gran carico del capitano, del commessario e del gonfaloniere. Cosí seguí secondo el parere de' savi, co' quali s'aveva a procedere non colla multitudine la quale non sa e non considera la circumstanzie delle cose e volenterosa si muove a ogni speranza, benché el gonfaloniere non si movessi per consiglio della multitudine, ma sendo disposto in ogni modo fare la impresa, pigliassi quel sesto e per sbigottire chi la sconfortava e per essere scusato in ogni evento, cosa troppo brutta e perniziosa a guidare e consigliare cosí le cose publiche di tanta importanza. Levato el campo da Pisa, successe non molto poi la morte di Isabella regina di Spagna, cosa di momento grande, perché, non avendo lei figliuoli maschi, una parte di quegli regni che erano sua, per eredità avevano a venire in mano della figliuola moglie di Filippo duca di Borgogna, e cosí la potenzia del re Ferrando, si veniva a dividere; e benché lui cercassi rimanerne in vita governatore, nondimeno quegli populi chiamarono el duca Filippo, el quale subito insieme colla donna ne andò in Spagna. In questo tempo el gonfaloniere disegnando, come di sotto si dirà fare una ordinanza di fanterie in sul nostro, e volendo farne capo don Michelotto spagnuolo che era stato a' servigi del Valentino, uomo crudelissimo, terribile e molto temuto, deliberò, per facilitarsi la via condurlo per bargello del contado; e perché dubitava che se si metteva in pratica de' dieci, e' cittadini non la acconsentissino, fece prima destramente tentare dal Machiavello, cancelliere, lo animo di messer Francesco Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini e dl alcuno de' primi, e veduto la contradicevano non ne fatta consulta alcuna, messe la condotta a partito negli ottanta, e trovatigli sori, la vinse al secondo e terzo partito. Ebbonne e' cittadini di qualità grande alterazione, dubitando che questa voglia di avere don Michele non fussi fondata in su qualche cattivo disegno e che questo instrumento non avessi a servire o per desiderio di occupare la tirannide o, quando fussi in qualche angustia, per levarsi dinanzi e' cittadini inimici sua; e benché molto se ne sparlassi, nondimeno, sendo vinta la condotta negli ottanta, fu necessario avessi effetto. Ne' medesimi tempi si cominciò a dare principio alla ordinanza de' battaglioni, la quale cosa era state anticamente nel contado nostro, che si facevano le guerre non con soldati mercennari e forestieri, ma con cittadini e sudditi nostri; di poi era stata intermessa da circa dugento anni in qua, nondimeno si era, innanzi al 94, qualche volta pensato di rinnovarla; e doppo el 94, in queste nostre avversità molti avevano qualche volta detto che e' sarebbe bene tornare allo antico costume, pure non si era mai messo in consulta, né datovi ne designatovi principio alcuno. Volsevi di poi l'animo el Machiavello e persuasolo al gonfaloniere, veduto che gli era capace, cominciò a distinguergli particularmente e' modi; ma perché gli era necessario per riputazione e conservazione di una tanta cosa, che se ne facessi provisione in consiglio, e considerando che per essere cosa nuova ed insolita, el popolo non vi concederebbe se non avessi prima visto qualche saggio, o vero se e' cittadini primi non la consentissino, e dubitando, come era vero, che la pratica non vi concorrerebbe cominciò el gonfaloniere, sanza fare consulta, colla autorità della signoria a fare scrivere pel contado, come in Romagna, in Casentino, in Mugello e ne' luoghi piú armigeri, quegli che parevano atti a questo esercizio, e messigli sotto capi, cominciò el dí delle feste a fare esercitare e ridursi in ordinanza al modo svizzero, nella città non si fece nulla, perché era cosa sí nuova ed insolita che bisognava condurla a poco a poco. Furonne ne' primi cittadini di vari pareri: tutti acconsentivano lo ordine essere in sé buono, ma avere bisogno di due cose: l'una, che si dessi qualche premio a questi scritti, acciò che piú volentieri si esercitassino e piú fidelmente servissino; l'altra, che e' si osservassi fra loro una severa giustizia perché altrimenti essendo in su le arme, si avezzerebbono a fare superchierie, e sarebbe pericolo che un dí non si voltassino contro alla città o cittadini. E perché chi credeva che queste cose si farebbono, chi no, però nascevano e' dispareri: alcuni dubitavano che el gonfaloniere non gli adoperassi un dí a occupare la libertà o a spacciare e' cittadini inimici sua, e però terribilmente la dannavano, el popolo non si sapeva risolvere, e però per pigliarlo cominciorono a farne mostre in piazza de' Signori di seicento o ottocento per volta, ed esercitargli alla svizzera, in modo che colla moltitudine entrorono in riputazione. In questo tempo Bernardo Ruccellai, inimico capitale del gonfaloniere, e che doppo la creazione sue non si era mai voluto trovare a pratiche né intervenire in cosa alcuna publica, si partí occultamente della città ed andossene a Vignone, non avendo conferito forse con alcuno questo suo proposito e le cagione che lo movevano, fecesene vari giudici: alcuni stimorono che e' fussi partito perché veduto ordinare e' battaglioni e condurre don Michele, avessi paura che el gonfaloniere non volessi con modo estraordinario e tirannico manomettere gli inimici sua, la quale cosa facendosi, stimava avere a essere el primo o de' primi percossi, e lui ebbe caro si credessi fussi stata questa cause; alcuni crederono che Bernardo, male contento del gonfaloniere, avessi tenuto qualche pratica con Medici con Pandolfo Petrucci circa a mutare lo stato, e massime che Giovanni suo figliuolo, di cervello e modi simile al padre, era piú volte andato a Roma occultamente per le poste e però insospettito non essere messo in una quarantía, giudicio terribile, come di sotto si dirà, essersi partito. Ed a questa opinione, che era forse ne' piú savi, faceva fede l'averne piú mesi innanzi mandato Giovanni a Vinegia e di poi menatolo seco a Vignone. Molto lo attribuirono che Bernardo, eziandio che fussi sanza sospetto, soportassi tanto male volentieri el gonfaloniere e modi sua, che per non avere questo dispetto in su gli occhi e discostarsi da questa passione, eleggersi el partirsi; a questo giudicio faceva fede la natura e modi sua, de' quali, perché fu uomo eccellente e qualche volta in riputazione grande, non sarà fuora di proposito dirne qualche cosa. Fu Bernardo Rucellai uomo di grande ingegno, di ottime lettere e molto eloquente, ma secondo el parere de' savi, di non molto giudicio, e nondimeno per la lingua per gli ornati ed acuti discorsi che faceva, per molte destrezze di ingegno, era universalmente riputato savissimo. Ma fu di una natura che, o perché gli aspirassi di essere lui capo e guide della città, o perché e' fussi amatore della libertà e desiderassi uno stato libero e governato da uomini da bene (ma con molte cose si apuntò, che era impossibile fermarlo altrimenti che di cera), non potette mai stare contento e quieto a alcuno governo che avessi la città. Era a tempo di Lorenzo cognato suo, e con grande autorità e credito, nondimeno impaziente cominciò a mordere le azioni sue, non però publicamente, ma con qualcuno e tanto che ritornava agli orecchi di Lorenzo, al quale dispiaceva assai, nondimeno perché l'aveva molto amato ed eragli cognato, lo comportava. Morto Lorenzo rimase, nel principio, grandissimo con Piero, ed in forma che pel parentado e per la età poteva sperare d'avergli a essere quasi padre; ma cominciato a intraversare seco, gli diventò in modo inimico, che, per mezzo di Cosimo suo figliuolo, tenne pratiche co' figliuoli di Pierfrancesco e col duca di Milano; di che sostenuti e' figliuoli di Pierfrancesco, Cosimo ebbe bando di rubello e Bernardo rimase in Firenze con pericolo e sospetto grande. Cacciato Piero e fondato el consiglio grande, a lui dispiaceva sommamente, e però si oppose alle cose del frate e prese uno modo di vivere di non volere onori e starsi a specchio e pure attendere a ciò che si faceva, quanto altro cittadino di Firenze, che acquistò nome di essere ambizioso e male contento, in modo che venne in sommo odio al popolo. Arso el frate, dove si operò assai in beneficio de' cittadini amici del frate, fu fatto gonfaloniere di giustizia, e rifiutollo; di che perdé molto, giudicando assai che in lui fussi una ambizione infinita, la quale non si saziassi degli onori consueti ed ordinari, ma desiderassi una potenzia ed autorità estraordinaria, e nondimeno era riputato tanto savio, che era di gran momento ed aveva fede grande nelle pratiche. Ma poi creato el gonfaloniere, del quale era prima privatamente inimico, lui, seguitando lo stile suo, non volle andare a visitarlo, non mai intervenire a pratiche, e vivendo malissimo contento benché in dimostrazione si fussi ristretto con molti litterati ed attendessi alle lettere ed al comporre, è opinione di qualcuno tenessi qualche pratica de' Medici, tanto che ultimamente, o per paura o per sdegno, si partí da sé e non cacciato dalla città; cosa miserabile a pensarlo, che lui vecchio e che aveva in ogni stato avuto tanto credito, si partissi poi in quella forma; e nondimeno non parve se ne risentissi né curassi persona di qualità alcuna, tanto era cominciata a dispiacere la natura ed inquietudine sua. XXVII GIULIO II CONTRO I VENEZIANI. FERDINANDO II D'ARAGONA A NAPOLI (1506). 1506. Seguitò lo anno 1506, nel principio del quale essendosi ordinata la riforma ordinaria del Monte ed una provisione, per potere rispondere alle paghe, di due decime e mezzo, e due arbítri [e] mezzo; ed essendo molte volte ita a partito negli ottanta, passò con difficultà, sendo massime contradetta da messer Antonio Malegonnelle, che, mostrando questa gravezza essere disonesta, persuase si facessi una gravezza ordinaria, lo effetto della quale era in buona parte rincarare el sale. Ma opponendosigli e ributtandolo vivamente el gonfaloniere, passò gli ottanta, e venuta nel consiglio e non si vincendo, venne in gara, da una parte, dal gonfaloniere che tutto dí chiamando el consiglio non cessava di proporla e riscaldarla, da altra da molti uomini da bene, massime giovani, che erano molto caldi e solleciti al contradirla, e tanto piú, quanto e' si intendeva che poco numero di fave gli darebbono perfezione. E però el gonfaloniere riscaldato, sendo una mattina ragunato el consiglio, fece publicare che secondo gli ordini non potevano essere in consiglio ancora quegli che erano caduti a specchio da poi che si era fatta la ultima imborsazione: il che toccava a molti, de' quali la piú parte erano giovani da bene e che si opponevano alla gravezza; e cosí voto del consiglio di piú fave inimiche, credette avere vinta la provisione. Ma sendo sdegnati di questo atto disonesto molti di quegli che rimasono in consiglio e che prima la vincevano, e però dando le fave bianche, la provisione tornò adrieto; e cosí inaspriti gli animi, andò in consiglio a partito centosei volte e finalmente non si vinse. Eravi el gonfaloniere su indiavolato, e come fu entrata la nuova signoria, la voleva cimentare, ma Giovan Batista Ridolfi, che era de signori nuovi, si gli oppose dicendo non essere giusto volere cozzare col popolo e però si riformò el Monte per otto mesi, non si ponendo gravezza alcuna. Ma come la signoria fu uscita, si propose una decima ed uno arbitrio, e rincarare el ottavo le gabelle di dogana; la quale, per parere cosa leggiere, si vinse facilmente. In detto tempo nacque uno caso privato, el quale tenne in sospensione molte settimane la città. Aveva Alessandro di Lionardo Mannelli per moglie una figliuola di Alamanno de' Medici, giovane disonesta e cattiva molto notoriamente; costei essendo in villa ed Alessandro in Firenze, fu di notte amazzata da uno famiglio di Alessandro, e parendo verisimile fussi stato per ordine di Alessandro, fu posta la querela agli otto contro a lui. E' quali non si risolvendo a volerne ritrovare el vero, andò el giudicio in quarantía, secondo una legge fatta innanzi a tempo del gonfaloniere, dove si disponeva che ogni volta che uno caso criminale fussi innanzi a qualunque magistrato e fra uno certo termine non si spedissi, avessi a diffinirsi dalla quarantía; che era uno giudicio dove interveniva el gonfaloniere, uno de' signori, tre de' collegi, el magistrato che la intrometteva, e tanti degli ottanta, che si traevano per sorte, ma el numero si deputava da' signori e collegi, pure che non potessino essere meno di venti né piú di quaranta; e loro avevano termine a espedirle quindici dí. Venuto adunche questo caso in quarantía, dove venivano in accusa di Alessandro e' fratelli della morta ed in difesa Francesco, fratello di Alessandro, fu prima ordinato che Alessandro si rapresentassi al bargello; e parendo indizi molti urgenti contro a lui, si dispose si traessino esaminatori che avessino a esaminarlo con parole e con fune. De' quali sendo a sorte tratto messer Antonio Malegonnelle, che era di quarantía, non volle mai dargli fune, allegando non vi essere indizi sufficienti; in modo che correndo el tempo de' quindici dí e non essendo trovata la verità, né si potendo gli uomini risolvere, assolverono Alessandro, con patto che questa materia si potessi ogni volta ritrattare e lui non uscissi di prigione insino a tanto avessi dato mallevadori, per cinquemila ducati, di rapresentarsi a ogni requisizione di qualunque magistrato. Ma non si posò per questo la cosa, perché e' Medici avendo notizia che el famiglio che l'aveva morto era fuggito a Siena, ne avisorono el cardinale de' Medici, el quale vi concorreva volentieri, si per lo interesse del parentado, sí perché intendeva e' Mannelli essere inimici di casa sua ed amici del gonfaloniere e però per mezzo suo Pandolfo lo fece sostenere in Siena, e quivi avuto della corda, confessò averla amazzata per ordine di Alessandro, e venuto el processo in mano de' fratelli, lo riaccusarono agli otto. E perché questa cosa era venuta quasi in divisione di stato rispetto al gonfaloniere ed agli amici de' Medici ed inimici sua, gli otto, desiderosi di ritrovarne el vero, chiesono questo famiglio a Pandolfo, e non lo potendo ottenere, Pellegrino Lorini e Giovan Batista Guasconi, dua degli otto andorono insino a Siena a esaminarlo; ed avuto el riscontro in carico di Alessandro, tornati a Firenze lo feciono subito pigliare. Ma poco di poi, donde si nascessi la origine, non confessando Alessandro che era stato apiccato un poco alla corda, Pandolfo concesse el famiglio, el quale venuto a Firenze con sicurtà della vita, disse el contrario di quello che aveva detto a Siena, e che Alessandro era innocente; in modo che gli otto lo assolverono, benché la piú parte degli uomini restassi in opinione che Alessandro aveva errato. Cosí si terminò questo caso, del quale si era parlato assai non solo a Firenze ma ancora a Siena e Roma, dove si interpretava che sotto nome di caso criminale fussi una rabbia e gara di stato. Ebbene nella prima quarantía messer Antonio Malegonnelle carico grande, come se contro al dovere avessi voluto perdonare a Alessandro, ed uomini della quarantía scrissono polizze assai in suo vituperio, ricordando non era stato sí clemente quando furono sostenuti Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco; di che lui che era riputato uomo intero ed amatore dello onore, ebbe tanto dispiacere che, morendo poche settimane poi, si attribuí ne fussi stato cagione questo rimescolamento. Levossi nel medesimo tempo una voce, come una figliuola di Piero de' Medici, che era a Roma, si era maritata a Francesco di Piero di messer Luca Pitti, che si trovava nella Marca; e però sendo posto agli otto una querela in carico di Piero Pitti, chiesono la quarantía, la quale si trasse nel medesimo dí che quella di Alessandro. Ma udito Piero Pitti e certificati detto parentado non essere vero, lo assolverono facilmente, e fu opinione ferma e vera che la querela fussi stata posta da chi sapeva la verità, non per punire Piero Pitti, ma per mostrare a chi avessi voglia di fare quello parentado, che la città se ne risentirebbe e farebbesi caso di stato, e che chi lo facessi, arebbe a essere giudicato dalla quarantía. Ne' medesimi tempi si intese essere fatto accordo tra il re Ferrando e Filippo duca di Borgogna, per virtú del quale rimaneva al Re Ferrando el reame di Napoli e di Sicilia ed el regno d'Aragona: a Filippo la Castiglia, la Granata ed altri stati; in modo che per virtú di questo accordo, el nome di re di Spagna rimaneva al re Filippo, el nome di re di Ragona rimaneva a Ferrando. E poco poi detto re Ferrando ritolse per donna una franzese di casa regale, e per sua dote el re di Francia gli cedé tutte le ragione che aveva nel reame di Napoli, e si contrasse pace, lega ed amicizia tra questi dua re di Francia e di Ragona. E perché el re di Ragona aveva per molte cause avuto sospetto che Consalvo non volessi usurpare per sé el reame di Napoli, deliberò, e per questo e per altri rispetti, venire personalmente in Italia con la regina e con tutta la corte, e con animo di fermarvisi qualche tempo, e si cominciò a mettere in ordine e prepararsi al venirne. Intesesi ancora come Massimiano, favorito del re Filippo suo figliuolo, si metteva in ordine per passare in Italia per la corona dello imperio e contro al re di Francia, di che sendo sollevata tutta Italia, non ebbe effetto per la cagione che di sotto si dirà. El papa, ancora sdegnato molto contro a' viniziani per la perdita di Rimino e di Faenza, e desideroso recuperare quelle terre ed altri stati della Chiesa, massime Bologna, tenuta pratica col re di Francia ed avendo promessa da lui di essere servito di gente, publicò volere fare la impresa di Bologna ed andarvi personalmente, con animo, acquistata Bologna, di attendere agli stati della Chiesa che tenevano e' viniziani in Romagna; e si credeva che el re di Francia romperebbe la guerra in Lombardia. Partissi adunche da Roma e stette molti dí fermo in quelle circumstanzie, perché e' favori del re gli mancavano sotto; pure di poi assodatosene, ne venne a Perugia e fatto accordo con Giampaolo Baglioni, che governava quella terra, gli dette condotta e lasciò uno legato in Perugia e ridusse quella terra in arbitrio suo rimettendovi ancora molti fuorusciti inimici di Giampaolo e restituendo loro e' bene usurpati. Richiese ancora la città di cento uomini d'arme per questa impresa; della quale dimanda faccendosi pratica, alcuni la contradissono, de' quali massime furono capi messer Francesco Gualterotti, messer Francesco Pepi ed Alamanno Salviati; e benché allegassino molte ragione che erano tenute debole, tacevano la vera che gli moveva, che era per fare vergogna al gonfaloniere ed al cardinale suo fratello e' quali avevano sanza dubio promesso privatamente al papa questo sussidio e volevano di questo beneficio publico acquistare grado in privato. Nondimeno, perché male si poteva negare questa dimanda Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini e molti altri la confortorono, in forma che accordandosi la piú parte e favorendola el gonfaloniere si consentí e si mandò con queste gente Marcantonio Colonna. Seguitò di poi el papa el suo viaggio, ed essendo pieno di sdegno contro a' viniziani, uscí della via diritta per non passare pe' terreni loro, e vennene in sul nostro per una via piú lunga e difficile, dove essendo accompagnato da Pierfancesco Tosinghi nostro commessario in Romagna, gli disse che era venuto el tempo che noi vedremo vendetta degli inimici della Chiesa e nostri, accennando apertamente de' viniziani. Cosí appressandosi a Bologna con forte esercito, publicò una fortissima escomunica contro a messer Giovanni Bentivogli e figliuoli comprendendovi drento tutti quegli che gli dessino alcuna spezie di sussidio e favore; e da altro canto apressandosi le gente franzese, era ridotto lo stato di messer Giovanni in somma diffìcultà; in forma che, come el papa fu in Faenza, dove era andato per la città nostra imbasciadore messer Francesco Pepi, messer Giovanni ed e' figliuoli inviliti e diffidati di se medesimi, fatto certo accordo, si fuggirono di Bologna, ed e' bolognesi subito si dettono al papa. La quale cosa intendendo e' franzesi che desideravono mandare Bologna a sacco come uomini bestiali e sanza ragione, vollono entrare violentemente in Bologna, ma difendendosi francamente quegli di drento, furono ributtati; e nondimeno el papa, per posargli, dette loro certa somma di danari e poi entrò con tutta la corte pacificamente in Bologna, e vi cominciò a edificare una fortezza. Era in questo mezzo el re di Ragona venuto per mare alla volta del reame, e molti de' sue gentiluomini e baroni colle donne e brigate loro ne venivano per terra; e perché gli aveva per transito a toccare Piombino, vi fu mandato oratori a visitarlo e presentarlo, messer Giovanni Vettorio Soderini, Niccolò del Nero, amico suo per avere lungamente fatto faccende in Spagna, Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno Salviati, de' quali Giovan Batista, amalato per la via, si ritornò a Firenze. Aspettoronlo quivi piú di uno mese, perché el re, sendo arrivato a Portofino in quello di Genova, fu constretto pe' tempi cattivi starvi molti dí e di poi arrivato in Piombino, mostrò avere molto care questa visitazione della città. Partitosi da Piombino, ebbe in quegli tempi nuove, come el re Filippo suo genero, avendo avuto male due o tre giorni, era morto; segno della fragilità umana, che uno principe sí grande e sí felice pel reame di Spagna, pel ducato di Borgogna, per la aspettativa dello imperio, essendo giovane e gagliardo, morissi quasi di subito. Fu questa morte cagione di impedire la passata di Massimiano in Italia, perché mancandogli questo favore e non gli bastando le forze sue, fu constretto a cercare aiuti di altri; fu gratissima al re di Francia, per essersi levato dinanzi uno vicino suo inimico e potentissimo, e vedere indebolita la possanza del re de' romani; fu grata al re Ferrando, perché rimanendo lo stato di Spagna nelle mani della figliuola sua, ebbe speranza avere a essere richiamato al governo; e nondimeno seguitando el suo viaggio, ed essendogli venuto incontro e datosigli nelle mani liberamente Consalvo, fu ricevuto in Napoli con grandissima allegrezza e piacere, e fece ne' primi giorni molti segni di benivolenzia a Consalvo, nondimeno poco poi, con tutti e' modi che potette, gli tolse tacitamente riputazione. A questo re riputato molto savio e buono ed aspettato con sommo desiderio da chi desiderava acconciarsi le cose di Italia, mandò la città oratori messer Francesco Gualterotti ed Iacopo Salviati, avendo grande speranza che e' fussi per annunciare le cose di Pisa; il che, come di sotto in altro luogo si dirà, riuscí vano. Vinsesi poi la provisione di fare la ordinanza de' battaglioni nel contado e, per dare piú riputazione, che e' si creassi uno magistrato di nove cittadini e' quali tenessino la prima degnità doppo a' dieci, che avessino cura di questa opera; e cosí furono creati. Avuta che ebbe el papa Bologna, aspettandosi che e' facessi la impresa contro a' viniziani ed avendo lettere dal re di Francia come e' si metteva in ordine con grosso esercito per venire personalmente in Italia ed a Bologna a fargli reverenzia ed aboccarsi colla santità sua, subito ex arrupto, lasciato un legato a Bologna ed ordinate una certa forma di governo, se ne ritornò con la corte a Roma per la via di Romagna, toccando per transito e' terreni de' viniziani. La cagione fu interpretata perché e' dubitassi che essendo el regno di Francia in nome apresso al re, in fatto nelle mani del cardinale di Roano, che se el re veniva con tanto esercito in Italia ed a Bologna, quello cardinale per ambizione del papato, non gli facessi mettere le mani adosso e privassilo del papato. Ma non si seppe se questo sospetto gli entrassi naturalmente da se medesimo, o pure per suggestione del cardinale di Pavia, el quale poteva in lui el tutto, e di altri sua confidati che fussino stati corrotti da' viniziani, quello che si fussi la cagione, questa partita roppe tutti e' disegni fatti contro a' viniziani, e' quali erano sí fondati, che loro ne temevano assai. Alla fine di questo anno essendo tornato el papa a Roma, gli fu creato oratore Ruberto Acciaiuoli, ed a Napoli, in luogo di messer Francesco e di Iacopo che volevano tornare, fu eletto Niccolò Valori. XXVIII LUIGI XII IN ITALIA. MASSIMILIANO I D'ASBURGO. DISCORDIE IN FIRENZE (1507). 1507 Seguitò lo anno 1507, nel principio del quale nacquano movimenti nuovi per le cose di Genova. Era nella fine dello anno nata in Genova differenzia tra e' gentiluomini ed el popolo, la quale procedé tanto oltre, che el popolo, levato in arme, cacciò di Genova tutti e' gentiluomini con le donne e famiglie loro, ma perché e' ricorsono al re di Francia, sotto el dominio di chi era nello acquisto di Milano venuta Genova, lui cercò pacificamente rimettergli nella patria Ma sendo ostinati gli animi de' popolani ed intendendo che el re era disposto, se non giovavano e' modi dolci, a usare la forza prese alla fine l'arme, si ribellorono dal re ed accamporonsi al Castelletto che era guardato pel re, richiedendo di aiuto el papa, lo imperadore, el re di Napoli ed e' viniziani. E però nel principio di questo anno el re ordinato una grosso e potente esercito, ne venne alla volta di Italia di che sendo avisata la città da Francesco Pandolfini, che vi era oratore mandatovi in scambio di Niccolò Valori che vi era stato mandato doppo Alessandro Nasi, si elesse oratori nuovi per onorarlo in Italia Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno Salviati, e' quali avendo rifiutato vi furono mandati Pierfrancesco Tosinghi e Giovanni di Tommaso Ridolfi. El re intanto, giunto a Milano, si aviò personalmente colle gente verso Genova, benché Roan ed e' primi della corte molto lo sconfortassino dello andare in persona, perché, rispetto a' luoghi aspri e difficili, pareva che si mettessi in qualche pericolo, e quando bene non vi fussi pericolo, che non riuscendo la impresa, giucassi troppo della riputazione sua. E certo questa impresa fu riputata tanto difficile, che tutta Italia stava sospesa a aspettarne lo effetto perché oltre allo essere fra Milano e Genova passi molto forti ed aspri dove avevano a passare e' franzesi, oltre allo essere la città fortissima e di natura e di accidente, si intendeva che quello popolo armigero ed uso alle zuffe era ostinatissimo al difendersi. Avevano eletto uno popolano vile per doge, avevano pieno Genova di soldati e fanti forestieri e pareva che con grande animo aspettassino la venuta degli inimici; ma come el re in persona e le sue gente si accostorono alla città, subito entrò fra loro tanta viltà e disordine, essendo massime stati ributtati da uno passo forte, che prestissimamente si dettono al re. Credesi che questa vittoria dispiacessi al papa ed al re di Napoli, nondimeno, massime el re, non ne feciono, né prima né poi, segno manifesto. Ma certo fu che a' viniziani dispiacque assai, e' quali considerando essere el re in Italia con sí grosso esercito, e quanta riputazione aveva acquistata per la sí presta espugnazione di Genova, città fortissima e potentissima, cominciorono molto a temere dello stato loro, e però voltisi allo imperadore, lo richiesono facessi qualche dimostrazione di volergli soccorrere in caso che el re gli offendessi; il che lui fece volentieri, e gli serví di cinquemila uomini; publicando che gli aiuterebbe con tutte le forze sue. Ebbe di questa vittoria grandissima allegrezza la città nostra, perché avendo e' pisani mandato aiuto di molti uomini a' genovesi, el re dimostrò averlo per male e disse molte volte agli oratori nostri che acquistata Genova, voleva renderci Pisa, e che, bisognando, verrebbe a questa impresa per nostro capitano. Ma come facevano tutte le nostre buone nuove, ogni cosa diventò vana, perché el re, acquistata Genova, intendendo el sospetto de' viniziani e come e' si gitterebbono in collo a' tedeschi e metterebbongli in Italia, con tutto che fussi molto male disposto contro a loro, pure per non si recare tanta piena adosso, fece ogni dimostrazione per assicurargli; e però subito rimandò parte delle gente in Francia, licenziò e' svizzeri che aveva tolti a soldo, dette voce volersi presto tornare in Francia. E cosí fece con effetto perché, come ebbe rimessi e' gentiluomini in Genova, ordinato trarre da tutti somme grande di danari, tagliato el capo al doge nuovo ed a altri de' primi, e molti cacciatine, disegnato fortificare la città a suo proposito in piú modi, ed in ultimo aboccatosi a Saona col re di Napoli, si ritornò in Francia, seguitandolo oratore in nome della città Giovanni di Tommaso Ridolfi. In questo tempo medesimo el re di Napoli, essendo stato richiamato al governo degli stati della figliuola sua, deliberò tornarsene in Spagna, e però lasciato a Napoli uno viceré, si imbarcò, menandone seco Consalvo, e fatta la via da Savona, dove era aspettato dal re di Francia, entrò in Savona, e quivi stato alcuni dí a parlamento con quello re, rimontato in nave e menandone seco Consalvo, se ne andò in Spagna, dove gli fu consegnata, non sotto nome di re ma di governatore, la amministrazione di tutti quegli stati della figliuola. Fu la partita sua di Italia non con quello favore e riputazione che era venuto, e principalmente e' popoli del reame, che l'avevano aspettato come uno Dio, rimasono molto male contenti, perché e' fece loro imposizione assai di danari e messe ogni arte in fare danari nel regno. Cosí quegli che speravano che egli avessi a acconciare Italia, ne rimasono poco satisfatti, perché e' parve che e' pensassi a ogni altra cosa, e benché da molti, massime dagli oratori nostri, gli fussi mostro quanto lui ed ognuno aveva da temere de' viniziani per la potenzia loro, confortatolo a volere recuperare e' porti sua ed abassargli, e quanto la città nostra se fussi reintegrata di Pisa sarebbe buona a questi effetti, come molte volte aveva mostro la esperienzia de' tempi passati, nondimeno in tutte le pratiche si tenne con lui di Pisa, ogni cosa si riferiva a danari. Le quali cose erano imputate non solo alla natura sua che era avarissima, ma nelle necessità si trovava per lo accordo fatto con Francia, per vigore del quale era obligato dare a lui certa somma di danari, cioè cinquantamila ducati l'anno, duranti certi tempi, conservare in stato o dare ricompenso a molti che avevano seguitati e' franzesi, fare bene e rimunerare e' partigiani sua; le quale cose, per essere meno gli stati che gli uomini che gli bisognava contentare, era necessitato espedire con danari. E nondimeno la sua partita dispiacque alla città, perché si credeva che fermandosi a Napoli penserebbe a volerne essere un dí signore intero ed assoluto, ed a diminuire la potenzia de' viniziani. Partiti di Italia e' due re, si cominciorono a suscitare nuovi tumulti per conto della Magna perché e' si intendeva che lo imperadore disposto al tutto di passare in Italia, aveva chiamato a Gostanza una dieta de' principi e communità della Magna, e che aiutato dalle forze loro, verrebbe non tanto per la corona, quanto per riconoscere la ragione dello imperio in Italia, e che sarebbe una impresa comune di tutta la Magna. E perché si intendeva che el re di Francia stimava assai questo movimento ed ordinava di fare preparazione grandissime e cosí che el papa ed e' viniziani avevano uomini nella Magna, si cominciò a fare giudicio nella città che sarebbe cosa di molto momento e però si propose per molti che e' sarebbe bene mandarvi uno uomo. E fu eletto per opera del gonfaloniere, che vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale mettendosi in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da bene, chi e' si mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene atti a andarvi ed e' quali era bene che si esercitassino. E però mutata la elezione, fu deputato Francesco di Piero Vettori con commessione generale e da intendere e scrivere, non da praticare e conchiudere. Ma riscaldando ogni dí questa voce, si cominciò a praticare di mandare imbasciadori, a che opponendosi vivamente el gonfaloniere, in ultimo la pratica conchiuse di eleggergli, riscaldandosene massime Giovan Batista Ridolfi, che aveva nelle pratiche credito ed autorità grandissima. Furono adunque eletti dagli ottanta, Piero Guicciardini ed Alamanno Salviati, e' quali avendo accettato, nacque nel mandargli disparere grandissimo, perché el gonfaloniere non voleva mandargli Giovan Batista Ridolfi ed e' Salviati volevano. Quegli che confortavano el mandargli, cioè Giovan Batista ed e' Salviati, co' quali concorreva Lorenzo Morelli, messer Francesco Pepi, Lanfredino Lanfredini, Guglielmo de' Pazzi, Piero Popoleschi, Piero degli Alberti, e molti altri, presupponevano che e' fussi da credere la passata dello imperadore con grandissime forze, il che dimostrava l'essere ragunata e fatta risoluzione di passare tutta la Magna, la quale non essere da credere che volessi rimanere vituperate, come sarebbe se e' non passassi: dimostravalo e' favori arebbe dal papa, e di danari e di ogni aiuto, che lungamente per vendicarsi del re di Francia e de' viniziani aveva tenute pratiche con lui ed in ultimo mandatovi per legato de latere con amplissime autorità e commessione, el cardinale di Santa Croce; dimostravalo gli apparati e le grandissime spese faceva el re di Francia, le quali per certo e' non farebbe, se non vedessi in ordine la passata sua. Se e' passava essere da tenerne per certa la vittoria, perché le forze della Magna essere molto maggiore che quelle del re di Francia, e tanto piú se e' fussino con loro e' svizzeri come si credeva, di poi lo stato di Milano, dove s'aveva a fare lo insulto, essere male disposto contro al re ed appetire grandemente questa mutazione; e però potersi conietturare la vittoria. La quale seguendo, se noi prima non avessimo appuntato seco, che e' sarebbe ragionevolmente adirato con noi, sendo mancati di quelle debite riverenzie, a che gli eravamo tenuti per debito dello imperio; non si dovere attendere quello fussino per fare e' viniziani, perché secondo quello che era verisimile, sarebbono d'accordo collo imperadore amico loro, contro al re loro inimico, e quando pure non fussino d'accordo nascerebbe, perché lo imperadore, sendo eglino incompatibili col papa, gli rifiuterebbe, il che tanto piú dimostrare la potenzia sue e doverci fare piú caldi a essere seco d'accordo ed aiutare [la] ruina de' viniziani. Essere da considerare che se noi fussimo d'accordo collo imperadore e lui vincessi, recupereremo Pisa e cosí apunteremo seco, se e' perdessi non ci mancherebbe modo a medicare Francia con danari, come ci aveva molte volte mostro la esperienzia, se noi fussimo d'accordo con Francia e lui vincessi, a noi non tornerebbe utilità nessuna, perché con loro non ci era mai giovato el bene fare, se lui perdessi patiremo assai, e cosí seco ci toccherebbe a stare alla perdita e non al guadagno; doversi adunche risolvere in questa parte, né curare le parole del gonfaloniere, el quale, se bene vedessi la ruina della città, non sarebbe per deviare da Francia per la dependenzia che aveva con quello re e lui ed el cardinale suo fratello, che aveva in Francia benefíci ed entrata per piú migliaia di ducati. Queste ragione si allegavano per chi consigliava el mandarsi gli imbasciadori, de' quali molti si movevano però, e perché forse pensavano, in sulla venuta dello imperadore, rimescolandosi le cose della città potersi tòrre lo stato al gonfaloniere. Da altra parte al gonfaloniere dispiaceva el mandargli, mosso forse in secreto per non abandonare la amicizia di Francia, utile a sé ed al cardinale suo fratello, e perché degli imbasciadori che avevano a andare, credeva che Alamanno, per essere inimico suo, gli opererebbe contro quanto potessi; di Piero Guicciardini sapeva che, se bene non gli opere[re]bbe contro, non era per operare per lui da parte, ma solo attendere alle cose della città. In questo parere del non mandare imbasciadori concorrevano tutti quegli che seguitavano ordinariamente e' pareri del gonfaloniere, come Niccolò Valori, Alessandro Acciaiuoli, Francesco Pandolfini e simili, e' quali però non avevano molto credito, ma vi concorreva Piero Guicciardini, che difendendo vivamente questa parte nelle pratiche, la sostenne assai colla autorità sua, e messer Francesco Gualterotti, benché spesso parlassi ambiguo, pure piú tosto vi inclinava. Allegavano costoro, presupponendo che quando si mandassi imbasciadori con animo di non conchiudere, ma solo per intratenere lo imperadore e servire a dimostrazione e cerimonie, questa andata sarebbe, in quanto allo imperadore, disutile, perché, come egli intendessi venire gli imbasciadori, si persuaderebbe venissino a comporre, il che non riuscendo, gli parrebbe essere uccellato e tanto piú si sdegnerebbe; cosí si farebbe offesa al re el quale insospettirebbe che noi lo volessimo abbandonare ed inoltre arebbe per male che noi favorissimo di questo nome e riputazione gli inimici sua; e però essere da fare una delle due conclusione, o di non mandare imbasciadori o di mandargli con ordine e commessione di appuntare, e cosí el punto di questa deliberazione essere solo se era bene fare accordo collo imperadore o no. In questo aversi a presupporre ed essere chiaro, che ogni accordo che si faceva seco, vi avere a correre danari e somma grossa di presente; e' quali non si potendo annoverare se non si facessi provisione di nuova gravezza, si poteva giudicare che non si vincerebbe in consiglio, perché el popolo non concorre mai allo sborsare, se non quando e' pericoli e le speranze sono in sull'uscio, e non lo muovono e' movimenti propinqui di Italia, non che e' remoti della Magna. E però essere da conchiudere che quando bene el comporre era collo imperadore fussi utile per la città, nondimeno la difficultà al provedere al danaio sarebbe tale e potrebbe recare seco sí nuovi accidenti, che e' non sarebbe da pensarvi, se una urgente difficultà non ci costrignessi. Ma andando piú là, quando el danaio ci fussi in mano, potersi fare seco accordo in due modi: uno di essere seco in ogni impresa, contro a Francia ancora, l'altro, sanza obligarsi contro a persona, sovvenirlo semplicemente di danari. L'uno e l'altro avere a dispiacere insino al cuore al re di Francia, e tanto el secondo modo quanto el primo perché non mancando allo imperadore gente ma danari, sovvenirlo di quegli, essere come armarlo e metterlo in campo contro a lui, e cosí, in qualunque modo accordo si facessi, offendendosene ed inimicandosene el re, essere partito di grandissima importanza. Perché e' non era certo che lo imperadore avessi a passare, perché da sé non era bastante; e se bene e' principi della Magna ci parevano caldi, nondimeno difficultarsi a risolversi facilmente quelle deliberazione che pendevano dalla voluntà di molti; e massime che e' non era credibile che le communità, in chi aveva a consistere el nervo della impresa per la abilità che hanno al danaio e la povertà de' principi volessino spendere grossamente per conto dello imperadore e degli altri signori, della grandezza de' quali non guadagnavano nulla, anzi ne perdevano, perché quanto piú erano potenti, tanto piú gli avevano a temere. Cosí non si vedere ancora sí certa la intenzione del papa e de' viniziani, che si potessi farvi fondamento al risolversene, e quando pure lo imperadore passassi, che la forza e gli apparati del re erano tali, che e' non era da giudicare cosí de facili la vittoria de' tedeschi; e però essere molto bene da considerare in quanto pericolo noi entravamo, perché fatto lo accordo, se lo imperadore non passava o passando perdeva, noi rimanavamo sanza rimedio alcuno a discrezione del re, inimico nostro ed offeso da noi, se e' vinceva, sendo lui bisognoso di danari, e non piú osservatore della fede che gli altri barbari, ed essendo la città in opinione di ricca, non gli mancherebbe in ogni modo via e cavillazione da trarci di mano nuovi danari. Da altro canto, se noi fussimo di accordo col re e lui vincessi, se bene forse non ci rendessi Pisa, noi non sentiremo altra briga e conserveremo quello che avevamo, il che non era poco in tempi sí pericolosi e forti; se e' perdessi, lo imperadore sarebbe si munto di danari che e' non mancherebbe via a posarlo con danari e forse con meno somma, perché n'arebbe allora piú bisogno, e quanto piú, che noi ci potremo scusare, non avere composto seco mentre era nella Magna, per la paura ci bisognava avere del re di Francia, mentre che era in Italia propinquo e potentissimo. Considerato adunche el tutto, doversi piú tosto seguitare la amicizia di Francia che dello imperadore, in che non essere di poco momento che noi non potavamo comporre collo imperadore se non dandogli danari e con sconcio nostro e con difficultà; dove tenendoci con Francia, non ci correva noia alcuna, perché quello re, o non ci richiederebbe di nulla o solo di qualche gente di arme, di che lo potavamo servire sanza indugio e spesa, tenendole pagate per lo ordinario e non avendo a servircene a alcuna fazione. In su queste dispute tenendosene moltissime volte pratica ne' dieci e negli ottanta, la risoluzione che si faceva era sempre che si aspettassi uno altro aviso da Francesco Vettori; dal quale intendendosi come le cose riscaldavano e che era voce che gli apparati ordinati alla dieta dovevano essere in su' campi a San Michele di settembre, sí gli dette commessione praticassi accordo. E perché ogni cosa aveva a ritornare a danari, furono le prime chieste dello imperadore molto grande, insino a dimandare cinquecentomila ducati, di poi pure riducendosi a lega, venne a cinquantamila ducati. In su che tenendosi pratica, e deliberando, pe' caldi avisi che venivano della Magna, darne commessione con certe limitazione, però el gonfaloniere, che desiderava avervi uno di chi e' si potessi fidari e credergli e fare forse non meno e' fatti sua che della città, introdusse ne' dieci che, per dubio che le lettere non capitassino male, sarebbe bene mandarvi uno che riferissi a bocca; e cosí non sendo chi si opponessi, ottenne che vi fussi mandato el Machiavello. Trovavasi in detto tempo in Francia imbasciadore Giovanni Ridolfi, el quale tutto dí avisava e' potenti apparati del re e confortava e consigliava caldamente la città a non si volere partire da quella amicizia; in modo che ne acquistò carico grande e fu tenuto non facessi lo uficio di imbasciadore e di uomo prudente, e si diminui assai della riputazione sua, che era riputato prima savio e valente cittadino. Richiese intanto el re di essere servito di gente d'arme, la quale cosa gli fu negata, allegando aversi a adoperare nelle cose di Pisa di che lui temperando la indegnazione ne concepé ed el sospetto che aveva preso di noi, mostrò di non si adirare né risentire. E' viniziani in questo mezzo si accordorono col re, la qual cosa non tolse e' dispareri della città, giudicando alcuni che e' l'avessino fatto per cognoscere la debolezza della Magna, alcuni, perché lo imperadore, per non ne dispiacere al papa, non gli avessi voluto accettare. Era el gonfaloniere riputato amico del re di Francia ed inimico di tutti gli inimici sua; la quale opinione non solo era in Firenze, ma ancora divulgata fuori della città, intanto che lo imperadore ne' tempi che convocò la dieta a Gostanza, mandando uno uomo suo in Italia, gli dette una lettera di credenza a Alamanno Salviati e gli commesse lo confortassi a consigliare la città a volgersi alla via sua, dicendo che non aveva fatto capo al gonfaloniere, perché sapeva che lui non si discosterebbe mai da Francia ed essendo questa opinione di lui, tutti coloro che confortavano la andata degli imbasciadori ne dicevano male, in modo che per la città n'aveva carico grandissimo. Allungavansi intanto le cose dello imperadore, perché e' termini del venire si differivano tuttavia piú oltre, ed oltre allo essere e' viniziani accordati col re, non si intendeva che el papa, o per avarizia o perché pensassi meglio di quanto momento el pericolo sarebbe questa impresa concorressi a dargli danari, in modo che ultimamente lo imperadore, trovandosi in galea con poco biscotto, aviò una parte della sua gente verso el Friuoli, un'altra verso Trento per battere le terre de' viniziani. E però e' viniziani mandorono in Friuoli con grossa gente el signore Bartolomeo d'Albiano, dalla banda di Trento el conte di Pitigliano, ed el re di Francia mandò loro in aiuto buono numero di gente di arme, sotto messer Gian Iacopo da Triulzi. Scorsono e' tedeschi con poco numero e debolmente insino presso a Vicenza, e di poi avendo sí grossa opposizione si ritirorono nella Magna; da altra banda e' tedeschi che erano nel Friuoli sendo con poche forze e poco ordine, scaramucciorono col signore Bartolomeo, ed essendo rotti da lui, el signore Bartolomeo scoperta la loro debolezza, cominciò per commessione de' viniziani a campeggiare le terre loro e prese Triesti, Gorizia, Fiume, ed acquistò uno stato a' viniziani di entrata di cinquantamila ducati o meglio ed utilissimo, perché per molti passi di importanza era una forte guardia di tutti gli stati loro da quella banda. Sbigottito da questa percossa lo imperadore, ragunò una dieta di nobili a Ulmo, dove mancandogli sotto ogni favore, conchiuse in ultimo una triegua con viniziani, per virtú della quale tenendo e' viniziani durante la triegua quello che avevano acquistato gli avevano a dare ogni anno ducati trentamila. Questo fine ebbe el movimento dello imperadore, el quale aveva messo tanta paura al re di Francia, che spese una somma infinita di danari; messe in tale travaglio e divisione la città nostra, che per certo, se seguitava, si faceva qualche disordine, il che nasceva in gran parte per non intendere particularmente la verità de' sua processi. Intesesi poi come lo imperadore aveva insino l'anno dinanzi insino quando el papa partí da Bologna, tenuto pratiche di passare in Italia col papa che era adirato col re e co' viniziani che temevano dello sforzo che faceva per la impresa di Genova; di poi avendo fatto beneficio a' viniziani, quando el re prese Genova, con fare dimostrazione di favorirgli se el re gli offendessi, si persuase tanto che dovessino essere dal suo, benché altrimenti in particulare non si fusse assodato con loro; credette ancora che e' svizzeri, beneficati molte volte e favoriti da lui contro a' príncipi della Magna, lo seguitassino. E però quando fece la dieta a Gostanza, sendo riscaldati gli animi de' tedeschi a questa impresa, e proponendo volere fare uno grosso esercito e disegnare capitani in nome dello imperio e fare la guerra per lo imperio (la quale deliberazione se si faceva, era facile cosa che passassino in Italia potentissimi), lo imperadore che desiderava fare la impresa per sé, acciò che el guadagno fussi tutto suo, ed avendosi presupposto per certo che el papa, viniziani e svizzeri lo dovessino seguitare, e però parendogli non avere bisogno di molto aiuto alla dieta, si oppose vivamente ed impedí questa deliberazione, dicendo: «ego possum ferre labores, volo etiam honores», e dimostrando che uno mediocre sussidio gli bastava, e però sendo concluso secondo la sua richiesta ed in forma che sanza gli aiuti di Italia non poteva fare nulla, gli riuscí ogni pensiero vano. E meritamente, perché doveva non promettersi nulla di persona per ragione e segni generali, se prima non capitolava ed obligavagli espressamente; accordoronsi e' viniziani col re contro a lui, el papa non resse a dargli danari; e' svizzeri non avendo danari da lui né da altri per conto suo, si stettono in modo che lui disperato, e parendogli essere vituperato se non faceva qualche cosa, ruppe temerariamente guerra a' viniziani e, per non avere vergogna, provocando con somma sciocchezza l'arme di chi gli era superiore assai, si tirò adosso uno vituperio molto maggiore ed uno danno grandissimo. Nel quale quando fu incorso, convocò e' príncipi a Ulmo, dove dimostrò che e' danni e vergogne sue, erano danni e vergogne commune di tutta la Magna, ma veduto che erano verba ad corinthios fu necessitato, per non fare peggio, acconsentire, alla fine dell'anno o nel principio dell'altro, a una triegua brutta e vituperosa. Nel detto anno alla fine di dicembre, messer Guglielmo Capponi vescovo di Cortona, uomo bestiale e temerario, stretta pratica collo arcivescovo di Firenze, messer Rinaldo Orsino, che gli rinunziassi lo arcivescovado; ed era la cosa condotta tanto in là per opera del cardinale de' Medici, a chi messer Guglielmo soleva essere inimicissimo, e per questo gli era diventato amico, che si poteva dire quasi conclusa. Il che dispiacendo assai al gonfaloniere e perché voleva male a messer Guglielmo e perché sperava che, vacando lo arcivescovado per morte, avessi a essere del cardinale suo, subornò Giovacchino Guasconi, Iacopo di Bongianni e molti altri, e' quali mostrando essere mossi da se medesimi per bene della città, pregassino la signoria che, considerata la natura di messer Guglielmo, volessi scrivere al papa in disfavore di questa rinunzia. Ma questi tali come veddono risentirsi alcuni de' Capponi e Giovan Batista Ridolfi loro parente, non se ne vollono impacciare; e però el gonfaloniere, volendola impedire, fu sforzato a scoprirsi e fece scrivere tante volte lettere dalla signoria al papa, che finalmente questa pratica, per non volere el papa dispiacere alla città si risolvé. Creossi di poi per gennaio e febraio la signoria nuova, nella quale benché el gonfaloniere avessi spesso sei fave, come nello scrivere lettere contro al Cappone, nondimeno, essendone Bartolomeo di Filippo Valori, Giovanni di Stagio Barducci e Giovanni di Ridolfo Lotti, uomini vivi balzandosi e molto inimici sua, e non essendo ancora spente in tutto le cose dello imperadore, tanto si gli opposono e svillaneggioronlo in tutte le cose, che fu constretto cedere loro assai ed in modo che non credeva mai vedere el dí che eglino uscissino. E certo furono uomini di qualità, che se avessino avuti dua compagni simili a loro, gli arebbono dato fatiche assai; e benché molti uomini da bene avessino caro che el gonfaloniere avessi contradizione, nondimeno la piú parte caricò questa signoria d'avere usato troppo leggiermente molte parole e dispregi dove non bisognava. XXIX RAPPORTI DI FIRENZE CON PISA E LUCCA. COSIMO DE' PAZZI ARCIVESCOVO DI FIRENZE (1508). 1508. Seguitò lo anno 1508, nel principio del quale essendo posate le cose dello imperadore si entrò in consulta di dare el guasto a' pisani, el quale l'anno dinanzi non si era dato, ed essendosene fatta pratica ne' dieci tra e' primi cittadini, furono quasi tutti di parere che non si dessi. Allegavanne piú ragioni: l'una, che questo come si era veduto con effetto, se bene aveva recato difficultà a' pisani, non ci aveva però data Pisa, perché non mancava tuttavia chi gli aiutassi; l'altra, che gli era da credere che el re di Francia per averci veduti inclinati alle cose dello imperadore, ed e' viniziani per lo antico odio verso la città e la ambizione di farsi signori di Italia non sarebbono contenti che noi avessimo Pisa; e però come intendessino che noi la strignessimo, non mancherebbono di dare loro aiuto, e forse sí potente, che noi entrerremo in qualche difficultà e tireremoci adosso qualche cattivo umore. Ed era forse ancora in qualcuno, benché non lo allegassino apertamente, entrato scrupulo di conscienzia, perché questo conduceva molti villani in tanta estremità, che le famiglie di molti, e massime le donne, ne capitavano male. Questo era el parere de' piú savi cittadini; da altra parte el gonfaloniere, che sempre fu caldo a ogni impresa di Pisa, era di contraria opinione, e vedendo che nelle pratiche strette non era ordine a condurla la messe negli ottanta con una pratica larga, dove da principio si rimessono al parere de' piú savi, il che non satisfaccendo al gonfaloniere, non cessò mai di riproporla e sollecitarla, in modo che a ultimo si fece deliberazione che si dessi. Aiutoronlo assai a tirare questa pratica le lettere di Niccolò di Piero Capponi, el quale essendo commessario generale a Cascina, successore di Alessandro Nasi, scriveva caldamente che se questo guasto si dava, le cose di Pisa si conducevano in tanta estremità, che e' contadini farebbono tumulto in Pisa, non volendo aspettare di perdere le loro ricolte, o se pure aspettassino, la fame in ultimo gli sforzerebbe a cedere. El gonfaloniere ancora disse agli ottanta, avere in Pisa tale pratica che, come la gente nostre vi si accostassino, era da sperarne assai. Cosí si dette el guasto, e molto largamente perché e' pisani erano sí deboli di gente che e' non potettono impedirlo in alcuno modo, e nondimeno la loro ostinazione era tanta, che non feciono movimento alcuno. E quella pratica tenuta dal gonfaloniere riuscí vana, che la teneva un sensaluzzo chiamato Marco del Pecchia con messer Francesco del Lante cittadino pisano, perfido inimico nostro, e per uccellare. E cosí sempre e' savi riputorono sciocchezza el prestarvi fede, benché el gonfaloniere, troppo semplice e credolo in queste cose, vi facessi su fondamento grande. Poco poi che e' fu dato el guasto, el re di Francia mandò a Firenze uno imbasciadore chiamato messer Michele de' Ricci napoletano, uomo d'assai negli stati, e benché si dubitassi che la imbasciata avessi a essere spiacevole, perché el re si teneva poco contento di noi, nondimeno riuscí piú dolce, richiedendo benché agevolmente, che non si molestassino e' pisani; il che in fatto non era la intenzione del re, ma voleva tirarci per questo mezzo a promettergli danari, in caso che lui non ci impedissi la recuperazione di Pisa. Furono deputati a udirlo e praticare seco, due de' dieci, messer Giovan Vettorio Soderini ed Alamanno Salviati, e quattro altri cittadini: messer Francesco Gualterotti, Lorenzo Morelli, Giovan Batista Ridolfi e Piero Guicciardini. Ed in effetto si introdusse una pratica, che el re non soccorressi Pisa, operassi che e' genovesi e lucchesi non lo soccorressino, e noi fussimo obligati a dargli una certa somma di danari, e cosí al re di Spagna, che si obligava non aiutargli, in caso che noi recuperassimo Pisa in termine di uno anno dal dí dello accordo fatto, e non altrimenti o in modo alcuno. Ed essendo apiccato questo ragionamento in Firenze, dove era anche venuto per questa materia uno oratore del re di Spagna o di Ragona, le re di Francia revocò lo imbasciadore suo; in modo che questa pratica si ritirò tutta in Francia e doppo molti dibattiti si faceva questa conclusione: che el re si obligassi alla nostra protezione, non ci impedire nelle cose di Pisa, anzi aiutarci di tutti quegli favori che lo richiedessimo, ed in spezie comandare a' genovesi e lucchesi che non gli aiutassino; obligare el re di Spagna alle cose medesime, ed e converso noi fussimo obligati dare a lui centomila ducati, al re di Ragona cinquantamila ducati, e tutto si intendessi in caso che Pisa si acquistassi in termine di uno anno dal dí dello accordo fatto, altrimenti ogni accordo ed ogni obligazione dall'una parte e l'altra spirassi e si intendessi vana. Consultossi questa cosa in molte pratiche, e consigliò vivamente messer Francesco Gualterotti che e' si tagliassi ogni ragionamento, perché considerata la natura de' franzesi, che sono sanza fede e non vogliono stare a ragione, lo effetto sarebbe che questo accordo non ci darebbe Pisa, e nondimeno con cavillazione e per forza ci trarrebbono di mano questa somma di danari. El gonfaloniere, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati erano di contraria opinione, presupponendo che, come era chiarissimo, non si componendo con questi dua re, Pisa non si poteva avere; dove componendosi, ed egli osservassino la fede, era da avervi speranza grandissima; e quando la si avessi, benché la somma del danaio fussi grossa, pure che e' sarebbono bene spesi, rispetto al travaglio in che ci teneva continuamente el non avere Pisa, ed el pericolo in che ci potrebbe un dí mettere, essere da credere che gli osserverebbono la fede per la utilità del danaio che risultava loro; e quando non la osservassino, o, pure osservandola, Pisa per altra cagione non s'avessi, che in questo caso noi non eravamo obligati a dare loro nulla; e se e' fussino disposti volerci con forza o con inganni trarre di mano danari, che eziandio non faccendo questo acordo non mancherebbe loro modi e vie. Conchiusesi adunche, per queste ragione e per la autorità di chi la consigliava ne' numeri piccoli e ne' grandi, questa parte; ma nacque difficultà, perché si dubitò che questo accordo che andava per le mani del re di Francia, non fussi approvato da Ragona per darsigli minore somma di danari; e però fu scritto agli imbasciadori si ingegnassino praticare e conchiudere questo accordo ancora collo oratore del re di Spagna, che vi era; e quando non riuscissi, conchiudessino al modo di sopra con Francia. Ma nelle deliberazione ed in queste difficultà e pratiche si consumò tanto tempo, che accadendo a Roan, per la cagione che di sotto si dirà, a andare in Fiandra, ogni conclusione rimase sospesa insino alla tornata sua. Erasi in questo tempo eletto oratore a monsignore di Ciamonte a Milano, Alessandro Nasi, el quale andando trovò lui di pochi giorni innanzi essere cavalcato in Francia, in modo che gli fu dato commessione che andassi in Francia, e congiunto con Giovanni Ridolfi, che satisfaceva poco, attendessi alla pratica di questo accordo. Poco di poi che queste pratiche cominciorono con Francia, la città volta a avere Pisa per farne per tôrre loro el sussidio che vi potessi entrare per acqua, condusse con alcuni legni el Bardellotto, figliuolo del Bardella corsale genovese, confidatasi di lui massime per essere compagno di quelli legni Neri di Napoleone Cambi ed alcuni altri fiorentini. Ed essendo questi legni in Porto Pisano, el re, veduto che noi andavamo adagio allo accordo, dubitando che non fussi fatto a arte e che Pisa non s'avessi in questo mezzo, e cosí di non avere a toccare danari, comandò al Bardellotto come suo suddito, si partissi da' soldi nostri. A che essendo egli necessitato ubidire, bisognò, perché el re lo lasciassi stare, promettere al re che se Pisa si riaveva durante la pratica dello accordo, che noi osserveremo le medesime condizione a che ci obligavamo faccendo lo accordo. Ma poco poi sendosi scoperto uno brigantino carico di grano che andava a Pisa, el Bardellotto e Neri, parendo loro averlo a mano salva, temerariamente con pochi de' loro legni, lo assalirono, in modo che scoprendosi tre altri brigantini di pisani che venivano di Corsica, furono presi co[n] que' legni; e però essendo la città disarmata al porto, si condusse con certe galee el Bardella suo padre, e seguitando nello strignere piú e' pisani si dette el guasto alle biade, e cosí si conducevano ogni dí in piú estremità. Fecesi in questi tempi lega ed accordo co' lucchesi il che, perché si intenda meglio, s'ha a repetere piú da alto. E' lucchesi ne' tempi antichissimi furono molte volte collegati della città ed amici grandissimi, ma poi che la città ebbe acquistata la Valdinievole, che soleva essere loro, ed ultimamente Pisa, insospettiti e cominciando a temere della potenzia nostra, ci cominciorono a avere in odio, el quale si accrebbe in infinito quando, nelle guerre del duca Filippo, la città fece piú volte pruova di sforzare Lucca, e cosí quella inimicizia accidentale nata per proprio sospetto, si convertí in odio grandissimo vero e naturale, e nondimeno per paura, rispetto alla vicinità e potenzia nostra, e massime poi che fu acquistata Pietrasanta e Serezzana, erano constretti temporeggiare e passare tempo el meglio che potevano. Ma nel 94, come noi perdemo Pisa, vedendoci deboli e sbandati, e giudicando mentre che Pisa era fuora delle mani nostre, di essere sicuri, attesono con ogni studio a conservarla, faccendo qualche volta con aperte dimostrazione, come quando al tempo di Pagolo Vitelli vi mandorono trecento fanti, ma non cessando mai occultamente di favorirgli, con stimolare el re di Francia e gli altri príncipi a soccorregli, intendersi con genovesi e sanesi alla difesa loro, con tenergli di continuo confortati, dare loro sempre sussidi di vettovaglie e qualche volta di danari. Di che loro anche feciono bene, perché e' pisani quando avevano necessità, potendo usare el loro paese come Pisa, vendevano quasi tutte le robe loro a buono mercato in Lucca, di che tutte le cose di Pisa o la maggiore parte, prima quelle di piú valuta e di poi, crescendo la necessità, tutte le altre, eziandio le minime, si venderono e smaltirono in Lucca cosí le prede che e' menavano de' terreni nostri in modo che e' lucchesi arricchirono di questa guerra e feciono in tutte le imprese e disegni nostri grandissimi danni e nocumenti. Il che si conosceva ed intendeva a Firenze; ma perché loro, sapendosi bene governare, tenevano sempre tributato Ciamonte o qualcun altro de' primi di corte di Francia, erano in protezione del re e favoriti da lui, in modo che la città per non offendere el re non aveva ardire di manomettergli e benché qualche volta fussino fatti loro de' danni e delle prede non in nome publico della città, ma sotto colori vari, per potersene giustificare e difendere in Francia, nondimeno perché erano rari e di poca qualità per e' rispetti con che s'avevano a usare, non facevano effetto nel rimuovergli da' modi loro. Ma scoprendosi nel conversare co' franzesi di mano in mano la loro natura, e che el procedere dolcemente co' lucchesi era stato el piggiore disegno, perché e' non era dubio che se si fussino offesi gagliardamente sarebbono venuti a qualche composizione e fatto pensiero di volere vicinare bene e fatte le offese vi erano mille modi a giustificarsene e mitigare Francia, e però cominciorono molte volte nelle pratiche e' piú savi cittadini a ricordare che e' sarebbe bene a insegnare loro vivere e trattargli altrimenti che pel passato. Ma perché el gonfaloniere non la intendeva ancora bene ed era pieno di sospetto, si soprasedé piú anni al farne nulla; essendo cosí la sorte della città, che le deliberazione che non gli piacevano, se bene fussino aprovate da tutti gli altri, trovassino difficilmente esito. Ma poco poi cominciandosi ancora lui a voltare a questa via, deliberò fare una legge di escludere a' lucchesi tutti e' commerzi e commodità de' paesi nostri, proibire lo scrivere e conversare con loro, ed in effetto non si impacciare con loro come con inimici, di che nasceva che Gherardo Corsini, Lanfredino Lanfredini ed alcuni altri cittadini nostri che avevano trafichi e mercantie con Buonvisi ed altri cittadini lucchesi, bisognava si dividessino e separassino. E si mosse el gonfaloniere, o perché stimassi che questa legge darebbe difficultà a' lucchesi e gli premerebbe assai, o perché volessi offendere e tôrre quello aviamento utile a alcuni cittadini nostri che vi trafficavano, massime a Lanfredino Lanfredini che nelle cose dello stato non si intendeva seco, ed in privato, circa a questi traffichi con lucchesi, aveva avuto disparere con Tommaso Soderini suo nipote. E perché e' pensò, come questa cosa si introducessi in pratica, sarebbe impedita, fatto una sera per altre faccende chiamare gli ottanta, fece subito sanza che altri ne sapessi nulla, fermarla; e di poi vintala tra signori e collegi, la propose negli ottanta, ed avendovi parlato su e mostro quanto danno recava questa legge a' lucchesi, la vinse. Il che sendosi publicato per la città, molti cittadini di credito gli dettono carico, allegando con molte ragione che questa provisione non dava noia alcuna a' lucchesi, ma recava danno a alcuni particulari cittadini nostri; e nondimeno per lo universale odio de' lucchesi passò in consiglio grande facilmente. Vinta questa legge, e' lucchesi, o perché in fatto la dessi noia loro, o perché paressi uno segno tale di volergli per inimici che pensassino s'arebbe a procedere piú oltre, mandorono non molto poi a Firenze imbasciadori messer Gian Marco de' Medici e messer Bono... ed essendo deputati a praticare con loro alcuni de' primi cittadini, finalmente, perché gli erano ostinati a volere che noi cedessimo le ragione di Pietrasanta, non si conchiuse nulla. Di poi questo anno 1508, mentre si praticava col re, intendendosi come per la via di Lucca entrava di continuo grano in Pisa, si deliberò in una pratica de' dieci, scrivere al commessario di Cascina che facessi uno assalto a Vioreggio e gli trattassi in questo insulto quanto piú poteva da inimici, ed oltre agli altri cittadini, el gonfaloniere la riscaldò forte. Ma messer Francesco Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Alamanno ed Iacopo Salviati, che non si trovorono nella pratica per essere assenti alle ville loro, la biasimorono forte, dicendo che era stato in tempo alieno, perché e' non era bene, vegghiando le pratiche di Pisa con Francia, introdurre nuove difficultà; e parve questa ragione molto verisimile, ed el gonfaloniere gustandola se ne pentí in modo che, se fussino stati a tempo, arebbono rivocato la commessione al commessario. Ma era tardi, perché el commessario subito aviò una parte di gente in verso Vioreggio, le quali abruciando magazzini, rubando ed ardendo drappi, menandone bestiame di ogni regione, feciono a' lucchesi un danno grande, in modo che loro risentitisi assai ed impauriti, benché si dolessino in Francia, a Roma ed in ogni luogo, mandorono a Firenze, per tentare gli animi nostri, oratore uno Giampaolo Giglio mercatante che non aveva in Lucca molta autorità. El quale introducendo pratiche d'accordo, trovando gli animi de' primi cittadini bene disposti ed avendo riferito a Lucca, mandorono imbasciadori messer Gian Marco de' Medici e detto Giampaolo, e si cominciò la cosa a apiccare di buone gambe, perché e' lucchesi erano stati ributtati in Francia, poi che furono udite le giustificazione nostre; e si comprese che quello assalto, benché contro alla opinione de' piú savi, fu pure utile e fece fede che el procedere con tanti rispetti, el volere tanto antivedere ed el farsi tanta paura, è qualche volta cosí nocivo come utile. La città desiderava lo accordo, massime gli uomini prudenti, perché e' si cognosceva che levandosi a' pisani l'aiuto de' lucchesi, rimanevano privati di uno potente sussidio e che era atto a tenergli vivi; e cosí come pareva quasi impossibile avergli per fame, mentre che Lucca gli aiutava, cosí pareva facile, privandogli di quello favore ed essendo chiusa la via di mare, a domargli. Ma si dubitava che e' lucchesi non cercassino questo accordo per assicurarsi di noi e nondimeno non mancassino di favorire occultamente e' pisani, pure attenuandosi questo sospetto efficacemente da' lucchesi che mostravano di cognoscere che Pisa era sí debole e consumata che non poteva reggersi lungamente da se medesima, e che era necessario che cadessi nelle mani nostre o che venissi in mano di uno potente che bastassi a difendergli da noi, e quando fussi questo secondo, che Lucca rimarrebbe in pericolo e paura della grandezza sua, e però essere loro piú utile, quando fussino contenti di qualche particularità, che Pisa venisse nelle mani nostre col mezzo ed aiuto loro, e si reintegrassi tra noi la antiqua amicizia, furono adunche deputati a praticare con loro uno de' dieci, Lorenzo Morelli, e quattro altri cittadini, messer Giovan Vettorio Soderini, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini ed Alamanno Salviati, essendo assente messer Francesco Gualterotti che si trovava a Pistoia capitano. E venendosi a' particulari, e' lucchesi mostravano due cose: l'una, che questo accordo ci era utilissimo, perché el privare e' pisani del loro sussidio e de' commerzi e commodità, de' paesi loro, non era altro che darci Pisa nelle mani, l'altra, che ogni volta che Pietrasanta e Mutrone fussino in mano de' fiorentini, la città di Lucca non potere mai essere sicura della sua libertà, e però bisognare, a fondare bene questa amicizia, che noi cedessimo loro le ragione di Pietrasanta e di Mutrone, la quale cosa noi non dovavamo molto stimare, perché queste terre erano in mano loro, e di poi, che se noi volavamo vedere el vero, le ragione nostre quanto a Pietrasanta erano debole, Mutrone essere luogo rovinato e disfatto, e sí piccola cosa, che in uno caso di tanta utilità non si doveva considerare. E se si rispondessi che noi non daremo, perché quando noi avessimo dato, non eravamo bene sicuri che ci avessino a osservare la fede, replicare che erano contenti che la cessione non si facessi assoluta e pura, ma condizionata, in caso che fra uno termine onesto Pisa si riavessi, aggiugnendo che faccendosi tale cessione, servirebbono qualche anno di certo numero di gente d'arme pagate a loro spese. Queste erano insomma le dimande de' lucchesi, le quale sendosi cominciate a discorrere tra e' cittadini deputati, furono le opinione varie. Al gonfaloniere, messer Giovan Vettorio e Piero Guicciardini pareva fussi da acconsentirle, allegavanne che se si faceva questo accordo, o e' lucchesi osserverebbono la fede, o no; osservandola, che el separare e' lucchesi da' pisani era sanza dubio di tanta utilità che gli era buona spesa cedere Pietrasanta, se non la osserverebbono e non si recuperassi Pisa, non si intendeva fatto nulla, e che questa speranza di ottenere le cessione gli farebbe piú pronti a osservarci la fede, acciò che, recuperandosi Pisa, conseguissino lo intento loro; essere ancora da considerare e fare qualche capitale di quella somma di danari che ci servivano; ed in effetto questo partito mostrare tanto utile, che doveva preponderare a qualche infamia che seguiva dal cedere, e massime perché avavamo poche ragione in Pietrasanta, ed e' lucchesi, doppo qualche dibattito, erano calati quanto a Mutrone. Furono Lorenzo Morelli, Giovan Batista ed Alamanno di contrario parere, perché questa cessione pareva loro di tanto vituperio, che in nessuno modo la volevano acconsentire, e di poi consultandosene nella pratica de' dieci, si accordorono quasi tutti a questa sentenzia, e che si pigliassi qualche altro modo di assicurargli, offendendo meno che fussi possibile lo onore nostro. E però esclusi e' lucchesi da questo accordo, doppo molti dibattiti si introdusse una altra forma: che e' si facessi lega ed amicizia per qualche onesto tempo, la quale, se Pisa si avessi infra uno certo termino, si intendessi prorogata per anni dodici, e cosí si venivano a assicurare e' lucchesi, se non in tutto, almeno per uno tempo lungo, el quale innanzi che passassi potevano nascere vari accidenti, ed avere piú rispetto alle ragioni della città, le quali non si venivano a tôrre via in tutto, ma a differire. Ed in effetto risolvendosi in questo modo, si abozzò che el tempo della lega fussi di primo colpo anni tre; e di poi disputandosi quale era el tempo da porre alla riavuta di Pisa, pareva a Piero Guicciardini che el termine dovessi essere di uno anno, per fare maggiore stimolo a lucchesi di procedere bene, e di poi perché questo accordo si fondava in sulla speranza che noi avevamo di assediare Pisa, la quale, se non colpiva in questo anno, si veniva in gran parte a annullare. A Giovan Batista ed Alamanno parve il contrario, e che dovessino essere tre anni come durava la lega; perché se fra uno anno non s'avessi Pisa, la lega durerebbe ancora due anni, e nondimeno sendo passata la condizione del prorogarla, procederebbono malignamente, e noi ci troveremo avergli assicurati sanza frutto alcuno per anni dua. E benché e' si replicassi che e' sarebbe in potestà nostra al fine del termino primo prorogare per un altro o due anni pure non si mutando loro di opinione, e perché la cosa non pareva di molto momento, acconsentirono, tutti a cinque, a tre anni. Ed avendone fatta la bozza, el gonfaloniere, quando la si propose negli ottanta, la propose col termine di uno anno; e cosí sendo approvata e data la autorità a' dieci, che fra uno certo tempo potessino conchiudere la lega con quelle condizione, gli oratori lucchesi adombrati di sí piccolo tempo, ne vollono riferire a Lucca, ed andatovi messer Gian Marco in persona, ritornò col mandato di poterla conchiudere, quando si dessi el tempo de' tre anni e non altrimenti. E però chiamati gli ottanta, si propose questo modo, ed eziandio si ripropose el primo modo vinto l'altra volta, perché l'autorità de' dieci era spirata; e non si vincendo né l'uno né l'altro, conciosiaché molti, per odio de' lucchesi o perché l'accordo pareva poco onorevole, lo contradicessino, pure riscaldando el gonfaloniere el modo di uno anno solo, si vinse a punto quello; tanto che si comprese quella sera, che e' voleva piú tosto rompere l'accordo che acconsentire al modo de' tre anni. La cagione potette essere varia: o perché mutato proposito, gli dispiacessi al tutto fare accordo co' lucchesi, el quale prima gli soleva piacere, ed essendo certo che e' lucchesi non lo accetterebbono, cosí lo voleva impedire per questa via; o perché, secondo la natura sua, volessi piú tosto rompere l'accordo con danno della città, che acconsentire a quello modo commendato contro alla opinione sua da Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno. Ricusoronlo al tutto e' lucchesi e volevonsi partire a rotta, ma dolendosene molti de' primi cittadini, e' dieci dissono al gonfaloniere volerne conferire con gli ottanta, e non gli licenziare altrimenti che col parere loro, e però sendo convocati gli ottanta, el gonfaloniere credendo non si ottenessi, fece dire da messer Marcello cancelliere primo, che questa briga d'avergli chiamati non dava loro la signoria, ma e' dieci; e nondimeno come si venne a' pareri, vi parlorono su tanto caldamente molti de' primi cittadini, ed intra gli altri Piero Guicciardini, che si vinse con gran consenso. E cosí si conchiuse una lega co' lucchesi per tre anni, da prorogarsi per dodici, colle condizione predette, aggiugnendo alcuni capitoli circa al levare e' commerzi ed alleggerire certe gabelle; e si conchiuse mandare a Lucca uno imbasciadore, e per intratenergli e per velettare gli andamenti loro; ma chiamati gli ottanta per crearlo, lo cercorono tanto disonestamente qualcuno, massime Piero Ardinghelli e Lorenzo Martelli, che avendo ferme molte fave, con tutto si squittinassi la sera quattro volte e vi andassino a partito tutti e' primi uomini della città, non si vinse mai; richiamoronsi l'altra sera, e la seconda volta rimase fatto Piero Guicciardini, el quale avendo rifiutato fu in suo luogo eletto Giovan Batista Bartolini. A Lucca si ratificò lo accordo, e nondimeno sendo imputati gli imbasciadori di avere passato la commessione, massime in non avere rinnovata una lega vecchia, furono ammuniti e confinati in Lucca per certo tempo; e mandati imbasciadori a Firenze, cercorono di ottenerlo, ma non fu acconsentito loro. Era tanto dispiaciuta la disonestà del bucherare ed el disordine nato da questa ambizione, che si fece una legge, che ogni volta che gli ottanta si ragunavano a eleggere imbasciadori o commessari o altri ufici, avessino a giurare di non dare fava nera né nominare alcuno da chi o per conto di chi fussino stati richiesti e pregati, cosa di gran carico di chi aveva bucherato, massime di Piero Ardinghelli, el quale giovane di tale riputazione e qualità che questi onori gli sarebbono corsi drieto, aveva, giucandosi quasi tutte le sustanzie sue, toltisigli da se medesimo. Nel medesimo anno, poi che in tutto fu rotta la pratica del Cappone con lo arcivescovo di Firenze, si apiccò una pratica nuova che ebbe effetto. Aveva el gonfaloniere impedito sí vivamente la elezione del Cappone, che sentendosi dare carico d'averlo fatto perché fussi el fratello, cominciò per scaricarsi a dire che la intenzione sua era che eziandio el fratello non fussi arcivescovo, ma che e' si dessi a qualche uomo da bene e buono che fussi atto a reformare el clero, e fussi fiorentino; e di già aveva fatto scrivere qualche volta lettere dalla signoria in questa sentenzia al pontefice, o perché in fatto cosí fussi la intenzione sua, o pure per scaricarsi e dondolare con queste pratiche la cosa, insino a tanto che venissi la morte dello arcivescovo già vecchio, in sulla quale sperava che el papa fussi per conferirlo al cardinale suo. Da altra banda el cardinale de' Medici, in potestà di chi era el fare questa renunzia, perché lo arcivescovo si era rimesso in tutto a lui della elezione della persona, considerando che se non se ne pigliava partito che poi morendo lo arcivescovo sarebbe facile cosa che el Soderino avendo favore dalla città ne fussi compiaciuto, e disposto fare ogni cosa perché questo non seguissi, volse gli occhi in sul vescovo de' Pazzi, parendogli che le qualità e la riputazione sue fussi tale, che el gonfaloniere non potrebbe fare scrivergli contro in nome publico come aveva fatto al Cappone, e cosí che el disegno suo fussi da riuscire, ed inoltre pensando guadagnarsi con questo beneficio lui e la casa sua. E però fattane conclusione col vescovo e con lo arcivescovo e provisto alla ricompensa della entrata, non mancava se non avere lettere dalla signoria in suo favore, acciò che el papa subito vi conscendessi. E cosí scrittone a Firenze a' sue parenti, el gonfaloniere mostrandosene molto allegro e contento, fatto chiamare e' collegi, propose la lettera, la quale essendosi vinta alle due o le tre volte e scrittasi a Roma pochi dí doppo la arrivata, messer Cosimo de' Pazzi fu pronunziato in concestorio arcivescovo di Firenze, di che si rallegrò assai lo universale della città, perché era riputato prelato dotto savio e costumato. Fu bene opinione che el gonfaloniere n'avessi dispiacere per due conti: l'uno, per vederne privato el fratello, l'altro, perché pareva da credere che l'arcivescovo non fussi uomo da lasciarsi maneggiare da lui, ed inoltre che gli avessi, e naturalmente e per essere diventato amico de' Medici, a essere piú tosto inimico che no; e però pareva da credere che e' si pentissi d'averlo tolto al Cappone, el quale, se bene gli era inimico, era di natura e cervello sí bestiale, e fattone sí poco conto, che el gonfaloniere non aveva da stimarlo. E si notò che el gonfaloniere non fece fare la lettera in commendazione di messer Cosimo dalla signoria sola, ma volse el partito de' collegi; di che benché si potessi giustificare averlo fatto perché el papa vedessi el consenso piú universale della città, e cosí la lettera fussi piú efficace, pure dette ombra che e' non fussi proceduto acciò che non si vincendo la lettera, non si scrivessi, la quale e' non poteva per altro modo contradire, rispetto alla buona fama di messer Cosimo; nondimeno chi non si lasciò ingannare dalla passione, se bene e' facessi concetto che al gonfaloniere dispiacessi, confessò non se ne essere veduto in lui segno alcuno, con tutto che e' fussi certo che el cardinale Soderino cercassi a Roma, con ogni modo diretto ed indiretto, impedirlo. Entrò di poi lo arcivescovo nuovo in Firenze con allegrezza grande dello universale, per essere state piú di trent'anni la chiesa nostra nelle mani dello Orsino el quale non vi era quasi mai venuto, ma l'aveva amministrata qualche volta con vicari, qualche volta affittatala, e vendutone non solo el temporale, ma ancora lo spirituale. Posata questa parte dello arcivescovado, successe a Firenze uno accidente che tenne molti dí alterata la città e fu per essere di momento grandissima, il che, acciò che meglio si intenda, s'ha a ripetere da piú alto principio. XXX GIOVANNI DE' MEDICI. MATRIMONIO DI FILIPPO STROZZI E CLARICE DE' MEDICI. LEGA CONTRO VENEZIA (1508). Cacciati che furono e' Medici di Firenze, e restata la città nel governo populare, furono e' portamenti di Piero altieri e violenti, secondo la natura sue bestiale, e molto alieni dal ritornare nella città; perché egli aveva a presupporre che la città benché conquassata e smembrata del dominio di Pisa e delle altre terre, era pure rimasta sí potente, che s'egli aveva a entrarvi per forza, bisognava che avessi una forza ed uno appoggio molto grande ed estraordinario, in modo che era tanto difficile, che e' si accostava allo impossibile. E però doveva pensare che la principale parte che lo potessi rimettere in casa sua, sarebbe stata l'avere qualche benivolenzia nella città, e cosí tenere modi di addolcire gli inimici sua, mostrando di conoscere che l'avessino cacciato meritamente per lo errore di avere voluto negare el passo al re di Francia, e nondimeno scusarsene collo essere stato giovane e male consigliato, ma che aveva imparato, in modo che in futuro, se mai ritornassi nella città, presterebbe fede a' cittadini da bene e prudenti e vorrebbe che lo stato ed el governo fussi piú loro che suo; cosí ancora standosi in quiete e non suscitando movimento alcuno, né tenendo pratica del ritornare con potentati italiani o esterni, mostrare di non volere che per sua cagione la città ed el popolo ricevessi danno o lesione alcuna, e con queste vie ingegnarsi di placare el popolo e muoverlo in compassione di sé e fare scusa che gli errori sua erano proceduti dalla età, e chiedere la tornata nella patria amorevolmente, e di essere rimesso non come capo del governo e dello stato, ma come privato cittadino. E corto era da giudicare che o questa via l'arebbe condotto alla intenzione sua, o se questa non era buona, che nessuna altra bastava. Ma lui usò modi in tutto contrari: non era prima uscito di Firenze che scrisse una villana lettera a Francesco Valori; cominciò a minacciare che ritornerebbe e gastigherebbe gli inimici sua, venne piú volte armato contro alla città, prima a' confini di Arezzo, di poi alla porta in Casentino, a Arezzo; tenne continuamente pratiche con viniziani con Milano col re di Francia col papa e Valentino, tutte contro alla città, in modo che fu cagione di tenerla continuamente in spese, sospetti, guerre ed affanni, e fu sempre uno instrumento a quegli che vollono per tempo alcuno battere la città. Per le quali cose non solo gli inimici sue vegghiavano sempre e' sue andamenti e di continuo gli erano implacabili, ma ancora lo universale della città l'aveva in odio grande. Fugli posta la taglia drieto a lui e di poi a Giuliano suo fratello; furono fatte legge che proibivano lo stare in casa el cardinale ed ogni commerzio con ciascuno di loro, e poste grandissime pene a chi contrafacessi; per le quali, e di poi per la morte di Bernardo del Nero e degli altri, e' cittadini spaventati, quando capitavano a Roma o in luogo dove e' fussino, non conversavano con loro se non occultamente e con riguardo; in modo che e' si faceva giudicio, e massime quando fu fatto el gonfaloniere a vita e riformati e' disordini della città, che e' Medici fussino in tutto spacciati; e' quali oltre al non avere piú grazia nella città, si trovavano in gran disordine, perché Piero nelle imprese sue avendo speso tutto el mobile che gli era avanzato della ribellione, aveva ancora messo el cardinale in grande spese e disordini. Ma creato el gonfaloniere a vita, ed essendo circa a uno anno di poi morto Piero nel Garigliano, el cardinale e Giuliano, o perché per lo ordinario fussino di natura piú civile ed umana, o perché considerassino che e' portamenti di Piero non erano stati a proposito, cominciorono a tenere altri modi, ed ingegnarsi di apparecchiarsi la tornata, non per forza e dispetto, ma con amore e benivolenzia, e con beneficare e' cittadini, non con offendergli né in publico né in privato. E però non pretermettevano di fare spezie alcuna di piacere a quegli fiorentini che stavano o capitavano a Roma, dando loro grande aiuto e favore in tutte le occorrenzie ed espedizione loro, servendo ancora di danari o di credito chi n'avessi bisogno; ed in effetto la casa, le facultà, le forze e la riputazione tutta del cardinale erano a saccomanno de' fiorentini. Le quali cose faceva molto piú grate el cardinale Soderino, che, essendo di natura avarissimo e tutto di sé, nè servendo o facendo piacere a alcuno fiorentino, era uno paragone da fare cognoscere meglio la liberalità e benefici del Medici. Queste cose, divulgate a Firenze, avevano fatto che tutti quasi e' fiorentini, a chi accadeva in Roma avere bisogno della corte o per espedizione di benefíci o per altro, facevano o personalmente o con lettere capo al cardinale de' Medici, insino ancora a quegli che erano stati loro inimici, e lui gli serviva tutti prontissimamente, in modo che non solo avevano desti alla memoria loro molti degli amici vecchi, ma ancora degli altri nella città; e dove, vivente Piero, soleva essere odioso quasi a ognuno el nome di quella casa, ora, morto lui, pareva che avessi favore e compassione. Il che procedeva massime da questi modi, e perché tutto lo odio che si era portato loro era proceduto da Piero, perché el cardinale e Giuliano, mentre che erano nella città, non avevono mai né in publico né in privato offeso persona, né di poi, se non tanto quanto erano stati mossi da Piero, ed inoltre erano sempre stati riputati di migliore cervello e natura assai che Piero. Aggiunsesi lo odio del gonfaloniere, el quale, sendo male voluto da tutti quegli a chi dispiaceva el Consiglio e che arebbono voluto uno stato, da molti ancora a chi piaceva questo vivere e nondimeno dispiacevano e' modi sua, aveva dato loro favore, e però si parlava nella città piú liberamente di loro che non si soleva, e non ostante le legge che proibivano e' commerzi, molti scrivevano lettere a loro, tutti quegli che capitavano a Roma o in luoghi dove e' fussino, non avendo eziandio bisogno di loro, o alloggiavano con loro o gli andavano a visitare. Le quali cose benché dispiacessino al gonfaloniere insino al cuore nondimeno non se ne risentiva né cercava di farne punizione; in modo che pigliandovisi su animo, si conversava publicamente con loro, e molti giovani da bene, e' padri e le casa di chi erano stati loro inimici nel 94, andando a Roma, si erano intrinsicati seco e parevano diventati loro amici, mossi o per fare dispetto al gonfaloniere, o perché desiderassino piú oltre, e forse di rimettergli in casa. Di questi era uno Bartolomeo Valori, el zio del quale, Francesco, era stato inimico loro capitale, prima nel cacciargli, di poi nel perseguitargli, in ultimo in fare tagliare el capo a Bernardo del Nero e gli altri, erane Piero di Braccio Martelli, el padre di chi, benché solessi essere amico di Lorenzo, si era nel scoperto vivamente contro a Piero, erane Giovanni di Bardo Corsi, el padre di chi era stato inimico capitale di Lorenzo ed ammunito da lui e però, benché e' fussi uomo di non molta qualità, fu nel 94 creato de' venti, e di poi fatto due volte gonfaloniere di giustizia; erane Gino di Neri Capponi, el padre di chi, trovandosi in Francia quando el re Carlo passò in Italia, aveva molto perseguitato Piero, ed el zio Piero Capponi gli era stato inimico fierissimo ed in gran parte cagione di tórgli lo stato, erane Antonio Francesco di Luca d'Antonio degli Albizzi, ancora quasi fanciullo, ma di natura molto altiera ed inquieta, el padre di chi, avendo insino a tempo di Lorenzo in odio la casa de' Medici, si era nel 94 fatto vivo, e di poi nel tagliare el capo a' cinque cittadini, seguitate gagliardamente le pedate di Francesco Valori, ed in ultimo trovandosi in sulla ribellione di Arezzo, imbasciadore in Francia, non solo allora ed in tutta quella legazione aveva fieramente perseguitato e' Medici, ma ancora scritte a Firenze lettere caldissime in publico, confortando a volere conservare la libertà e non volere avere per tiranni cittadini ingiuriati, poverissimi ed usi alla tirannide. Tutti costoro capitando in diversi tempi a Roma, e stati raccolti lietamente dal cardinale e Giuliano, ed intrinsicatisi con loro, avevano data la via a molti altri che, veduto che nella città non se ne teneva conto, usavano liberamente le casa loro, non come di rubelli, ma come dello oratore fiorentino residente a Roma. Aggiugnevasi che era ferma opinione che Giovanni, figliuolo di Bernardo Rucellai, vi fussi qualche volta ito scogniosciuto in poste, di che si traeva coniettura che Bernardo suo padre, avendo piú nel cuore lo odio che aveva col gonfaloniere che lo odio ed inimicizie antiche co' Medici, si fussi riconciliato con loro; e cosí Filippo Buondelmonti, inimicissimo del gonfaloniere, el quale per l'adrieto era stato capitale inimico e di Lorenzo e di Piero. E faceva giudicio qualche savio, che le pratiche di Bernardo fussino ite piú là che una semplice riconciliazione, massime ne' tempi che viveva monsignore Ascanio, e di poi in sulla venuta di Bartolomeo d'Alviano, di che nacque forse la cagione della partita sua. Stando in questi termini le cose de' Medici, e parendo al cardinale che e' modi tenuti da lui gli avessino fatto profitto, e però disegnando di continuare ad acquistarsi quanta piú amicizia e benivolenzia poteva nella città, publicò di volere maritare in Firenze una figliuola di Piero de' Medici e dargli una grossa dota di cinque o seimila ducati, ed avendo tentato lo animo del gonfaloniere e trovato che, benché e' dessi buone parole, pure quando si veniva allo strignere, che la intenzione sua era che la non si maritassi a Firenze, cominciò a tenere diverse pratiche. E benché tutti e' giovani che avevano a tôrre donna l'avessino fatto volentieri per la qualità della dota, pure dubitando non se ne facessi caso di stato, non era nessuno che avessi ardire di tôrla e però per fare cimento di quello che n'avessi a essere, el cardinale fece publicare d'averla maritata a Francesco figliuolo di Piero di messer Luca Pitti, il che in fatto non era né aveva a essere, ma vollono tentare se a Firenze se ne faceva romore. E però el gonfaloniere che cognobbe questo tratto, ne fece fare una quarantía, per dimostrare a qualunche la togliessi, che la città lo punirebbe, di che si sopí chi aveva voglia di tôrla. Ma poco poi el cardinale, per mezzo di madonna Lucrezia donna di Iacopo Salviati e sua sorella, tenne pratica col gonfaloniere di darla a Giovan Batista di Paolantonio Soderini, nipote del gonfaloniere, a che el gonfaloniere prestò orecchi, e nondimeno non si concluse, o perché non fussino d'accordo della dota, o perché el gonfaloniere fussi stato da principio di questo animo, o perché se ne ritraessi dubitando di non avere carico e venirne in sospetto al popolo. Ma apiccata di poi per mezzo di messer Francesco di messer Tommaso Minerbetti archidiacono di Santa Liperata, che era tornato da Roma, una pratica di darla Filippo di Filippo Strozzi, garzone nobile e ricchissimo, lo effetto fu che doppo molti e molti mesi detto parentado si concluse l'anno 1508, e subito, non sendo ancora publicato, Filippo se ne andò a Napoli, e poco di poi del mese di novembre in detto anno si scoperse in Firenze e venne a luce. Di che cominciandosi a parlare, si trovorono gli animi di diversi e vari gusti: dispiaceva al gonfaloniere insino al cuore, e diceva che essendo Filippo giovane, non aveva preso uno partito di questa natura da se medesimo, ma confortato e consigliato da altri di maggiore autorità, e' quali non avevono cerco di fare uno semplice parentado, ma sotto questa ombra tenere pratiche di mutare lo stato e di rimettere e' Medici. Ed in questo parlare concorrevano con lui Antonio Canigiani, Pierfrancesco Tosinghi, Alessandro Accialuoli, Niccolò Valori, Alfonso Strozzi e simili, stati inimici de' Medici e mai riconciliatisi per tempo alcuno, dando carico nominatamente a molti cittadini vecchi e giovani; in modo che publicamente erano nominati come autori e consigliatori di questo parentado, l'arcivescovo nuovo, Filippo Buondelmonti, Bernardo Rucellai, e Palla e Giovanni sua figliuoli, madonna Lucrezia, Giovanni Corsi ed Antonio Francesco degli Albizzi, compagno di Filippo e simili, e perché costoro avevano infamia ed erano in sospetto di volere mutare lo stato, moltissimi che non si scoprivano, sarebbono concorsi a ritrovare la origine e cagione di questa cosa ed a punirla gagliardamente. Da altra parte gli Strozzi quasi tutti, sendone capi messer Antonio e Matteo, tutti quegli di che di sopra è detto che si erano intrinsicati co' Medici, e di piú Antonio Giacomini e molti inimici del gonfaloniere, massime Giovan Batista Ridolfi ed e' Salviati, benché questi procedessino piú copertamente, erano alla difesa del garzone, mossi chi per parentado suo, chi per affezione che avevano a' Medici, chi per odio portavano al gonfaloniere, parendo loro, se non tirava questa impresa, dargli una bastonata. Costoro tutti di accordo confessavano essere state grande leggerezza quella di Filippo, che avendo uno stato bellissimo, e per la nobilità della casa e per essere ricchissimo, si fussi impacciato con rubelli ed inimici dello stato ed avessi preso uno partito da poterlo mettere in pericolo assai; ma lo scusavano in quanto allo essere punito, allegando che questo era uno parentado fatto semplicemente di suo moto proprio e sanza misura alcuna di stato e sanza consiglio e conforto di altri; e però si vi cadeva pena, non era per avere contrafatto allo stato, ma per avere tolto per donna una già figliuola di rubello, in che non si trovava legge alcuna che punissi questo caso; e se pure vi era, era uno statuto che metteva di pena quattromila lire, el quale era giusto che si osservassi, e non si punissi alcuno a libito del gonfaloniere o altri, se non in quanto esprimevano le legge della città. Sendo le cose in questi ragionamenti, gli Strozzi, ristretti insieme, andorono alla signoria, e dicendo non sapere se el parentado era fatto o se era in termini da tornare adrieto, si giustificorono, che quando fussi fatto, non era stato di loro saputa e consentimento, e che per loro non resterebbe di fare ogni opera di impedirlo, in caso che [non] fussi fatto. E cosí con licenzia della signoria mandorono uno in poste a Filippo con lettere a sconfortarnelo; ed in particulare Alfonso, suo fratello, mostrò una lettera ricevuta da lui, dove confessava el parentado, dicendo averlo fatto per scarsità di parentadi, e che non si curava del giudicio de' foggiettini, il che lo aggravò apresso a molti, come se gli paressi essere di qualità che non trovassi in Firenze parentado conveniente a lui, e cosí chiamando foggiettini e' popolani, si facessi beffe del consiglio a governo populare; benché in fatto questa seconda parte non nacque da lui, ma fu in risposta a una lettera di Alfonso, dove gli diceva che faccendo questo parentado n'arebbe a stare a giudicio de' foggiettini. Ed in quegli medesimi dí, avendo un poco di male Alessandro Acciaiuoli, si ragunorono una sera in casa sua Antonio Canigiani, Pierfrancesco Tosinghi e Niccolò Valori ed alcuni altri, e' quali per essere stati aderenti di Francesco Valori si chiamavano la setta valoriana; intervennevi ancora Alfonso Strozzi che faceva contro al fratello. Consultorono costoro quello che fussi da fare di questa cosa, e fu opinione conchiudessino quello che seguí; perché la mattina sequente o la altra mattina di poi, el gonfaloniere, essendo Proposto, propose due partiti: uno, che si comandassi a Filippo Strozzi che comparissi innanzi a loro per tutto dí venticinque di dicembre, sotto pena di essere confinato nel reame di Napoli per anni dieci, l'altro, che si comandassi alla madre, a' fratelli ed a chi aveva in mano del suo che non gli rimettessino nulla sotto pena di ducati diecimila per ogni volta che contrafacessino. E si vinsono con nove fave nere de' signori; di che appresso agli uomini di mezzo e che giudicavano sanza passione ebbe el gonfaloniere carico, perché pareva che governandosi da sé, trattassi questo caso non come publico ed apartenente alla città, ma come privato, e cosí parve cosa di pessimo esemplo, che sanza consulta ed e' modi ordinari facessi con sei fave manomettere e' cittadini. Ebbonne carico e' signori d'aversene lasciati menare da lui, e massime Luigi di Piero Guicciardini, el quale pareva che per le qualità del padre suo e per ogni altro conto avessi avuto a considerare la importanza di questa cosa ed a contradirgli, ma loro errorono non pensando. Fattisi questi partiti ed aspettandosi se e' compariva o no, ed essendo creati gli otto nuovi che avevano a entrare di gennaio, fu posta una querela agli otto vecchi di questo caso, e come Filippo l'aveva fatto per mutare stato; e fu opinione che el gonfaloniere, parendogli che forse gli otto creati di nuovo non fussino a suo proposito, facessi porre la querela agli otto vecchi, a fine la lasciassino andare in quarantía dove pensava aversi a fare uno giudicio severo. Ma fu disegno vano, perché la fu posta a tempo che el termino del giudicarla andava piú là un mezzo dí che el tempo degli otto vecchi e cosí secondo gli statuti della città ricadeva agli otto nuovi, a chi el tempo ricominciava a correre come dal dí della querela data. E pendendo cosí la cosa si venne alla elezione della signoria nuova dove el gonfaloniere osservando el costume, che è di confortare a fare buona elezione, ricordò al consiglio come gli avevano una bella autorità ed uno pacifico vivere, e che lo sapessino riconoscere e conservare, volendo mettere loro con queste parole sospetto che el parentado era fatto a fine di mutare lo stato, a fine che gli eleggessino uomini secondo el gusto suo; che furono verba ad corinthios perché, come si intese poi, e' partiti andorono sanza riguardo e larghi al modo usato. Posesi di poi una nuova querela agli otto, la quale significava come, per essere Piero de' Medici venuto armata manu contro alla città nella ribellione di Arezzo ed in altri tempi, era per virtú di uno statuto nostro caduto in pena di rubello e lui e sua descendenti, e cosí che Filippo Strozzi aveva a essere punito, non come se avessi tolto per donna una figliuola di uno rubello, ma come d'avere tolto una rubella. Venne di poi uno brieve alla signoria mandato dal pontefice, che confortava e priegava che volessino non impedire questo matrimonio; a che la signoria rispose per ordine del gonfaloniere molto caldamente pregandolo non volessi richiedere di queste cose, come né anche noi lo richiederemo in quello che attenessi a' rubelli di Bologna. Sopravenne poi el termine del comparire, nel quale Filippo venne occultamente in Firenze, essendo confortato al comparire sicuramente da alcuni de' signori che si pentivano de' partiti che avevano fatti, e cosí el gonfaloniere disse agli Strozzi che lo facessino venire; e però venne al termine ed essendo comparito, non ostante che el gonfaloniere avessi avuto carico de' partiti fatti sanza consulta, ed inoltre che fussi stato avvertito che non tentassi di farne piú, perché la signoria non reggerebbe, e massime da Piero Guicciardini che gliene fece intendere per mezzo di messer Giovan Vettorio, nondimeno propose che gli era bene fargli uno comandamento che non partissi de' terreni nostri sanza licenzia dalla signoria. Ma non lo cimentò, veduto non vi essere el partito, perché messer Francesco di Bartolomeo Pandolfini, Antonio di Lione Castellani, Luigi Guicciardini e Francesco di... Calderini apertamente gliene contradissono allegando che poi che la querela ne pendeva agli otto non era uficio della signoria impacciarsene piú, ma di lasciarla terminare agli otto, e cosí si differí nel gennaio sequente, perché la signoria che successe non volle impacciarsene; che furono Neri di Gino Capponi, parente degli Strozzi, Rafaello di Alfonso Pitti, Averano di... Peruzzi, Federigo di Giuliano Gondi, Gentile di... Sassetti, Ugolino di Giuliano Mazzinghi, Biagio di... Monti, Girolamo di... dello Straffa. E però pendendo el giudicio nelle mani degli otto, cominciò a riscaldare questo umore fieramente, perché da una parte erano caricati e' cittadini nominati di sopra ed inoltre Giovan Batista Ridolfi e piú e' Salviati riputati sua fautori, come se e' volessino mutare lo stato; da altra era caricato el gonfaloniere in piú modi: prima che e' doveva, come aveva fatto Lorenzo nelle fanciulle de' Pazzi lasciarla maritare a Firenze in qualche uomo da bene, e nondimeno non di qualità che se n'avessi a pigliare sospetto; di poi, se pure e' non voleva questo, sapendo che gli era qualche pratica di maritarla in Firenze, fare una legge che lo proibissi e cosí come savio riparare piú tosto che el male non venissi che, venuto che fussi, averlo a medicare, e però potersi imputare alla sua negligenzia questo disordine. Inoltre soggiugnevano che se questo era delitto, s'aveva a punire ancora lui, per avere tenuta pratica di darla a Giovan Batista suo nipote; e ancora el cardinale averla tenuta a Roma, aggiugnendo la ritornata di Lorenzo figliuolo di Piero e promettendone el consenso del gonfaloniere, il che e' non arebbe fatto sanza licenzia sua; e però conoscersi che e' non aveva voluto fare legge probitiva, non per negligenzia, ma perché non credendo che alcuno avessi animo di tôrla sanza sua licenzia, voleva si maritassi per le mani sue, e darla a chi paressi a lui. E si procedeva ogni dí piú caldo in queste quistione, in forma che Alfonso Strozzi disse che volendo sanare la città bisognava tagliare el capo allo arcivescovo, a Bernardo Rucellai, a Filippo Buondelmonti, a Giovanni Corsi ed a piú altri; ed Alessandro Acciaiuoli disse che Giovan Batista Ridolfi si faceva capo de' giovani per fare scandolo tanto che ne feciono quistione; ed essendo in carico grande Bernardo Rucellai che si trovava a Vinegia, scrisse una lettera alla signoria in sua giustificazione, repetendo tutti e' processi sua insino da Lorenzo, da Piero e dal frate, pe' quali si mostrava quanto sempre e' fussi stato caldo che la città stessi in libertà ed in quiete. In ultimo gli otto, che ne erano massime capi Bernardo di Carlo Gondi, Carlo di Dionardo del Benino e Giovan Francesco Fantoni considerando quanta divisione partoriva ogni dí piú questo caso e quanto terrebbe la città piú inferma e sospesa se si conducessi in una quarantía, ed avendo forse notizia che el gonfaloniere acconsentiva che la posassi, ne dettono con otto fave nere giudicio in questo effetto: condannorono Filippo in ducati cinquecento d'oro e lo confinorono nel reame di Napoli per anni tre; dichiarorono essere rubello Lorenzo figliuolo di Piero secondo la forma degli statuti che parlavano della materia, e non la femina, perché si era trovato uno altro statuto che ne eccettuava le femine. E benché questo giudicio a chi paressi troppo, a chi poco, pure fu universalmente riputato giudicio ragionevole, e gli otto furono commendati d'avere spento questo fuoco che ogni dí piú multiplicava e si estendeva. Furono varie opinioni quello che fussi seguíto di questo caso se e' fussi ito nella quarantía, e benché si fussi ridotto molto alla sorte degli uomini che fussino stati tratti, pure io sono di opinione che se fussino stati tratti uomini di mezzo, arebbe Filippo avuto maggiore pregiudicio, perché molti erano insospettiti che non fussino pratiche di mutare lo stato, a molti dispiaceva che la casa degli Strozzi, potente e grande, avessi avuto ardire fare una tale cosa, e però giudicavano essere bene bastonargli. E certo è opinione che se el gonfaloniere avessi da principio, quando el caso venne a luce, chiamato una pratica e voluto che o con polizze o con fave manifestassino el parere loro, ne sarebbe nato uno giudicio aspro, ma lui insospettito, secondo la natura sua, de' cittadini, la volle governare da se medesimo; di che molti a chi dispiaceva, si stettono a vedere, molti si sdegnorono che e' trattassi le cose publiche come private e sue proprie; e nondimeno se gli Strozzi non si fussino aiutati potentemente, el garzone capitava male, ma sendosene loro risentiti, e perché Alfonso suo fratello teneva col gonfaloniere e Lorenzo Strozzi era giovane, avendone preso la cura Matteo e governandola con consiglio occultamente ed aiuto di Iacopo Salviati, ebbe fine facile. Seguitavasi di poi tuttavia nello strignere Pisa, e perché, secondo che di sotto si dirà, le pratiche con Francia andavano alla via della conclusione, si fece risoluzione fare ogni forza che non vi entrassi grano, ma sopravenendo nuova di Riviera di Genova da Livorno e molti luoghi, come a Genova si caricava grano per metterlo in Pisa, con tutto che si dubitassi non fussi ordine del re di Francia, pure perché di Francia s'avevano di continuo buone lettere, e perché gli imbasciadori scrivevano queste cose essere contro alla intenzione del re, si deliberò proibirlo. E però, per fare piú forte la armata nostra, si mandò una parte delle nostre gente di arme con parecchi migliaia di battaglioni verso San Piero in Grado, e' quali si divisono, ed una parte ne andò di qua di Arno, una di là, in modo che sopravenendo poco poi la armata inimica, non ebbe ardire andare piú innanzi, ma si ritornò presto indrieto; e si intese era cosa di poco fondamento e fatta piú tosto con ordine di genovesi privati che del publico, e non con legni della communità di Genova, ma di privati e forestieri soldati, come mostrò lo effetto, per pochi dí. E perché, se tale sussidio venissi piú potente, si deliberò ripararvi e si conchiuse fare a San Piero in Grado uno ponte in su Arno, come avevano fatto e' padri nostri quando ebbono Pisa; le quale cose perché si facessino con piú ordine e piú riputazione, non si trovando in campo pel publico altri che Niccolò Machiavelli cancelliere de' dieci, vi furono eletti dagli ottanta, commessari generali Iacopo ed Alamanno Salviati con grandissima riputazione di quella casa, ma trovato poi che tutti a due insieme avevano divieto, sendo Alamanno di meno fave, rimasono Iacopo ed Antonio da Filicaia. E perché Iacopo essendo di collegio rifiutò, fu in suo luogo Alamanno, e cosí Antonio da Filicaia ed Alamanno Salviati andorono commessari in quello di Pisa, e lasciato Niccolò Capponi in Cascina per le provisioni necessarie, Alamanno andò a stare a San Piero in Grado ed Antonio a Librafatta al governo del campo che era dalla altra parte di Arno. In Pisa si intendeva essere strettezza, e benché non tanta che si morissono di fame, pure carestia grande e molti speravano che vedutosi privati dello aiuto de' lucchesi, e come intendessino la conclusione fatta con Francia fussino per venire a qualche accordo, e però avendo in quegli tempi el signore di Piombino avisato a Firenze come imbasciadori pisani volevano venire a lui a trattare accordo se avessino salvocondotto, parve al gonfaloniere concederlo loro, e fu mandato el Machiavello a Piombino per intendere quello che dicessino, dove sendo venuti circa venti fra cittadini e contadini di Pisa, la Pratica rimase vana, perché non avevano mandato da conchiudere, e si comprese che non erano venuti per accordarsi, ma e' capi che reggevano Pisa e che erano ostinatissimi avevano introdutta questa pratica per pascere lo universale loro e tenerlo disposto el meglio potevano; perché in fatto nella moltitudine erano molti che, vedutosi in povertà e stento grande, arebbono desiderato pigliare accordo. Alla fine di questo anno si conchiuse con Francia in modo diverso dal ragionato di sopra; il che perché si intenda meglio e si abbia notizia di uno principio di movimento grande che andava a torno, s'ha a ripetere piú da alto. Poi che el re de' romani stretto da necessità fece vituperosamente triegua co' viniziani, per virtú della quale le terre perdute rimanevano durante la triegua in mano de' viniziani, con tutto che loro gli avessino a pagare le entrate, se ne andò malissimo contento verso la Fiandra dove el duca di Ghelleri colle spalle de' franzesi molestava quello stato; e' quali gli davano favore, perché lo imperadore, constretto difendere lo stato de' nipoti sua, si divertissi dalle imprese di Italia. Quivi stimolato da madonna Margarita figliuola sua e che era a governo di quello dominio, stimolato da' popoli che desideravano non guerreggiare co' franzesi, volse lo animo a' pensieri della pace con Francia. La quale cosa era molto desiderata da Francia, perché la guerra de' tedeschi lo teneva in spesa grande, con pericolo di molta perdita e sanza speranza alcuna di guadagno, e però sendosi apiccata una pratica e trovatasi la materia disposta, monsignore di Roano ne andò in Fiandra a aboccarsi con madonna Margherita, e finalmente si fece conclusione e lega fra el re de' romani, re di Francia e re di Spagna, per virtú della quale avendo el re di Francia la investitura di Milano in certi modi, aveva a dare al re de' romani buona somma di danari. Furono molti patti e capitoli segreti, l'effetto de' quali era muovere di subito guerra a' viniziani e reintegrare ognuno di questi príncipi degli stati che apartenevano a loro, e perché el papa era ne' medesimi termini rispetto alle cose di Romagna, gli fu riservato el luogo a entrare nella lega, e fu fatto con sua saputa e consenso e dichiarato avessi a essere arbitro delle differenzie nascessino fra questi principi e disegnato, per quanto si poté comprendere, che avessi a concorrere alla impresa o con gente o con danari. Fatto e publicato questo accordo, subito el re di Francia dette danari a Massimiano e cominciò a mettere in ordine uno esercito grossissimo per venire a tempo nuovo in Italia contro a' viniziani e revocò da Vinegia lo imbasciadore vi teneva e licenziò quello de' viniziani che era in Francia. Nel quale tempo essendo ritornato Roan alla corte, chiamati gli imbasciadori nostri, e mostro loro con quanta spesa facessi la impresa contro a' viniziani, alla quale moltissime volte era stato stimolato da noi, e che cedeva in nostra grandissima utilità richiese che la città lo servissi in presto di ducati cinquantamila, e lui ed el re di Spagna si obligherebbono alla protezione nostra per tre anni, aggiugnendo di favorirci alla impresa di Pisa, ed in caso che Pisa s'avessi fra uno anno, noi gli avessimo a dare ducati cinquantamila ed altretanti al re di Spagna; e cosí non s'avendo, non solo non vorrebbe altro, ma ci renderebbe e' ducati cinquantamila datigli in prestanza. Scrissono gli imbasciadori a Firenze questa dimanda, e parve molto strana, perché, secondo le condizione ragionate prima, non aveva a avere un quattrino innanzi alla avuta di Pisa, e benché promettessi rendergli al caso che Pisa non si avessi, nondimeno non si faceva fondamento l'avessi a fare; pure avendosi speranza di Pisa e considerato che negandogli, era al tutto spicciata quella impresa, considerando ancora la sua venuta in Italia con uno esercito potentissimo, e quanta differenzia fussi l'averlo a avere amico o inimico, si concluse facilmente el farlo e si dette commessione agli imbasciadori che conchiudessino. E però, essendo loro in sul serrare, el re disse essere contento alla protezione nostra contro a ognuno, etiam contro allo imperadore, ma che per rispetto dello imperio non voleva si nominassi, ma si includessi con parole generale, le quale quando non bastassino, che prometteva a parole ed in fatto lo osserverebbe. Avisoronne gli oratori a Firenze, e si concluse non si lasciassi per questo, perché quando bene si esprimessi, non lo osserverebbe piú che gli paressi, o se pure lo osservassi, cosí lo osserverebbe promettendolo a parole. E cosí ridata la commessione, l'accordo si conchiuse ne' modi detti di sopra, e ne venne a Firenze le nuove alla fine dello anno 1508, negli ultimi dí. In detto tempo, intendendosi come monsignore di Ciamonte ne era venuto a Milano in poste per apparecchiare le cose necessarie alla espedizione contro a' viniziani, gli fu mandato oratore Francesco Pandolfini. XXXI SEGUITA L'IMPRESA DI PISA (1509). Seguitò lo anno 1509, principio di cose e movimenti grandissimi nel principio del quale si distraevano le cure della città in dua pensieri l'uno: l'assedio di Pisa, l'altro, la espedizione de' príncipi collegati contro a' viniziani; e' successi di che, benché in gran parte venissino in uno tempo medesimo, narrerò separatamente, acciò che la distinzione tolga confusione. Lo avere fatto dua campi contro a Pisa uno a San Piero in Grado, l'altro a Librafatta, era di natura, aggiunto allo accordo fatto co' lucchesi ed alla poca vettovaglia che era in Pisa, che la speranza di conseguire quella vittoria tanto desiderata ogni dí cresceva, ma e' lucchesi a chi, non ostante lo accordo, questa reintegrazione nostra era molestissima, porgevano loro continuamente di furto quelle vettovaglie che e' potevano, cosí loro uscendo continuamente di Pisa la notte, ne portavano e di quello di Lucca e de' luoghi nostri di continuo da vivere. La quale cosa per essere el paese largo e paludoso, e dalla banda di Lucca montuoso, non si poteva proibire dalle gente nostre divise in due luoghi distanti; né mancava in sul nostro chi gli sovvenissi, perché qualcuno di quegli usciti pel passato di Pisa, o per amore della patria o per qualche suo parente o amico gli soccorreva, molti, perché le comperavano molto care, per guadagnare furtivamente ne vendevano, fra' quali si disse allora publicamente essere stati e' figliuoli di Francesco degli Albizzi, massime Bernardo, con chi si diceva fare compagnia a questa incetta Tommaso di Pagolantonio Soderini. E certo si vedde molte ragione, ed uno grande comperare di grano che aveva fatto Bernardo quello verno, che fu da credere o che egli smaltissi in Pisa quello grano, o che lo vendessi in quello di Lucca a uomini, donde poi e' pisani lo traevano; credettesi ancora lo esservi Tommaso in compagnia, perché era certo che in altre incette di bestiame atteneva seco, e di poi el romore in Firenze fu sí grande non solo nel vulgo, ma ne' cittadini principali e ne' collegi, e la cosa era di natura importantissima alla città, che e' pareva ragionevole che el gonfaloniere, che sempre attese a sopire, se ne fussi risentito vivamente, se lo interesse di Tommaso non l'avessi ritenuto. Èbbene ancora carico Piero di Giannozzo Strozzi, el quale teneva in quello di Pisa certi fitti, ma lui si scusò, avere venduto grano in Lucca ed averne avuto licenzia da Niccolò Capponi commessario, il che fu con non piccolo carico di Niccolò, e non andando questa boce piú là che le parole, si addormentò presto. Ma conoscendosi che a volere avere Pisa colla fame, bisognava strignerla piú, si accozzorono tutti a tre e' commessari co' principali condottieri in sullo Osoli, e quivi discussi e' modi che lo avevano a fare, si accordorono a questa risoluzione: che bisognando chiudere la via della acqua, non bastava avere fatto el ponte a San Piero in Grado e serrato Arno perché di continuo veniva pel Fiume Morto vettovaglia ed entrata nello Osoli si conduceva in Pisa, e però che e' si facessi uno ponte con uno bastione a Fiume Morto e si chiudessi quella via, el quale ponte e bastione fussi in guardia di chi aveva in governo el campo di San Piero in Grado; le genti che erano dalla banda di Lucca si riducessino a San Iacopo, donde impedirebbono le vettovaglie che venissino di Val di Serchio e da Lucca per la via di Librafatta; e perché rispetto allo essere el paese da quella banda grande e monti assai e pieno di fosse, rimaneva a' pisani, pratichi de' luoghi e che non fuggivano fatica alcuna, aperta ancora la via di condurre da vivere in sulle spalle loro, si facessi uno campo a Mezzana, mediante el quale si serrava al tutto lo via di Lucca e si proibiva che di Val di Calci ed altri luoghi quivi convicini non vi entrassi nulla. Conchiusono che serrando in questa forma non entrerebbe in Pisa di nuovo vettovaglia, o sarebbe sí poca, che se ne nutrirebbono di piú pochi dí, e che non faccendo questo, vi sarebbe partiti scarsi. Scrissonne e' commessari a Firenze, e fu approvato questo modo e disegnato secondo lo ordine loro, che ognuno di questi campi avessi mille fanti, de' quali piú che e' dua terzi erano battaglioni, ed e cavalli si distribuissino quasi equalmente, e cosí rimase a San Iacopo Antonio da Filicaia, e con lui...; a San Piero in Grado Alamanno, e con lui Muzio Colonna, a Mezzana Niccolò Capponi, e con lui... Questa risoluzione mostrò quanto insino a quello dí si fussi ingannato chi aveva governata ultimamente la guerra di Pisa, perché l'anno dinanzi, quando si dette el guasto, fu ferma opinione di molti, massime del gonfaloniere e di Niccolò Capponi che vi era commessario, che o in Pisa non si aspetterebbe el guasto perché e' contadini farebbono tumulto, o aspettandolo, che in pochi mesi fussino constretti a arrendersi per la fame. Dato el guasto e non se ne vedendo effetto alcuno, si conobbe che se e' non si chiudeva la via del mare, e, pisani si sustenterebbono, e però si condusse el Bardellotto con tanta allegrezza del gonfaloniere, de' dieci e de' primi cittadini, che e' credessino in pochi mesi averne Pisa. Riuscí questa speranza vana, e si conobbe che el guasto, la armata di mare non bastavano, se non si toglieva loro el sussidio de' lucchesi; e però doppo molti dibattiti si fece con loro quello accordo di che è detto di sopra; ma si scoperse a mano a mano che la armata sola non era atta a tenere che non vi entrassi el grano: fecesi el ponte in su Arno a San Piero in Grado, e per chiudere interamente la banda di terra, si messe el campo verso Librafatta. Di che stimando ognuno che e' fussino serrati al tutto, e sperandosene di corto una assoluta vittoria, si vedde chiaro in spazio di qualche settimana che non faccendo altro provedimento, non solo rimaneva loro via di trarre commodità di quello di Lucca ed ancora del paese nostro, ma che è piú, che e' non era bene chiusa la acqua rispetto al Fiume Morto e Osoli; e però fu necessario fare el provedimento sopradetto di un ponte ed uno bastione a Fiume Morto, e di uno terzo campo a Mezzana. Questo può essere esemplo a coloro che hanno a governare simile cose, che quando vogliono rompere uno disegno al nimico, non solo pensino a impedirgli quello che egli fa al presente, ma considerino piú là, toltagli quella via, quello che egli possa fare, altrimenti non chiamino riparato perché chi in una necessità sua si vale di qualche modo, se gli è levato quello modo benché con piú difficultà, ne ritruova uno altro, e sono tanti gli stimoli della necessità, che è molto difficile el proibirgli che e' non si vaglia per qualche verso. Deliberati e' tre campi ne' quali avevano a intervenire tutti e' cavalli nostri e circa a tremila fanti de' quali e' due terzi o piú erano battaglioni ed ordinandosi, si fece pruova di avere Pisa per trattato, el quale sendo doppio fu di pericolo non piccolo alla città. Era stato molti e molti mesi, innanzi, insino quando Alessandro Nasi fu commessario a Cascina, stato preso Alfonso del Mutolo pisano e ritenuto prigione a Firenze. Era costui di nazione vile, figliuolo di uno fabro ed ancora nelle azione sua di poco giudicio; ma sendo della persona molto gagliardo e fiero ed adoperatosi assai nelle fazioni fatte contro a noi, aveva in Pisa seguito di molti bravi e che erano in sulle arme. Sendo adunche stato costui piú di uno anno nelle Stinche fu tentato da uno Canaccio da Pratovecchio che era della ordinanza, suo intimo amico e che in queste sue calamità gli aveva fatti molti benefíci e sovvenutolo di danari e di ogni sua necessità, di volere pensare, se mai tornassi in Pisa, di essere operatore che e' fiorentini la riavessino; a che lui sendo stato da principio renitente, in ultimo, fatto altro disegno, mostrò di acconsentire. Conferinne Canaccio col gonfaloniere e con Gherardo Corsini che era de' dieci, perché si pensassi qualche modo che Alfonso tornassi in Pisa, e rispondendo Gherardo di non ne volere fare nulla perché non gli pareva potersi pigliare fede di Alfonso, lui fece capo a Antonio da Filicaia che medesimamente era de' dieci, el quale sendosi ristretto col gonfaloniere, accadde che el Bardella, per riavere el figliuolo suo preso nel canale di Piombino, richiese che e' fussi barattato con Alfonso del Mutolo, sapendo che e' pisani lo farebbono volentieri. Alla quale cosa concorrendo e' dieci con difficultà, perché pareva loro che Alfonso fussi di momento nelle cose di Pisa, pure per opera del gonfaloniere e di Antonio vi si disposono, non sapendo alcuno degli altri quello che si trattassi da canto, eccetto Gherardo Corsini el quale sendo richiesto da Antonio di favorirla, disse che se ne passerebbe di mezzo. Fatta la deliberazione, Alfonso fece col gonfaloniere, Antonio e Canaccio questa conclusione: che si insignorirebbe di una porta e della torre, ed uno dí, quale e' determinassi con Antonio che di già era eletto commessario, tirerebbe in sulla torre Canaccio con uno numero di uomini; e perché quello che e' faceva lo faceva per salvare la città sua e non voleva in modo alcuno essere chiamato traditore che chiamerebbe e' pisani, direbbe loro che e' fiorentini fussino signori della porta e della torre e che quando e' volessino mettergli drento amichevolmente, che aveva e' capitoli in mano co' quali si intendessi fatto lo accordo, e che stimava che e' calerebbono in ogni modo e, quando pure non volessino calare, che in quello caso darebbe loro la entrata libera. Prestò el gonfaloniere fede a questo ragionamento; ed essendo Alfonso ito in Pisa e trattando questa pratica da canto con Antonio, né se ne conferendo cogli altri commessari acciò che Alamanno non participassi di questa gloria, deliberorono farla el sabato santo la mattina a buon'ora, e che la pruova si facessi alla porta di Lucca, dove sendo venuto Antonio da Filicaia col campo suo e gli altri commessari, a chi si era scoperto in sul fatto perché era necessario vi intervenissino parte degli altri campi, lo effetto fu che avendo Alfonso tirato su a uno a uno Canaccio con una compagnia di circa a trenta della ordinanza di Casentino, ne amazzò qualcuno e gli altri tenne a prigione e cominciò a salutare e' nostri colle artiglierie dove sendo ferito che poco poi ne morí Pagolo da Parranos, le gente nostre si ritirorono a' luoghi loro, maravigliandosi ognuno che per sí poco acquisto avessino fatto un trattato di questa sorte, ma si intese poi che el disegno loro fu di assaltare el campo con speranza di avergli a disordinare giugnendogli fuora della opinione loro o di assaltare el ponte e gli alloggiamenti di San Piero in Grado, ma si ritennono per conforto di Tarlatino, el quale o parendogli essere troppo debole o dubitando che Alfonso non facessi qualche colpo di maestro non gli lasciò uscire fuora. Ordinato di poi e posto el terzo campo a Mezzana, si cominciorono a strignere piú le cose di Pisa, perché lo staio del grano vi valeva piú di dieci lire ed al continuo rincarava, perché drento ne era poca quantità ed e' passi erano in modo chiusi che ve ne poteva entrare poca somma; nondimeno la ostinazione loro era grande, massime in una sorte di capi e quali tenevano sotto la moltitudine, parte con paura parte pascendola con speranza di soccorso fuora e di nuovo ricolta, della quale per privargli si deliberò dare el guasto e si conobbe el paese essere sí abondante e le biade sí belle che ogni poco intorno alle mura che si lasciassi loro sanza guastare, aggiunto a quello che seminavono drento, gli condurrebbe molti mesi in là e cosí si espedí in non molti giorni raschiando intorno alle mura, benché vi si andassi con grande pericolo delle artiglierie. Era già mezzo el mese di maggio e veduto e' pisani non pigliare partito, pareva el gonfaloniere che vi si dovessi andare a campo con le artiglierie e però ne fece fare pratica ne' dieci, dove sendo per molte ragione contradetta da messer Francesco Gualterotti, Giovan Batista Ridolfi, Piero Guicciardini, Iacopo Salviati ed accordandosi a questo parere tutta la pratica, lui di qui a pochi giorni la propose negli ottanta, chiamata insieme una pratica grande di cittadini ma di già sendo divulgato come el campeggiarla dispiaceva a cittadini piú savi, la piú parte si accordò alla medesima sentenzia in modo che questo disegno si pose da canto. Le ragione potissime che gli mossono furono queste: l'avere veduto esperienzia negli anni passati con quanto poco successo si fussi tentata tale espugnazione e se bene e' pisani erano piú deboli che e' non solevano, el medesimo accadere a noi, e' quali eravamo in grande scarsità di danari, sanza condottieri a cavallo da farne molto conto, sanza capi di fanterie che avessino riputazione alcuna e sanza fanti pratichi ed esercitati, e però se si voleva fare impresa di sforzargli, essere necessario farla in gran parte in sulle spalle de' battaglioni a' quali non poteva la brigata disporsi a prestare fede. Queste ragione benché allora fussino benissimo considerate, nondimeno per quello che si ritrasse da poi non furono forse vere; perché oltre allo essere in Pisa piccolo numero di gente e minore che non soleva, la piú parte che vi erano, erano tanto deboli pel poco mangiare che non arebbono potuto servire francamente, come già solevano alla difesa della città né in sulle mura né a fare ripari e' quali solevano fare tanto presto che piú volte per questo si erano salvati. E cosí levato in tutto el pensiero della forza, si continuava nello assedio, in che si intendeva essere ogni dí piú grandissime le angustie loro, perché vi era poca vettovaglia e quella era sí cara che, vendendosi lo staio piú di tre ducati, erano tanto pochi quegli che ne potevano comperare, che la moltitudine si trovava tutta in estremità grande e di già ne cominciava a morire di fame, e tutto dí crescendosi nelle necessità, si vedeva la loro ultima ruina propinqua, di che la piú parte, sendo superata la ostinazione dalla fame, era disposta a pigliare questo accordo ma mancava chi si facessi capo di questa voluntà e repugnassi a quegli che lo contradicevano, quando la fortuna che sa trovare tutti e' modi aperse la via a dare effetto a questa materia. Quando gli imbasciadori pisani andorono, come di sopra è detto a Piombino sotto spezie di praticare accordo, vi fu nel numero loro per conto de' contadini uno Filippo di Puccierello quale essendo uomo di seguito, e stato de' primi inimici che avessino e' fiorentini in Pisa, aveva cominciato a credere che in ultimo la vittoria sarebbe da e' fiorentini, e però che e' sarebbe bene farsi innanzi e acconciarsi con qualche condizione. Di che accortisi quegli cittadini pisani che erano ostinati, dubitando che lui alla ritornata di Pisa non facessi qualche movimento, gli persuasono rimanessi in Piombino e continuassi mediante quello signore, la pratica dello accordo. Dove sendo rimasto, vi stette insino a tanto che Pisa fussi chiusa da e' tre campi, e di poi non potendo ritornare in Pisa, né volendo stare piú in Piombino perché s'era accorto a che fine vi era suto lasciato, se ne andò a Lerici, e statovi qualche giorno, si risolvé volere entrare e di comporre questa cosa. E però fatto intendere a Alamanno Salviati che volentieri verrebbe a San Piero in Grado a parlargli ed avuto salvocondotto, lo venne a trovare, e confermato da lui con molte ragione e promesse sul proposito buono, ne andò a Pisa; dove avendo detto apertamente che poi che drento mancava loro da potere vivere, ed el guasto gli aveva privati della speranza della ricolta, ed erano abandonati d'ogni soccorso forestiero, sarebbe bene pensare a qualche composizione cogli inimici, innanzi che la ultima necessità gli costrignessi. Fece drento movimento e pensieri assai. Doppo la ribellione di Pisa, la quale non piacque meno a' contadini che a' cittadini, fu da principio el governo della città negli uomini piú nobili, piú ricchi e di piú riputazione, ed in quegli a' quali per ogni rispetto si conveniva essere superiori; in costoro si distribuiva el priorato, el magistrato de' dieci sopra la guerra, le legazione ed in effetto el pondo di ogni cosa. Ma continuando la guerra ed e' pericoli ogni dí in sulle porte della città, dove ogni dí era necessario essere colle arme in mano, cominciorono a essere in tale credito quegli che colle arme facevono buona pruova, sanza distinzione di essere nobili o ignobili, che ristrettisi insieme presono el dominio e la sustanzialità di ogni cosa in se medesimi; perché in una città venuta di nuovo in libertà e perturbata da una guerra continua e pericolosa, si trattavano le occorrenzie con piú ferocia che non è consueto in una vita civile. Di questo cominciò a calare la autorità di quegli che a principio erano piú grandi, e succedendo di poi che e' fiorentini occuporono quasi tutto el contado, e cosí la piú parte di chi aveva facultà, che erano quegli di sopra, avendo perduto le possessione e le entrate sua, vennono in sospetto, come se per ricuperare la roba loro desiderassino accordarsi con fiorentini; in modo che el governo di ogni cosa si ridusse in quegli che erano piú in sulle arme e che avevano meno che perdere, e gli altri, eccetto quegli che nella rebellione di Pisa si erono valuti di robe de' fiorentini o erano loro debitori, cominciorono a essere tenuti depressi. Con costoro che erono in sulle arme, concorreva el contado, e' quali per essere di numero assai, erano di momento grande e però erano carezzati e si trovavano ne' magistrati e nelle deliberazione; ma perché erano uomini grossi ed ignoranti, ne erano, nelle resoluzioni che si avevano a fare, menati da quegli altri con mille arte e mille lettere vane, ed a loro bastava essere contenti di tutto quello volevano ottenere. Nondimeno questi ultimi, stracchi dalla lunghezza della guerra e vedendosi tôrre ogni anno le ricolte, si erano cominciati a piegare e arebbono piú volte preso partito, se la disperazione del non potere trovare misericordia da' fiorentini, nel quale dubio quegli di sopra li nutrivano, non gli avessino ritenuti, ma cominciando a prestare fede a Filippo di Puccierello ed avendo qualche confidenzia che Alamanno avessi a essere buono mezzo a fare osservare le cose promesse, si voltorono alla via dello accordo e feciono intendere a' cittadini... EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Francesco Guicciardini - Storie fiorentine - Ricordi", La nostra biblioteca classica 72, EDIPEM, Novara, 1974 |
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